IL FINE DELL'UOMO

 

                                                                   

Perché intitoliamo Il fine dell’uomo, se poi parliamo invece della Fine dell’uomo, che mi sembra il contrario? annotò mentalmente Pancrazio. Aveva ricevuto l’onore di essere chiamato a fare il pezzo per lo Zibaldino, insieme a Maurizio, a dare una mano, diciamo così, come primo passo di ben altri riconoscimenti presto a venire, che lo rendevano molto orgoglioso e non voleva fare brutta figura cominciando ad obiettare fin dal titolo. Quindi non chiese una spiegazione. Meglio attendere, pensò, poi si vedrà.

Sarà poi vero che l’uomo è vivo fino a quando ha qualcosa da fare, oppure sarà vero

L'immagine può contenere: albero e pianta                                                                       Foto di Giuseppe Simone Aielli

 

 

il contrario che finché l’uomo ha qualcosa da fare, è vivo? Questo il tema del giorno. Maurizio taceva e aspettava che cominciasse prima lui.

 

Pancrazio friggeva nel suo olio, spinto per un verso a strafare, per dimostrare quanto avesse fatto bene il capo a sceglierlo per quella incombenza, era trattenuto dall’altro, per la paura di sballare.

Questo è un rovello, cominciò a mormorare, poi ci ripensò, ma che rovello e rovello, qua si parla di cose serie e non posso usare un termine di cui non si conosce bene il significato (almeno io),  continuò a rimuginare a mezza bocca, dopo aver a lungo (‘mbe non proprio a lungo, cinque minuti scarsi, di cui tre alquanto distratto), ascoltato il suo magister, Mauritius, parlare dell’argomento con parole alate, di cui non ne ricordava nemmeno una; in gran forma l’aedo (ma chi gli aveva suggerito ‘aedo’, significava maestro? Ma no, mannaggia questo è quello che cantava) perché era tornata Chiara, la cui lunga assenza era stata finalmente chiarita, voglio vedere, se no che Chiara era? Era stata in Inghilterra a seguire un corso. Ma non ci distraiamo, di lei parlerò dopo, si ripromise. Senonché,

Che corso? Aveva interferito Sebastiano, tra un caffè e un aperitivo, al banco.

Eh, che ne so, aveva risposto l’amico: io avrei senz’altro fatto il Corso principale di Londra e una puntatina a Soho, ma lei potrebbe aver preferito il Tamigi e non mi chiedere quale lato, altrimenti ti mando a quel paese.

Su questo argomento, disse Oreste, è intervento con una bella postilla, Eugenius, ma che mi fai dire, Licius, la quinta colonna infiltrata qua da noi dai nostri avversari del caffè di fumo.

Che bella la postilla, disse sarcastico Pancrazio, c’è qualcuno che offre di più?

Se non ti piace postilla, la vogliamo chiamare trafiletto? disse Silvana, dal fondo dell’aula, mentre sfogliava un fotoromanzo di quelli in gran voga una volta. E dove l’aveva trovato? Chiedo io. Nell’ultimo scaffale della libreria, un mistero chi ce l’abbia messo: porta la data di 30 anni fa.

Postino, trefiletto, un ossobuco e mezz’etto di magra, ma insomma si può sapere che cosa ha detto ‘sto Licius?

Ha detto, si apprestò a dire Oreste, dopo una profonda riflessione (di Licius, non di Oreste), che in effetti egli è del parere che una vita ha senso fino a quando c’è un fine da raggiungere, il che avviene sempre in un arco limitato di tempo, la vita breve, quella che finisce con la morte, mentre questo effetto si perde se consideriamo l’eternità, dove è impossibile perseguire un fine. La sua conclusione è che è meglio una via mortale, che l’immortalità, nella quale si cadrebbe senz’altro in paranoia, non avendo nulla da fare (quest’ultima annotazione è dello scrivente).      

La nostra amica Luciana, interferì Maurizio, su questo stesso tema, ha aggiunto una glossa importante.

Buona sera, disse Pancrazio alzandosi rumorosamente, cos’è ‘mò ‘sta  cossa? Non avete pure un panino con la mortadella?

Una nota a margine; la glossa è una nota che chi legge, scrive a lato del testo,  per appuntare suoi pensieri. E dice:

E se ci chiedessimo, così, leggermente cosa bisognerebbe intendere per avere qualcosa da fare? Licius, per esempio, che si dichiara così convinto che l’uomo abbia un fine e che questo fine si possa avere solo in una vita a termine, cosa indicherebbe quale fine suo proprio, da porre a fondamento della sua esistenza?

Cos’è, amici, io chiedo a voi, che tiene in vita Licius, me, Oreste e tutti gli altri uomini che popolano la terra?

Le facce del gruppetto di persone che stavano intorno a Maurizio, esprimevano, variamente meraviglia, perplessità e compunzione. Quella di Pancrazio le riassumeva tutte.

Commenti

  1. Licius ha la sua risposta che vale per se, ad altri può apparire risibile o fasulla; nessuno può essere maestro in questo, ciascuno deve darsi la sua risposta che vale per se; che poi ciascuna risposta possa avere riscontro anche in altri tanto meglio, ma resta pur sempre un problema personale. Qualunque sia la concezione di ciascuno, materialistica o no ogni vita è sempre unica, pensa Lucius.

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    1. Si è detto Licius, come me, tu, altri, tutti insomma.La vita è unica, infatti, con infinite varianti. Per tutti il fine primo è vivere, è da sempre che si sa (primum vivere). Poi ognuno si sceglie una sua strada. Qui è il bello di ogni vita, non si butta nulla (come il maiale).
      SentoRimiratore: Questa te la potevi risparmiare. Sono d'accordo.

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    2. Licius risponde chiedendo a Bruno se con la morte tutto il vissuto cade nell'oblio, a parte il ricordo che per un poco di tempo permane nei congiunti e negli amici.

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