TUTTO CIO' CHE SI E' PERSO

 

                              

 

Walter, perché Walter, fra tanti? Gli ronzava in testa il nome di un  suo cugino, una persona simpatica, con cui aveva avuto nel passato remoto un rapporto di amicizia, come con altri cugini, fratelli fra di loro e a loro volta cugini di altri cugini, ma poi, per tutto il gruppo si era verificata una diaspora: si erano persi da molto tempo e non si erano più visti, né tenuti in qualche modo in contatto.   

Il bel tempo della giovinezza. Maurizio era sempre più taciturno e pensava alla vita che se ne andava, gli ultimi sprazzi di una gioia immensa, vissuta per lo più inconsapevolmente Gli amici lasciati lungo il percorso, o perché lo avevano preceduto al traguardo, o perché persi nel corso degli anni.

La vita come avrebbe dovuto essere, o come forse era stata, ma lui non aveva saputo godere fino in fondo.

Quanti fili spezzati, quanti progetti irrisolti.

Walter, perché proprio Walter, fra tanti? Come recuperare quel tanto di buono che c’era stato, come intraprendere l’impresa titanica di ritornare al passato, di riavvolgere il nastro di celluloide, o se si vuole il supporto elettronico che conteneva le immagini ormai sbiadite di tante vite disseminate nel tempo?

Che faccio telefono?

Ciao, sono Maurizio, quanto tempo che non ci sentiamo, caro cugino. Non so quasi nulla della tua vita, ci siamo persi molti anni fa, che dici è possibile riallacciare un rapporto, far rivivere i tempi di una volta, quando era naturale incontrarsi e stare insieme, con tanti altri, e per questa naturalezza, non si faceva caso al grande patrimonio di affetti che avevamo, per una vita tutta da vivere, che sembrava non dovesse mai finire?

Marcello e Salvatore, il primo e l’ultimo, ricordi, erano spesso della partita ed il caro, sfortunato Antonio, mio coetaneo, scomparso sul fiorire degli anni, che di notte, tornava a battere sul muro della camera da letto dei tuoi genitori, dietro la testata del letto di tua padre e tua madre, quasi a chiedere perché, o per dire qualcosa che non aveva fatto in tempo a dire quando era vivo.

Berardo, indimenticabile e Stella, premurosa e paziente, i tuoi cari genitori, che mi hanno sempre mostrato simpatia, nonostante le mie intemperanze; ricordo alcune discussioni con tuo padre sul modo di intendere la musica, io, del tutto sprovveduto e lui, violinista, che pure ascoltava con attenzione seriosa i miei ragionamenti, senza tuttavia far trasparire l’ombra di una bonaria condiscendenza, con cui dava credito a quel che dicevo, per non offendermi.

Molte volte sono stato ospite in casa vostra, a pranzo per il giorno di S. Berardo, riservato solo ai familiari e ad un ristretto gruppo di amici, tra i quali mi onoravo di essere annoverato.

 

Impossibile, mi prenderebbe per matto; non è detto che non lo sia. La nostalgia dei vecchi, l’inquietudine senescente.

 

Pancrazio se la rideva. Quella mattina si era messo dei baffi finti ed aveva inforcato un paio di occhiali neri: non voleva essere riconosciuto, o forse voleva apparire in maniera insolita, non per sbalordire, o fare il buffone. Dentro di sé era molto serio. Pensava che l’apparenza non conta.

La partita è ancora tutta da giocare. Ora vediamo chi ha le palle e chi no. Parlo delle palle degli occhi,  che servono per vedere. Molti hanno le palle ma non la capacità di vedere.                            

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