BERLUSCONI PRESIDENTE?

                                                              

Perché no? In fin dei conti non è lui l’italiano per eccellenza? Quello che ha avuto più successo nella vita con operazioni rocambolesche, riuscendo tra le maglie della legge, a raggiungere obiettivi straordinari, alla faccia di tutti noi? Certo, la sua “resistibile ascesa”, dal mondo dei palazzinari, a quello del cinema, alla conquista delle televisioni, al dominio sull’intera gamma dei mezzi di comunicazione e informazione, libri, giornali, informatica,  è stata favorita dal coro di nani e ballerine che si è creato intorno, che senza battere ciglio, di volta in volta, hanno avallato le sue più spericolate scorribande in campo economico, legale-giudiziario e politico (ricordate quell’avvocato, dall’aspetto furbescamente faunesco, il quale fece approvare dalla Camera dei Deputati la mozione che asseriva Ruby essere la nipote di Mubarack?), con mezzi al limite sempre della liceità, border-line della falsità, la corruzione, la connivenza col malaffare Bazzecole, se vogliamo, di fronte al fenomeno mostruoso dell’acquiescenza di molti, dell’indifferenza di tanti e della complicità di alcuni. Non si possono dimenticare Previti, il suo avvocato proposto per la carica di Ministro della Giustizia e l’onnipresente, allora, consigliere Dell’Utri, finito in carcere per mafia.

Sarebbe come il cerchio che si chiude: iniziato con la sua dichiarata predilezione per l’ “Elogio della Follia”, libro simbolo, esibito come prova della sua caratura intellettuale fuori dai canoni ordinari e talismano-guida del suo operato (una prefazione a sua firma di una edizione del testo di Erasmo, uscita in quel periodo, risultò apocrifa), proseguito poi con l’impazzimento di noi poveri cittadini comuni soggetti ad una maggioranza di acefali, che facevano quadrato intorno al capo-padrone, di fronte  a tutte le anomalie di un ventennio disastroso, che giustamente si concluderebbe  ora, in caso di successo, con il trionfo della Pazzia ed il ritorcimento all’indietro del calendario, per rinfocolare le non sopite divisioni di quel triste periodo.

Cosa ne penserebbero all’estero di un tale evento?  Ma nulla, anzi sarebbe la riconferma, se mai ve ne fosse la necessità, di quello che già si sa, di quello cioè che pensano di noi gli stranieri: il solito stucchevole luogo comune degli italiani fanfaroni, buoni a nulla, sleali, inaffidabili, marionette nelle mani di  un puparo. Con questa piccola differenza, che in questo caso siamo di fronte ad uno che si è costituito un impero; Donald Trump ne è un epigono, lui con la sua “Torre”, Berlusca con il suo vulcano e mausoleo nella villa in Costa Smeralda, entrambi protagonisti di un capitalismo rampante in cui prevalgono le disuguaglianze e, quindi, esempi da respingere perché indicativi di come non dovrebbero andare le cose nel mondo.     

Un merito però bisogna riconoscere a questo personaggio, che sicuramente lascerà una traccia opaca nella storia del nostro Paese per la sua pervicacia reazionaria, quello di avere involontariamente  fatto rivivere il Comunismo, già morto nella metà del mondo in cui aveva trionfato, ma con questa particolarità, che, mentre lui l’aveva spolverato e ripresentato alla ribalta della politica, come spauracchio ancora da combattere, questa trovata ha ottenuto invece l’effetto di risvegliare negli animi sinceramente democratici, messi in crisi dal fallimento del modello di Comunismo fino ad allora sperimentato, ideali pur sempre validi delle origini del socialismo, di quei principi di libertà e giustizia sociale che, a partire dal famoso “Manifesto” di  Marx ed Engels, avevano agitato quel fantasma che si aggirava per l’Europa e faceva paura a quanti, detentori di privilegi, temevano l’avvento di un nuovo modello di vita, attraverso una più equa ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse del Pianeta.

Non tanto un merito, quanto piuttosto un primato, invece è costituito dalla faccia tosta di un personaggio come lui, la cui vicenda è già stata depositata negli archivi polverosi della storiografia come cosa da dimenticare, dalla sfrontatezza inaudita ed oltraggiosa dimostrata già solo per il fatto di aver pensato di avere titolo ad accedere alla più alta carica dello Stato. La sua elezione sarebbe l’ultimo sberleffo all’immagine del nostro tormentato Paese, a sugello di una vita condotta sull’onda della convinzione che il livello intellettivo medio degli italiani non sia superiore a quello di un bambino di cinque anni e di poter quindi e comunque prevalere, facendo affidamento sulla sua intemerata capacità di sovvertire il vero in falso e fare del falso ripetuto come un mantra ad ogni occasione, verità colata, da far trionfare sulla mediocrità di tutti gli altri.

  

 

                                                        

  

 

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