TANTUM ERGO
Tra i ricordi più antichi, di un passato ormai remoto, un motivo mi torna in mente di tanto in tanto ed è legato a mia madre, che adoravo distrattamente, come a me è successo, con rammarico, di vivere quelle che erano le più intense emozioni, nello stupore degli anni appena fuori dell’infanzia, in cui tutto appariva normale nell’enormità della scoperta che giorno per giorno andavo facendo di tutto ciò che mi circondava e faceva parte della mia vita e fra questo, appunto, l’amore per i miei genitori che mi si presentava come scontato, ancorché sublime.
Era il motivo di un canto liturgico ascoltato in Chiesa, nelle occasioni allora non infrequenti, in cui accompagnavo mia madre a quelle che lei chiamava “le funzioni” della sera in alcuni periodi dell’anno. Il coro dei fedeli si elevava fra le navate della Chiesa, in una strana lingua che non comprendevo, ma che proprio per questo mi affascinava per il mistero che sapevo contenuto in quelle parole, con un effetto quasi magico.
Mia madre, poi, usava, nei momenti in cui eravamo in casa e lei sbrigava qualche faccenda, mentre io la seguivo in silenzio, canticchiare quello stesso motivo, ripetendo parole il cui senso sfuggiva anche a lei, che non conosceva quella lingua in cui erano pronunciate e che mi disse essere la lingua dei romani antichi, all’epoca dei primi cristiani che venivano perseguitati per la loro nuova fede e che era il latino.
Due erano le espressioni che più mi colpivano e che non ho mai dimenticato: “Tantum Ergo” e ”Procedentis ab utroque”, che erano, appresi dopo, le parole iniziali e quelle finali di un inno scritto da Tommaso d’Aquino, per le celebrazione della festività del “Corpus Domini”.
Tommaso, chiamato dai suoi correligionari “Doctor Angelicus”, nacque nell’anno 1.225 e morì nel 1.274. Francesco, “il Poverello di Assisi”, morì un anno dopo la nascita Tommaso e certo non ebbe modo di conoscerlo infante e prevederne le sorti, ma è singolare che due grandi figure della Chiesa Cristiana siano vissute così vicine nel tempo che a noi oggi appare lontanissimo.
Consideriamo anche che nello stesso periodo storico in cui erano vissuti i due grandi santi, Dante Alighieri, il maggior poeta italiano, padre della nostra lingua, profondamente religioso, si apprestava, ad intraprendere il più arduo dei viaggi, attraversando i tre regni del mondo dell’aldilà cristiano, per riuscire solo alla fine di esso, “a rivedere le stelle”.
Il Poeta, infatti era nato nel 1.265, pressappoco 19 anni prima della morte dell’autore del Tantum Ergo, e quindi, in certo qual modo era possibile che echi lontani di un incrocio così significativo di eventi, risuonassero nell’aria e tra quelle pareti e che qualcosa di me recepisse, per vie nascoste, influssi epifanici provenienti dall’esterno.
Effettivamente, il coro dei fedeli e le vibrazioni dell’organo, all’interno di quella chiesa antica, la cui pareti portavano i segni della devozione di molte generazioni di fedeli, suscitavano in me immagini meravigliose, paesaggi splendidi, con lampi che, provenendo dal passato, giungevano fino a me, riempiendo il mio spirito di ragazzo e portandolo ad espandersi oltre i confini del tempo.
Testo:
Tantum ergo sacramentum
veneremur cernui,
et antiquum documentum
novo cedat ritui;
præstet fides supplementum
sensuum defectui.
Genitori Genitoque
laus et iubilatio,
salus, honor, virtus quoque
sit et benedictio.
Procedenti ab utroque
compar sit laudatio.
Amen.
(Un sì gran sacramento
adoriamo, dunque, prostrati;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Genitore [il Padre] e al Generato [il Figlio].
Pari lode abbia Colui [lo Spirito]
che procede da entrambi.
Amen.)
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