EDELWEISS

 

Che hai, Maurizio? Chiese Chiara; da quando sei tornato, non trovi mai pace.

Maurizio rimase immobile e lasciò trascorrere qualche attimo, prima di rispondere, gli occhi fissi sul foglio che aveva davanti.

Talvolta, disse poi, sollevando lo sguardo dalle carte e rivolgendolo verso il suo uditorio, con un tono di voce lontano, come trasognato, che fece drizzare tutte le orecchie – ecco ora dirà qualcosa di importante, pensarono tutti --  ho la tentazione di fare come Orfeo, di voltarmi indietro e ripiegarmi sul passato, anche più recente, per lasciare libero sfogo ai ricordi e capire come e quanto io sia cambiato da quello che ero prima, rinunciando al mio proponimento di non farmi prendere dalla nostalgia del vissuto e ben sapendo che quello che è stato è stato, ma viene mitizzato dalla mente, che col passar del tempo, tende a dare ad ogni cosa un significato particolare, che all’epoca non aveva, mentre il presente, cioè quello che ci  sta succedendo in questo momento, ci appare vuoto e insoddisfacente.

Hai forse nostalgia di Bolognano? insinuò Chiara.

Il passato sembra sempre più bello del presente, sentenziò Pancrazio con aria grave, e sapete perché? Perché è passato, appunto! Noi tendiamo a ricordare i lati positivi di ogni momento vissuto, rimuovendo quelli negativi.

Caspiterellina, ironizzò Sebastiano, ridendo sotto i baffi che non aveva, qui abbiamo, oltre che un letterato, anche un filosofo, nella persona di Pancrazio, che di sapere non è mai sazio. E quanta saggezza nelle sue parole! Voi lo sapevate che il passato è passato? Nel senso che è andato via e non potrà più tornare ed è per questo che non ci fa più paura e ce lo accarezziamo e ce lo coccoliamo, sicuri che ormai non ci potrà più fare del male? Avete visto questa nuvola di parole che è uscita or ora dalla mia bocca? Ebbene erano gli attimi del presente, che, appena usciti, sono diventati già passato. Il futuro è un’altra cosa, piena di incognite e di sorprese: c’è chi dice, e che vorrà essere? Peggio di così non potrà andare e tira avanti serenamente e chi è più pessimista, non sa cosa lo aspetta dietro l’angolo, ma ha fondati dubbi e perciò è sempre preoccupato. Io, non sapendo da quale parte stare, nel dubbio mi astengo dal pensare e faccio bene, vero Maurizio?

Maurizio non ascoltava e andava per la sua strada, assorto, come in trance.

Non posso avere nostalgia di Bolognano, perché lì ho sofferto molto, ma nello stesso tempo, non posso dimenticarlo. C’è il buio dentro di me e non riesco a raccapezzarmi; questo buio è attraversato da improvvisi getti di luce, che ne illuminano un aspetto particolare, per cui non posso non pensare che quel periodo della mia vita abbia avuto un significato profondo, che a volte brucia come un marchio a fuoco.

Tacque, poi continuò:

Secondo alcuni studiosi,  il nome “Orfeo” deriva da un termine greco antico, che serviva ad evocare la notte, l’oscurità, ma anche la solitudine, quale potrebbe essere quella di chi è al buio, o, è rimasto orfano. Infatti l’Orfeo che conosciamo noi, aveva dimestichezza con la città delle ombre, essendo sceso agli Inferi in cerca della sua sposa Euridice, morta per essere stata morsa da un serpente. 

Con la sua lira emetteva una musica così dolce che riusciva ad ammansire gli animali feroci, come pure incantò Caronte, il terribile guardiano di quel luogo sotterraneo senza luce dove andavano i morti e lo convinse a dargli il permesso di incontrare Euridice e riportarla in vita, a patto di non voltarsi indietro lungo tutto il percorso per uscire dall’Ade, seguito dalla donna dietro di sé.  Ma giunto quasi alla fine, già in vista della luce che penetrava dall’imboccatura dell’antro, cedette alla tentazione e si voltò. Così perse per sempre il suo amore.

Fatalità? L’amore che non conosce la ragione? Certo è che Orfeo è un personaggio misterioso, in qualche modo oscuro, anche se dotato di talento eccezionale nella musica. Nessuno sa perché lo fece.

Tacque compunto e pensoso, forse avvertiva una qualche affinità tra la storia di Orfeo e quella che lo riguardava. Poi riprese con voce più ferma:

Io non sono Orfeo e penso addirittura che per certi versi la mia storia sia il contrario della sua. Io non ho perso la mia Euridice nel tragitto di ritorno, anzi ne ho trovate più d’una.

