A CAPOFITTTO NELL'ESTATE

 

 

                                                               

Pancrazio guarda il calendario; sembra calmo, ma è interiormente scosso: oggi è già 20, per fortuna di luglio, ma potrebbe benissimo essere già di agosto.

Se c’è una cosa dell’estate che, a parere di Pancrazio, proprio non va e che, quando ci pensa, lo fa star male, è il fatto della contraddizione sulla quale essa si regge, da un lato è esasperante, sembra non dover mai finire, incalza, non dà tregua, ti  costringe a tenere un ritmo quasi insostenibile  in un sussulto di giorni che passano veloci e in un alternarsi di albe e tramonti estasianti (così aveva detto una volta Maurizio) ed estenuanti; dall’altro, mentre pensi di essere al limite di sopportazione, ti accorgi che il più è già passato, inesorabilmente, perché quello stesso ritmo, che ti ha travolto e trascinato senza che tu sia riuscito ad opporre la benché minima resistenza, ti ha condotto, intorno a ferragosto, a rimpiangere di non aver goduto abbastanza di quella esasperante esagerazione, di quella  eccessività, il mare troppo piatto, o troppo burrascoso, il cielo troppo sereno, o troppo nuvoloso, caratteristiche che ne facevano una cosa unica,  e troppo tardi ti accorgi, che  lì risiedeva l’essenza stessa dell’estate, proprio nel suo debordare dai limiti consueti di una vita condotta sui binari della consuetudine.  

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