DELLA VECCHIAIA
Qualcuno pensa che tu sia un vecchio che ha bisogno di consolazione, disse Pancrazio a Maurizio, mostrandogli qualcosa che aveva letto sul suo cellulare. Ma tu non sei vecchio, continuò, ed io sarei disposto a dargli una bella strizzatina, col tuo permesso.
Stai calmo, Pancrazio, chi l’ha pensato avrà avuto le sue ragioni ed a me non dispiace affatto l’invito a leggere il De Senectute, perché mi dà l’occasione di parlarvi di alcune cose importanti che non so se sapete. Ma tu come hai fatto ad intendere…
L’ho fatto leggere ad Evelina e lei mi ha detto che quella cosa, significa “Della Vecchiaia”, ma come si è permesso?
Secondo te, disse Maurizio, perché mi hanno consigliato di leggere il De Senectute , con molta attenzione ?
Cominciamo col dire che di libri con quel titolo nell’ambito della letteratura classica, ce ne sono almeno due, quello di Cicerone, e quello di Seneca, entrambi di epoca a cavallo della nascita di Gesù, dalla quale parte l’era cristiana, la prima opera leggermente anteriore alla seconda, ma una al di qua e l’altra al di là di questo spartiacque…
Fermati un momento, non ho mai saputo che Gesù sia nato a cavallo…e poi , chi si spartiva l’acqua da una parte e dall’altra?
Lascia perdere, volevo dire che siamo nel periodo che va da Cesare a Nerone, della storia romana, capito?
Al cenno incerto di assenso dell’ascoltatore, Maurizio continuò dicendo:
Il libro di Cicerone si intitola Cato Maior De Senectute, il secondo è un capitolo delle Lettere a Lucilio intitolato semplicemente De Senectute ed è di Seneca.
Nel primo, Cicerone fa interagire tre condottieri romani Catone il Censore, detto anche Il Vecchio, in quanto più longevo di molti suoi contemporanei, Gaio Lelio e Marco Publio Scipione detto l’Emiliano.
Quelle in esso esposte, non sono tristi meditazioni, ma riflessioni sull’arte di invecchiare serenamente e consapevolmente. Si tratta di una dolce medicina, buona per tutte le età e tutte le epoche, in quanto, scritto nel 44 a.c., il Cato Maior De Senectute conserva ancora oggi una sorprendente attualità, come molte opere classiche, del resto, passate a rappresentare quanto di meglio ci sia nel nostro essere “umani”, che si tratti di una prima lettura, o di un’ennesima (come non è nel mio caso).
Piccola notazione, questa sì, un po’ triste, il libro fu scritto un anno prima della morte di Cicerone, al quale non fu dato invecchiare serenamente. Morì infatti poco più che sessantenne, assassinato per motivi politici da sicari di Antonio con la collaborazione di un liberto di nome Filologo, nome quanto mai fuori luogo, e al suo cadavere furono tagliate le mani e la testa, che furono esposte in Senato nel palco dal quale parlavano i senatori, a monito di tutti gli oppositori.
A proposito di Seneca, vissuto nei primi decenni dell’era cristiana, si favoleggiò di una improbabile conversione alla nuova religione, a seguito di un incontro che sembra avesse avuto con Paolo di Tarso, ma comunque di ciò non abbiamo conferma nei sui scritti.
Nelle Lettere a Lucilio, che trattano vari argomenti di contenuto soprattutto morale, al Libro 05-06, parte 02, egli parla del tema della vecchiaia, esortando il destinatario delle lettere a non temere l’avanzare dell’età, e a non aver paura della morte, che, afferma, è sempre con noi, perché noi moriamo ogni giorno. Infatti, come non è possibile fare il bagno due volte nello stesso fiume, come ci insegna Eraclito, perché il fiume scorre e non è mai lo stesso di un attimo prima, così la nostra vita scorre e noi moriamo minuto per minuto.
Anche Seneca ebbe vita abbastanza breve e morì di morte violenta: fu costretto da Nerone a suicidarsi, un anno dopo aver scritto il libro di cui stiamo parlando.
Lo stesso destino di Socrate, che bevve la cicuta in presenza dei suoi discepoli, esortandoli, mentre moriva, a non temere un evento così naturale.
Ma c’è un altro autore di cui qui mi piace parlare ed è Boezio (“di Boezio è il santo viso, del romano senator”), anche se il suo libro, “De Consolatione Philosophiae”, non tratta esplicitamente il tema della vecchiaia, né quello della morte, ma più genericamente, della condizione umana, del male che sembra prevalere sul bene, il malvagio che viene premiato ed il buono che viene punito, tutte cose che rendono amara la vita. Ma per fortuna c’è la filosofia sotto forma di una bellissima donna, che può donare consolazione e pace.
Siamo nei primi decenni del 500 d.c. e Boezio, condannato a morte ingiustamente, per motivi politici, nella cella del carcere di Pavia, ove era rinchiuso, scriveva queste cose in attesa della esecuzione, che avvenne dopo un anno dalla pubblicazione del suo libro, rimasto come testo fondamentale della filosofia cristiana.
Sulle modalità della sua morte si danno versioni diverse, decapitato, secondo alcuni, strangolato secondo altri, o per schiacciamento del cranio, nella ipotesi più crudele. Aveva anch’egli un’età non avanzata.
Nel Caffè Grande Italia in Viale Bovio i due amici erano convenuti per un apericena: "Evari' tu che pensi del consiglio dato a Maurizio di leggere De Senectute, l'avrà accolto?" - "Penso di si, da quello che scrive deduco che sia un professore come me, penso che saremmo stati dei buoni colleghi nonostante alcune differenze relative a religione e politica, ma avremmo certamente trovato un accomodamento." - "A Giusy portace du prosecchi e 'npo' de stuzzichini, stasera pago io!" - "Ma quanto sei grezzo!" Disse Evaristo a Rimiratore scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
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