LA SCORSA ESTATE

  Ci sono stato, quest’estate, ma avrei potuto o addirittura dovuto, non esserci. Son contento, è chiaro, di stare qui a parlarne, anche se non ho molto da dire, disse Maurizio. Che sia stata molto calda ma incostante, mi sembra incontestabile. Ma di che Parli? Dell’estate in cui per miracolo sono stato presente da vivo. Dopo che le porte dell’Ade si erano già aperte per me.

 O Muarì, lo interruppe Pancrazio, l’estate è la più bella stagione e tu pensi alle porte? Le porte d’estate sono sempre aperte, proprio perché l’estate è eccessiva, un giorno muori di caldo, il giorno dopo ci vuole la maglia. Naturalmente devi avere il fisico; se uno non sta bene, diventa un problema. Io, per esempio, stavo bene, ma ho finito le ferie e non è che sia riuscito a riposarmi, nemmeno un poco, per cui sarei pronto a ricominciare. Riavvolgiamo il rullino e ripartiamo per un’altra estate.

 Io no, disse Maurizio, non tornerei indietro, anche se le stagioni che verranno mi spaventano; non tanto l’autunno, che ha il suo fascino con le foglie rosseggianti ed i tramonti da urlo, ma l’inverno, detesto l’inverno. Con la sua neve, che pure ho amato, la sua chiusura, il freddo perpetuo. Sono lunghi i mesi d’inverno e per me insopportabili. 

Sebastiano intervenne da dietro il bancone, approfittando della momentanea, si fa per dire, assenza di clienti nel locale: Ho fatto una sola settimana di ferie, chiudendo il bar, a Ferragosto, giusto perché in quei giorni a Teramo non c’è proprio nessuno, ma ho assaggiato il piacere del silenzio: ho preso la mia ragazza e siamo andati alle Tremiti, lì abbiamo affittato una barca e ce ne siamo andati su un’isoletta disabitata e senza turisti con le fotocamere, portandoci dietro una piccola tenda e tutto il necessario per vivere una settimana.

 Siamo stati benissimo. Già io parlo poco, non sono come Pancrazio che non chiude mai la bocca, né come te Maurizio che parli poco e misurato, ma con la mia bella sto bene, perché a lei piace fare l’amore e quindi non ce lo siamo fatti mancare. Sull’isola si sentivano solo guaiti e gemiti. Fino al quinto giorno.

 Il sesto abbiamo visto una carovana di barche muovere da S. Nicola verso la nostra isoletta ed abbiamo scoperto che quell’isoletta scelta da noi, era anche il cimitero degli isolani: quella carovana in arrivo era la processione per un funerale. Abbiamo assistito alla cerimonia della sepoltura della salma dello sconosciuto, senza farci vedere e, quando se ne sono andati tutti, siamo entrati nel recinto del camposanto, leggendo con curiosità i nomi scritti sulle lapidi. Abbiamo subito notato che molti defunti avevano origini e nomi stranieri. Dopo ci hanno detto che erano libici, un retaggio dell’era fascista. un intero reparto costituisce il Cimitero Libico, con tanto di monumento. I libici, non essendo cristiani, non potevano essere sepolti in terra consacrata. Si trattava di profughi e prigionieri espulsi dalla Libia e lì trapiantati in epoca mussoliniana. Avevamo dormito e fatto l’amore per cinque giorni, in un camposanto…

 Quel giorno stesso andammo via e l’ultimo di vacanza l’abbiamo trascorso nel Villaggio del Touring Club di S.Dòmino.

 Evviva la libertà, disse Silvana che collaborava con Sebastiano, dietro al bancone, io sono stata ad Ovindoli e là ho conosciuto un signore con la barba che mi ha ospitato a casa sua. Era reduce da Bolognano, dove faceva riabilitazione ed aveva conosciuto persone interessanti, fra le quali un certo Maurizio di cui non conosceva il cognome.

 Che forse Dante ha bisogno del cognome per essere conosciuto? Interloquì Pancrazio, Di Maurizio solo uno ce ne poteva stare ed è il nostro, se permettete.

 ‘Mbè. Comunque questo signore era un vero gentiluomo; sapeva fare la polenta con grande maestria e ne abbiamo mangiata in estate con ogni tipo di condimento, perfino il sugo di carpa al profumo di Lago. E poi era bravo anche in altre cose. Mi sono divertita molto.

 Se volete sapere dove ho passato l’estate io, disse Pancrazio, andatevi a leggere quanto ho detto nel post precedente, che porta il mio nome. Sono come Paganini che  non ripete; egli  parlava solo una volta, chi capiva, capiva, degli altri se ne fregava.

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