ODESSA

 

                                                        

 

Ho letto che un tempo i russi scendevano al sud, da San Pietroburgo, fino al Man Nero, per fare bagni. La loro meta preferita era Odessa, la perla di tutta la costa che si affaccia su quel mare, con il porto più importante della zona, e l’ampia scalinata monumentale, che, ora apprendo -- da fonte autorevole, Deaglio – essere opera dell’architetto italiano Francesco Botto, nota in tutto il mondo per la famosa scena del film “La Corazzata Potemkjn”, a sua volta reso popolare per lo sberleffo di Paolo Villaggio con in suo Fantozzi.

Ora Odessa è ancora ambita, anzi contesa, da quegli stessi russi, non più come turisti graditi ospiti, ma come odiosi conquistatori. Perché è una porta aperta verso l’occidente, mentre consente agli invasori di avere il dominio sul mare e un punto dal quale l’intera Ucraina può essere invasa.

Nel mio video in diretta di qualche giorno fa, video non intenzionale, ma sfuggito in rete per la mia scarsa perizia nell’uso del mezzo mediatico, la mia vera intenzione era quella di mostrare le copertine di due libri che, invece, sono state riprese come fossero davanti ad uno specchio, con i titoli scritti alla rovescia.

In realtà si tratta di due classici della letteratura sovietica, pubblicati nei primi anni ‘60 del secolo scorso dagli Editori Riuniti di Roma, allora in odore di faziosità, in quanto era una casa editrice formata da due editori molto vicini al Partito Comunista e specializzati nella pubblicazione di opere socio-politiche di area socialista, fra le quali l’opera omnia di Marx ed Engels.

I libri sono “L’Armata a Cavallo” e “Racconti di Odessa”, entrambi dello scrittore sovietico Isaak Babel, nato ad Odessa e, pertanto, ucraino, e per di più ebreo, in quanto tale, doppiamente discriminato.

Aveva avuto un nonno ucciso in uno dei progrom contro gli ebrei e lui stesso aveva incontrato non poche difficoltà ad affermarsi nella vita civile e come scrittore, per l’ostilità dell’establishment, se non fosse stato per l’aiuto e l’amicizia di personaggi molto affermati come Gorkji  e Majakovskji, in campo letterario e lo stesso Ejzenstejn , in quello cinematografico, col quale aveva collaborato nella sceneggiatura di altri suoi film.

Babel aveva partecipato ai moti rivoluzionari ed accolto l’affermazione del regime sovietico, combattendo anche per anni nelle file dell’Esercito russo, in quella Armata a Cavallo di cui scrive nel suo libro, narrando apertamente di episodi di crudeltà commessi, nei confronti della popolazione polacca, a quel tempo sotto attacco col pretesto di espandere il credo comunista, senza infingimenti, o veli e questo lo aveva messo in cattiva luce nei confronti dell’apparato del Partito, a quel tempo sotto il pugno di ferro di Stalin, che voleva imporre  un modello di arte improntato al c.d. “realismo socialista” che aveva lo scopo di avvicinare l’arte alla classe proletaria, celebrando il progresso del socialismo.

Per le sue idee di indipendenza intellettuale, finì vittima delle famigerate “purghe” staliniane, accusato di spionaggio e di troskjismo, venne arrestato, processato sommariamente e, sulla base di una confessione estortagli sotto tortura, condannato a morte e fucilato nel 1940, nel carcere di Butyrka, vicino a Mosca. Alla moglie e alla famiglia questa fine venne tenuta nascosta per oltre 15 anni e solo dopo la morte di Stalin, la verità venne a galla e Babel riabilitato, ma la maggior parte delle sue opere, non pubblicate, confiscate al momento del suo arresto, sono andate perdute.

Butirka era un carcere già tristamente noto nell’epoca zarista per essere il luogo di detenzione nel quale venivano portati provvisoriamente i condannati alla deportazione in Siberia; durante i lunghi decenni della dominazione sovietica, ha ospitato i dissidenti politici, ai quali veniva praticata ogni sorta di violenza fisica e spirituale, con il condizionamento psichico ottenuto mediante il c.d. lavaggio del cervello, che si articolava in diverse fasi, di imbonimento del credo politico e del riconoscimento dei propri errori, l’autocritica, prima come intimo convincimento, poi con una pubblica confessione e autoaccusa, con la denuncia di altri, parenti e conoscenti caduti nello stesso errore.

Quando Putin dice che russi e ucraini sono fratelli, non dice una cosa sbagliata, i due popoli sono affratellati dalla vicinanza e si amano, come Caino e Abele, fratellastri, non in senso genetico, ma solo dispregiativo, dei quali uno, il primo vuole sopraffare l’altro e piegarlo al suo volere, fino a farlo scomparire.

All’epoca zarista si rifaceva il film di Ejzenstejn, con le milizie russe che sparavano sulla folla di ucraini che avevano sodalizzato con ii marinai ammutinati della corazzata Potemkjn, schierata nel porto di Odessa e la famosa scena della carrozzina col bimbo, che rotola lungo la scalinata più famosa del cinema, emblema degli effetti che la guerra impone ai civili innocenti. Al periodo di dominazione sovietica, riporta la sorte di Babel, un intellettuale indipendente, ucraino, ucciso dai russi.

Putin, russo, nativo di San Pietroburgo, ora vuole scendere a sud, fino ad Odessa, almeno per il momento.

C’è un filo conduttore che lega quello che sta accadendo adesso in Russia alla storia di quel Paese, ed è l’idea dell’imperialismo che è ancora viva nella mentalità della popolazione russa per via della politica adottata via via dai suoi conduttori negli anni e nei secoli.

La guerra in corso, iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte dell’ armata russa (e non più rossa, come quella che collaborò molto attivamente alla liberazione dell’Europa dal mostro nazifascista),  si riallaccia al tempo degli zar “di tutte le Russie”, passando per l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, leggi Russia più i Paesi satelliti da essa annessi.

Nella “democratica” Russia di Putin, è vietato parlare di “guerra” per indicare quella che lui definisce “operazione militare speciale”.

La conseguenza storicamente inaccettabile, è che così facendo, si rischia di resuscitare lo spettro non solo del “Socialismo in un solo Paese”, che ritenevamo definitivamente fallito, ma anche, e questo è il peggio, di quel mostro dell’autoritarismo mondiale, cioè quel nazifascismo che credevamo di aver confinato tra le pagine più nere della Storia di questo  sfortunato “atomo opaco del male” che è il bel Pianeta in cui ci troviamo, per colpa dei suoi abitanti “raziocinanti” (e meno male! direbbe Pancrazio).           

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