BUCANIERI
Alle prime luci dell’alba, alzano le vele e partono per le loro incursioni, scivolando veloci con le loro imbarcazioni alate, scorrazzando lungo i sette mari del web, mentre venti di brezza e improvvise folate salmastre, che le prue taglienti sollevano fendendo le onde, bagnano i loro volti intrepidi ed essi sono felici. C’è un feeling che li lega l’uno all’altro, il maestro e l’allievo, già ad un buon punto di apprendimento, con una volontà di ferro che vuole tutto comprendere ed inglobare.
Il primo lancia una sfida, subito raccolta dal secondo, ed un vuoto si apre davanti a loro, che si riempie di un’onda immensa, un muro di acqua che avanza e che potrebbe rovesciare i loro fragili legni, fiaccare i loro animi, disperdere le loro ambizioni. Ma la mano che tiene il timone è forte, il nocchiero è esperto, e la manovra riesce e li porta in alto, verso il cielo, sbalzati fuori dall’acqua turbolenta per planare là dove è liscio ed agevole tenere la rotta.
Bucaniere viene dalla parola indigena “boucan”, che era il nome col quale essi chiamavano la tecnica di arrostire la carne o il pesce, su una griglia di legno; la stessa parola è all’origine del moderno barbecue dei giardini con ville e piscine.
Sono pirati, fuorilegge con l’alone di romanticismo che a loro si addice, dediti solo alla sottrazione di beni immateriali, per il piacere della conoscenza. Si appropriano di ricchezze, senza rubare niente a nessuno, anzi la loro attività è utile anche agli altri, perché accresce, anziché diminuire, il capitale comune, a disposizione di tutti.
Sono come picari, bucanieri e quelli della filibusta, ma solo per alcuni aspetti esteriori, quali l’ardimento con il quale vanno all’arrembaggio, quelli reali, dei galeoni spagnoli carichi d’oro sottratto con la forza o con l’inganno agli indios dell’occidente, questi virtuali, di quello che si è detto.
I primi avevano le loro basi tra le Isole dei Caraibi. I nostri invece prediligono le acque e le isole dell’Egeo, “dove vergine nacque Venere” e dove oltre all’arte, fiorirono le scienze umanistiche, con la filosofia e la letteratura. Le loro incursioni invadono i campi più diversi. Essi sono assetati non dalle ricchezze della terra, ma da quelle dell’animo, che non si possono razziare.
Il loro è un assalto tutto ideale a quella nave di enormi dimensioni che è la cultura occidentale. E’ un lavoro festoso, di cui non si riscontrano altri esempi nell’ambito dell’angusto Zibaldino, del quale pure non disdegnano di fare parte. Ma essi hanno idee molto più progredite e progressiste, di qualunque altro appartenente a questo sodalizio quasi inapparente.
Aristotele è il grande miraggio, la mente nella quale si rispecchiano e si misurano ogni momento, da lì si parte ed è lì che si torna, ogni giorno, che sia abbondante o magro il bottino dei loro assalti.
I crucci dell’era moderna, o le domande che si posero i primi filosofi e poi letterati e umanisti in genere, Omero come Melville, Hesse come Mann, Conrad o Dostoewskij, tutto è buono per un rimbalzo di idee dall’uno all’altro come una palla fra due giocatori, che è gioia per gli esecutori, delizia per gli osservatori.
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