Questo non me lo avevi detto, esclamò Chiara, inviperita da quella che ella prese per una rivelazione. Maurizio si affrettò a spiegare:

Forse ti sfugge che il nome Euridice, significa, “di grande giustizia” ed io in questo senso lo adopero. Nella notte di Bolognano, quegli sprazzi di luce erano dati da alcune persone, soprattutto donne che alla carità e alla pietà, univano il senso della giustizia. Il paziente, per chi lo cura, medico, infermiere, o terapista, diventa cosa, cioè un corpo da curare e basta. Ma quel corpo è sensibile al dolore come al piacere ed è stato merito loro se, da quel corpo martoriato che ero, è riemersa la persona, che è la somma di facoltà e capacità materiali, che io ho, più quel complesso groviglio di ragione e sentimento che chiamiamo anima, che pure albergava in me.

E’ l’affetto che si mette nel proprio lavoro, che fa la differenza. Affetto che si riflette nella persona che hai davanti e nobilita un rapporto per altri versi solo tecnico. Chi è oggetto di questo affetto, non può a sua volta non avvertire una corrispondenza di sentimenti verso chi lo ha risollevato nello spirito e gli ha ridato la dignità di persona. Ma l’affetto non è come una torta. Nutrire affetto nei confronti di chi se lo merita, non lede i sentimenti di altri.  Se una parte del mio affetto va alla persona che mi sta curando, non diminuisce certo l’affetto che io avevo per altre persone.

L’affettività è come un mare grande, difficile da delimitare, contenere, anzi si espande sempre di più ed è tutto positivo, per cui non offende nessuno. A questo punto Maurizio si impappinò e non seppe cos’altro aggiungere.

Nel cuore degli uomini, c’è a volte un grande mare agitato, concluse a voce alta.

Ma che mare e mare! Fece una voce dal fondo della stanza, dove un tizio, entrato da poco, si era rintanato, tranquillo, cercando di non farsi notare; ti sei innamorato di qualcuna? Stai facendo una lunga parafrasi, come quando si dice che un fiore solitario  è nato in montagna, per dire di un amore insolito, insorto in condizioni estreme, come, per esempio quella che si stabilisce tra la vittima e il suo carnefice (vedi al riguardo il film, datato ma sempre attuale di Antonioni, dal titolo Portiere di Notte, che mise, tra l’altro in luce le doti artistiche della giovane Charlotte Rapling); anch’io una volta ne ho trovato uno di questi chiamiamoli fiori, durante un’escursione e, non visto da nessuno, l’avevo colto e metaforicamente nascosto nel tascapane, ma poi, durante il cammino di ritorno, sulla riva di un laghetto, l’ho buttato via. Sono forse io Orfeo?

Maurizio era stravolto.

Licius, sei tu vero? Così facendo hai commesso un doppio delitto, perché il fiore nato in alta montagna era molto probabilmente protetto e non si poteva cogliere, e poi, perché, essendo esso molto raro, sarebbe stato utile, una volta colto, conservarlo per fini scientifici. Ma poi, c’è da dire che noi stavamo parlando di tutt’altra cosa.

Nel conflitto fra l’amore e la volontà, a quale delle due forze bisogna dare la precedenza? Fu la domanda che inchiodò l’ignaro ospite alla sedia, senza dargli modo di sfuggire.

L’imbarazzo dell’interrogato era evidente, nel lungo silenzio che seguì.

Per me, pronunciò ad un tratto Pancrazio, sempre all’amore. Ma voglio aggiungere che io non vedo tutta questa discrepanza, - e guardò volutamente Sebastiano, sottolineando la parola, oggetto di una discussione precedente tra loro due -  tra l’una e l’altra cosa. Parlo per me, non so voi; ma io quello che faccio, lo faccio per amore e lo faccio perché lo voglio fare; mica perché me lo ha ordinato il medico.

Non so chi fra voi due, disse Licius e guardò prima Pancrazio, poi Sebastiano, sia più asino. Il mio amico Evaristo, cominciò, mi ha insegnato…

Basta! Intervenne risoluto Maurizio. Qui nessuno è sotto esame ed è inutile accapigliarsi per la conquista del titolo di primo asino o del secondo. Siamo tutti a pari merito appartenenti alla categoria degli onagri e quindi non ci possiamo vantare, né insultare l’un l’altro.

Vi stavo semplicemente aprendo il mio cuore diviso da una insanabile contraddizione: a volte il ricordo del Centro di Bolognano mi suscita repulsione, altre volte sento di non poterne fare a meno. Ho provato ad esprimere quello che sento nel mio precedente scritto su questo argomento, ma non sono sicuro di avere toccato il punto focale del problema

Con ciò, chiudo, per oggi ne ho sentite abbastanza.  

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