BAULETTO

 

                                                                          

Bauletto era il nome col quale solo a pochi era consentito chiamarlo, ed erano gli amici più intimi, ai quali era concesso tutto, anche prendersi gioco di lui, bonariamente, affibbiandogli quel soprannome che alludeva in modo inequivoco alla sua conformazione fisica, che egli non amava, basso, tarchiato, un torace enorme e un groviglio di muscoli tra braccia, petto e dorso, da cui derivava un’idea di solidità che, a parer suo, facilmente si poteva scambiare per stolidità, per via che il baule sta quasi sempre chiuso ed il suo contenuto, non desta curiosità. Un appellativo che, egli pensava, poteva essere pronunciato senza malizia solo da chi gli voleva bene, mentre si prestava a facili ironie da parte degli altri, nei confronti dei quali egli, il titolare, non mostrava alcuna simpatia e se qualcuno, che non fosse della cerchia, ignaro di queste sue bizzarrie, si azzardava a chiamarlo con quel nome, se la doveva vedere con lui, divenuto improvvisamente una furia.

Tra questi privilegiati, diciamo così, aveva ammesso  Adriante di Fano, nome derivato dalla fusione di Adriano e Giansante, oltre all’anziano Sparviero, dal naso a becco di rapace predatore e …Pancrazio, che, poteva mai mancare? In omaggio ad una trascorsa stagione di vita “on the road”, passata insieme, era tornato a far visita all’amico, proprio in occasione dell’apertura da parte di lui di una Trattoria, a due passi dal locale dove fino al giorno prima aveva esercitato attività di officina meccanica per moto, specializzata nella pratica di truccare il motore dei motorini, per lo più di ragazzi del quartiere, al fine di aumentarne illegalmente la velocità e la potenza. 

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                                                         E' vino, ma non è santo   

Che piacere rivederti, Bauletto della malora! Lo salutò abbracciandolo, appena fu di fronte a lui; hai abbandonato la tua vecchia Harley, ora ti dedichi alla ristorazione, come vedo. Mi fa piacere, anziché di oli sintetici, ti sporcherai le mani di grassi animali e vegetali. E’ un bel progresso, mi pare.

Progresso? Chi è che viene a parlare di progresso, nella mia modesta Hostaria, il celebre letterato Pancrazio il Sacripante che sa tutto lui ma non si vanta? Mi dicono di te cose mirabolanti, ma è possibile? L’uomo che con la sua Guzzi 500 ha percorso  tutte le strade d’Italia e molte dell’estero, si è fermato al barruccio dell’Olmo e non si muove più. Ma che fai tu lassù con quei quattro sfigati dello Zibaldino?

Pancrazio atteggiò il viso ad un sorriso, che, ma che ci fai con quello del vecchio Marinaio che aveva tormentato le notti di Antonello da Messina: era un sorriso ambiguo, misterioso, come di chi la sa lunga, ma non vuole darlo a vedere. Per modesta. O forse no, per la consapevolezza della distanza che lo separa dalle fragili cose mortali.

Ti ricordi, iniziò con tono ispirato, la notte del lupo? Ci eravamo accampati nel recinto dell’Hotel Seven, al Passo delle Capannelle, quando, nel pieno della notte, arriva ‘sto lupo ostinato, deciso a cacciarci da lì, manco fosse la sua tana. Dovemmo difenderci a sassate e al mattino scoprimmo di aver quasi ucciso il cane del custode dell’albergo, chiuso per la stagione. La conclusione fu quei 500 euro pagati al veterinario di Mascioni, per cure mediche e chirurgiche al cane. E il padrone non ci disse nemmeno grazie.

Risero entrambi al ricordo.

E quel monaco del monte Athos, in Grecia, rammemorò Bauletto, che tentò di portarci via Galina, la ragazza russa di cittadinanza e rossa di capelli e nera dentro, disposta a tutto, venuta con coi da Pietroburgo, che si era messo in mente di battezzare col rito ortodosso, facendola spogliare ed immergendola con forza per tre volte in una tinozza che aveva in camera sua?  In precedenza, l’aveva fatta vestire da uomo, per poterla introdurre nel monastero; ti ricordi? Alle donne era vietato entrare. Poi, per farla restare, pretendeva di nasconderla in una cella comunicante con la sua. Per il tempo della nostra permanenza al monastero, diceva. Per motivi di sicurezza, insisteva. Se si scopriva che una donna era entrata nel monastero con l’inganno, non si sa a quali conseguenze si sarebbe potuti andare incontro.

Tu pensa quanto arrapati dovevano essere quei poveri monaci, se neanche gli animali di sesso femminile erano ammessi tra quelle mura secolari grondanti di astinenza solidificata. Per tema di essere distolti dalle loro meditazioni, che costituivano l’essenza delle loro esistenze inutili. Forti da non reggere ad un pelo pubico di donna.

Lunge da nobis, pontificava Pancrazio. Quella non è religione. Non è nemmeno mortificazione della carne. E’ uno stravolgimento della natura.

Ma Galina, la nostra amica russa, gliel’ ha fatta pagare, disse Bauletto: a me confessò, dopo essere andati via, di aver nascosto un paio delle sue mutandine ricamate in un cassetto del prete, inviando un bigliettino anonimo al Priore, perché indagasse, fornendo dei punti di riferimento, come in una caccia al tesoro.

Acqua…acqua. Fuocherello, fuocherello, FUOCOO!   

Le mutandine – rosse per il Natale – tremavano tra le dita malferme dell’anziano monaco, proprio come carboni ardenti nella notte medioevale del sacro convento.

Noi sulle moto, da lontano, vedemmo che per qualche minuto, al monastero si spensero tutte le luci. Un vero e proprio black out di candele.

Credi che sia possibile? Chiese Pancrazio. Magari con l’aiuto dello spirito santo?

Sì, ma di chi?

Commenti

  1. Io conoscevo un tipo simile ma il suo soprannome era "mobiletto" nel senso che il tipo non era tarchiato ma appunto un "mobile".
    Si diceva da giovane facesse il pugile, ma chi sa poi le voci come si creano.
    In uno dei tanti pomeriggi ad ingozzarci di birre nel bar del mobiletto o meglio da Lu mublatt' con Adriano e compagni scaturì una rissa tra zingari che giocavano a mazzetti con la puntata da 100.000 lire. Lui ne prese uno per il bavero e lo buttò fuori dal locale come succede nei fumetti.
    Stefano

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