LA TIMIDEZZA

 

                                                                           
 

 Che cos’è la timidezza?  Difficoltà a sostenere il peso del ruolo che si ha nella società, con il timore di essere giudicati inadeguati da quelli che hanno padronanza di sé. Non è una malattia, né un difetto di fabbrica (leggi carenza di carattere). E ’una caratteristica che accomuna molti, anche se non sono pochi i non timidi, disinvolti e sicuri e quelli che, superando i limiti di un comportamento corretto, più propriamente sono da annoverare tra gli “sfacciati”, cioè sfrontati. Secondo gli studiosi, la timidezza non è neanche l’introversione, perché in questa non ricorrono alcuni aspetti che in quella sono qualificanti, come il timore del giudizio altrui, che è  alla base della timidezza.

 

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Don Lorenzo Milani, nella sua celebre “Lettera ad una Professoressa”, recentemente e meritoriamente riproposta su FB e, quindi, di rimbalzo, nel circolo, dal nostro caro ed attivissimo Valter, l’autore ammettendo di essere timido, e di essersi lasciato intimidire, quando era suo alunno, dalla autorialità dell’insegnante alla quale, finalmente fuori da condizionamenti, nella lettera, liberamente, si rivolge, consciamente o, inconsciamente, non so, ripete per sé quello che a suo tempo si diceva, da parte dei contemporanei, di Virgilio, il sommo poeta, scelto da Dante, che timido non era, come maestro e accompagnatore nelle due prime cantiche della Commedia, di essere timidissimo al punto tale che camminava rasente i muri, per non essere notato, quasi a voler scomparire.

Milani, dopo aver constatato che la timidezza si accompagna alla mitezza del carattere ed è diffusa soprattutto nelle classi più povere, ne conclude che essa non è viltà né eroismo, ma è soltanto un’assenza di prepotenza.

Il timido è quindi mite ed umile. Non si propone, non si antepone. Non è aggressivo, non è finto, non è ingannevole, se si esclude il caso poco ricorrente della c.d.  “gattamopa o gattamorta”, la gatta sorniona che fa finta di dormire, mentre attende con un occhio semiaperto, il momento buono per mettere a segno il colpo e fuggire.

Con l’avvento dei social sembra che della timidezza si sia persa ogni traccia. Col favore delle tenebre, cioè dell’anonimato, anche i conigli si son fatti leoni e siamo arrivati oltre la ben nota constatazione di Umberto Eco di come internet abbia dato voce anche agli imbecilli.

I timidi ci sono ancora, ma tacciono. Se la regola del timido è di non essere prepotente, caratteristica del prepotente è quella di dare addosso ai più moderati, scambiati per deboli, mentre sono timidi, nell’intento di intimidirli e farli stare zitti.

Sui social corre una vena di aggressività che spaventa. Le affermazioni più assurde si fanno con arroganza e molti cercano di accreditare la propria opinione, usando la violenza, il turpiloquio e l’insulto. Si leggono delle cose che fanno alzare i capelli, cose alle quali voci sgangherate si aggiungono, in un coro di villanie che scoraggiano qualunque pur dovuto richiamo, per tema di ritrovarsi irretiti in una qualche polemica senza rigore o senso.

Alcuni si erigono a maestri e lanciano propri proclami, poi, però, di fronte ad eccessi commessi da qualche adepto, vestono i panni dei moderatori, confermando il loro assunto e confondendo sempre di più le acque. 

 

Se sei timido tu, allora siamo tutti come verginelle. Non conosco persona più sfrontata e temeraria di te. Disse Licius a Pancrazio nell’ambito di una conversazione informale sullo stile a dir poco disinibito che è venuto di moda sui social. Ci si attacca su tutto, con toni di una brutalità sconcertante e su tutto si formano delle fazioni, in seno alle quali, l’accusa principale che le parti si rivolgono, vicendevolmente, è quella di non pensare con la propria testa e di essere schiavi di un pensiero unico imperante, come nuovo modello di una società sottomessa ad una dittatura volontariamente accettata.

Timido nel senso, chiarì l’interpellato, che se mi capita di leggere una castroneria sul web, la mia prima reazione è di digliene quattro a quello che l’ha scritto, ma poi mi fermo e mi lascio intimidire dal nome dell’autore, che mi sembra autorevole e lascio correre per non impelagarmi in una discussione della quale non sono in grado di prevedere l’esito che potrebbe anche essere disastroso per me.

Per esempio, una come quella sui virus e sulla pandemia corrente da covid 19?

Esattamente; quando si ha il coraggio di sostenere che un virus che ha infettato finora centinaia di milioni di persone in tutto il mondo ed ha causato, per quanto se ne sa, più di cinque milioni di morti  e la cui infezione si diffonde sempre di più in ogni parte del pianeta, che si tratta di una montatura, che il  virus non esiste, e che tutto è fatto per sottomettere le popolazioni del mondo ad una dittatura senza precedenti per fini oscuri, ma riconducibili ad interessi economici di gruppi sconsiderati, con la connivenza di stati e nazioni e dei relativi governi, dimmi come si dovrebbe reagire. Insomma, come si fa a dire non è vero, non ci credo? Allora molti stanno zitti, tanto è stratosferica la distanza che separa un modo di vedere le cose, uno dall’altro, da sembrare tutto inverosimile.

Questa non è timidezza, replicò Licius, ma cautela. La verità è che si dovrebbe tacciare di falsità o di follia, chi prone e propugna queste teorie complottistiche, ma non si ha il coraggio di farlo. 

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