L'ARCHIVIO DEI SOGNI
L’ARCHIVIO DEI SOGNI
Esistono archivi dove vengono stipati i nostri sogni.
Si trovano nelle calette abbandonate, che oltre al vento, alle onde e le strida dei gabbiani, hanno conosciuto le prue agili, le poppe opulente dei navigli, che nei secoli, sotto forme diverse, hanno costeggiato, approdato e poi si sono allontanati in una scia di spuma fosforescente.
Oppure nei casolari, ridotti a buchi neri nelle notti, con il contorno biancheggiante di qualche rudere o muro sbrecciato, a testimoniare, che là, c’è stata vita. Magari, a maggior prova, un palo ancora eretto lì accanto, con una lampada che da tanto non dà più luce alla via maestra scomparsa anch’essa sotto un intrico di sterpi e fogliame inestricabile, col il suo piatto portalampada basculante nella notte, inutilmente cigolante ad ogni alito di vento ed un filo elettrico che pende, inerte e innocuo.
Il Lampione p.g.c. di Achille Olivieri
C’è chi si sofferma e guarda; immagini di pirati colubrine, alberi e sartiame dissestati e uomini, uomini, in ambasce nel putridume della risacca, là dove posidonie di secoli si sono depositate e decomposte lentamente. Oppure sotto il vecchio lampione, tra i ruderi, ecco là, nella terra, affiora una forchetta da tavola, piccola, adatta ad un bambino. Bambini? E dove sono colà bambini? Ci sono stati bambini, intere generazioni e gli ultimi ancora calcano questa terra, con un sogno nel cuore, rivivere ciò che non c’è più. Operazione nostalgica, di retroguardia, verso il grembo materno, quando invece tutto volge all’inevitabile finale di ben altro contenitore. Ma si tratta di un malessere passeggero, solo ideale. Nessuno tornerebbe bambino per giocare di nuovo alla luce di quel lampione, il cui alone delimitava la vastità del sogno stesso.
I muri parlano, dice qualcuno, la risacca è un continuo rammemorare. Sono invece ancora i nostri cuori, per un verso o per l’altro insoddisfatti, anche nella pienezza, in cerca di una verità nascosta, ultima che non verrà.
Ecco un bel tema per i filosofi del nostro circolo, pensa Maurizio, risolto come sappiamo da Leopardi nel dialogo con il venditore di calendari, ma aperto a tante altre interpretazioni, ad altre soluzioni, mica tutti debbono pensare come Leopardi al suo tempo? Ma poi è certo che conosciamo il pensiero ultimo di quel poeta? Il suo pessimismo è reale?
La nostalgia è un sentimento che proviamo noi, per tutto ciò che è passato e non è più.
Ma cosa rimpiangiamo di quel passato, il tempo, le atmosfere, o soltanto ci piangiamo addosso per la nostra giovinezza che si è consumata tra quelle mura, tra quei sogni ancora in cerca di composizione?
Bisogna trovare un posto per ogni ricordo e archiviarlo. Lo visiteremo ogni tanto, quando non possiamo farne a meno, ma senza esagerare.
Nell’archivio della mente di Licius, la posizione xy corrisponde a quella del palo per la luce descritto prima; Maurizio lo sa e attende. Piano piano il ricordo riemerge.
Non odi una voce lontana? E’ voce di bimbo che chiama, che piange, forse ride. Non è la tua di bambino, quando non eri in compagnia di filosofi e poeti, ma di altri bimbi come te e la sera era tutta una festa e c’era quella bimba con le treccioline bionde in piedi, nel cerchio di luce traballante e gridi si intrecciavano col volo delle falene.
Achille, Achille mi par di udire nel ronzio delle orecchie, guarda il lampione: è acceso? Se è acceso, allora è notte, forse è proprio quella stessa del sogno, siamo tutti là, sotto la sua luce tornata a risplendere per noi. Ma forse è solo un inganno della mente. Se guardi bene, ora la luce è spenta.
La trinità Lucius-Lucio/46-Rimiratore trova tanta poetica sensibilità nel bel brano che hai scritto, Bruno. Quel lampione mi ricorda quei pochi sparsi nella Teramo degli anni cinquanta quando io e mio padre tornavamo a casa nella depandance della villa Di Tommaso in via Dell'Aeroporto. Facevano poca luce che non illuminava a sufficienza la strada e si andava a memoria di lampione in lampione fino a casa. Nei giorni di nebbia vedevi una palla di luce. Ernesto l'amico mio professore romano in pensione, l'Evaristo nei miei racconti, spesso mi racconta i suoi ricordi traumatici di guerra da bambino in braccio alla mamma, le sirene, i bombardamenti, la fame, le fughe in campagna disteso a terra sotto le sventagliate di mitraglia dei caccia e i gemiti e le urla dei colpiti. Raccontaci anche tu il tuo tempo di guerra con gli occhi di bambino e aggiungi anche quelli di Fiorella, memorie che non dovrebbero andare perse.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCaro Bruno, questi sono colpi bassi. La nostalgia è sentimento terribile, sopraffattore quanti altri mai. Coi ricordi non bisogna esagerare, scrivi saggiamente. Ovvero, parafrasando un motto caro ai teramani, a lo rimembrar agi mesura, così come al parlare. Ma non sarebbe dunque forse il caso di disfarsi interamente del fardello della memoria? All'anima dei nostri fratelli animali il tempo ci appare infatti manifestarsi solo nella dimensione del futuro. Essi vivono per quello che deve ancora accadere, del passato non si curano affatto. Le formiche stipano i loro granai per la stagione a venire, non per quella trascorsa, e gli orsi ingrassano in vista del prossimo inverno, da trascorrere accartocciati nel lungo presente senza tempo del letargo. Solo l'uomo si perde nel suo passato, e si cruccia per ciò che è stato e non è più, o per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
RispondiEliminaPer Platone solo gli ingiusti sono condannati reincarnarsi (ovvero a vivere nuovamente nel passato). L'anima del giusto si sottrae definitivamente al miraggio del tempo, e a quello gemello dell'individuo, che di tale tempo si nutre per erigervi sopra il castello di carte della propria esistenza singolare. Anche per Aristotele il movimento, e quindi il tempo, trae origine da un'ingiustizia, ossia dalla privazione di forma. Quando il fine è stato raggiunto, quando la forma si è pienamente dispiegata nella materia, il tempo cessa. I grandi Maestri del passato ci mostrano allora la vera essenza del manifestarsi del tempo all'anima umana: il passato è il luogo dell'ingiustizia, subita o perpetrata, e il futuro quello della giustizia da ripristinare o instaurare. Se mai verrà eretta la città di Giustizia, l'unica di cui nemmeno Calvino parli mai, dentro le sue mura il passato verrà cancellato dal destino dell'uomo, assieme al futuro. E alla poesia.
Un abbraccio, Valter