RITA

                                  

                                                                  Mia sorella Rita

 

Mauritius, ma è tua sorella la donna di cui si parla nel necrologio di oggi? chiese tra lo svagato e l'indifferente, Pancrazio.
Quale necrologio? Non ho visto nessun necrologio.
Sullo Zibaldino...
Quello non è un necrologio. Comunque, no, anzi sì, nella finzione letteraria.
Ma Bruno, chi è?
E' uno pseudonimo. E' finito l'interrogatorio?
No, ma perché Bruno le ha detto che può chiedere a noi, io nemmeno la conoscevo...

 

                                                              

                                       

Or non è tanto, stavamo insieme, seduti sulla panchina davanti al monumento ai Caduti di Nassiria, a chiacchierare serenamente e tu narravi di quando eravamo giovani, rievocando episodi di vita familiare, una famiglia come tante altre, con momenti di tensione e magiche esplosioni di gioia. Dopo di allora tu non ti sei più vista, e dopo sporadici contatti telefonici, la tragica notizia, eri andata via per sempre.

Ho dovuto far passare qualche tempo per comprendere appieno il significato di quanto era avvenuto; lì per lì è prevalsa la sorpresa; il dolore, che pure c’era, stentava a farsi strada fin nelle fibre più riposte del cuore, perché la mente si rifiutava di accettare un fatto così definitivo, come se la morte potesse avere alcunché di provvisorio. Le lacrime, sì, i lamenti, per la privazione; quasi una manifestazione di egoismo, un torto fatto a me: non ti avrei più rivisto, ma era presto per i rimpianti.     

Non ho avuto nemmeno la consolazione di assistere allo svolgimento dei rituali tristi delle onoranze funebri. Due i motivi dell’assenza, la pandemia da covid 19 in pieno svolgimento e le mie condizioni di salute e la mia stessa età, non molto inferiore alla tua, al momento del trapasso, che mi rendono soggetto ad alto rischio per le probabilità del contagio, che, ove preso, non mi darebbe scampo e la cosa a me darebbe molto fastidio, non tanto e non solo perché non mi piacerebbe fare come il tacchino che chiedesse di anticipare la data del Natale, ma piuttosto per la mia contrarietà a morire per un male come questa maledetta infezione, importata dalla Cina, preferendo invece, se proprio necessario, farlo per una malattia nostra, tradizionale, che sia solo mia in quel fatidico momento.  Insomma non una morte d’elite, ma almeno non di massa.

Non ho saputo approfittare di tutto il tempo che abbiamo avuto, prima di quel giorno sulla panchina sotto casa tua e sotto gli occhi muti di quei caduti in un vile agguato in un Paese straniero. Giorni e giorni in cui avremmo potuto frequentarci, sostenerci a vicenda; molti degli acciacchi che avevi tu, sono anche miei, ed io da te avrei potuto ancora apprendere cose e storie della nostra famiglia, di cui tu eri la primogenita.

Sentire ancora attraverso te, la voce di papà, mamma, la zia Gina, noi figli, la crescita, la scuola, I Promessi Sposi, ricordi quel quadernetto dove tu scrivesti un riassunto del romanzo ad uso delle generazioni successive, di cui Myriam ed io usufruimmo abbondantemente?

Cara Rita, la tua vita non è stata facile, ma certo è stata piena di soddisfazioni, di gioie, di mete raggiunte e lunghi periodi di assordante solitudine, come avviene nella vita di molti: un esempio ed una guida per me che ho guardato alla tua famiglia, ai figli, miei nipoti, come modelli coi quali specchiarmi per i miei figli e ritrovarmi.

Esiste un ambito mentale nel quale ognuno di noi si rifugia di fronte all’incalzare degli eventi, nei momenti di maggiore criticità, che funge da ritrovo poco frequentato nei tempi della spensieratezza e poi, mano a mano si allarga col passar degli anni, fino a diventare luogo dove il nostro essere trova dimora permanente, nel quale si desidera portare quel che rimane di più caro, sia nel caso di una esistenza spesa bene, che di una vita tumultuosa, passata in mezzo ai frangenti di naufragi ricorrenti.

Non è un tempio, ma un luogo calmo e tranquillo, dove cresce l‘amore ed è bandito l’odio, dove puoi incontrare anime eccelse e gente semplice, puoi parlare con tutti, o stare zitto ed ascoltare, sognare o sperare.

Là ho portato già i miei, i nostri cari ai quali ti sei ora aggiunta tu; gli amici, primo dei quali Alfredo, che hai conosciuto nei tempi della prima gioventù, in tutta la sua scoppiettante esuberanza, e pochi altri.

Là vivono anche personaggi immaginari, vivi per me come gli altri, che io chiamo fratelli, figli della stessa madre e dello stesso padre, in quanto, nati dalla mia fantasia, che sono un poco i padroni di casa, ai quali ti  affido ed ai quali ti puoi rivolgere per qualunque necessità.  

Quel luogo sopravviverà alla mia stessa morte e là, potremo trovarci e fare tutti i discorsi che non abbiamo fatti da vivi.

Ti presento i principali fautori di quest’impresa, che sono Mauritius, Pancrazio, Sebastiano ed Ottavio, che da oggi chiede di essere chiamato Orazio. C’è poi un infiltrato, che getta ancora l’ombra davanti al sole, che si fa chiamare Rimiratore. Ma sì, conosci pure lui, è Licius. Gli altri li conoscerai via-via che ti addentrerai nel vivo di quel posto che è un circolo, un po’ particolare, quasi sempre aperto e sempre disponibile; si chiama Lo Zibaldino ed ha sede nel cloud.

Buona permanenza, cara sorella che hai ultimato il tuo viaggio. Me, anche se veleggio ancora sotto l’alta scogliera, sbattuto dai venti, prima o dopo mi vedrai arrivare, ma con la mente sono già lì.

Un casto bacio, anche se ricordo che ce ne siamo dati pochi quando potevamo, chissà perché.      

 

 


Commenti

  1. Rimiratore, che tu definisci ombra sul sole, non può fare altro che manifestare la sua commozione e il suo rispetto per tuoi sentimenti.

    RispondiElimina

Posta un commento