PAURA DELLA CONOSCENZA

                                                                      

 

Un giorno Mauritius se ne venne con questo bel rompicapo: è meglio sapere o non sapere? Aveva appena letto il grido di dolore di un frequentatore dei social, il quale aveva postato… che c’è di strano? Non si dice così sui social? Se preferite dico pubblicato, nel senso di esternato, fatto conoscere il suo pensiero, affidandolo alle labili ali di FB, circa un punto di autocoscienza che sembrava fatto ad hoc per definirne la personalità, non proprio preminente, dell’agente.

 

Diceva infatti il poveretto, constatando amaramente, più cose imparo, più scopro quanto sia grande la mia ignoranza e la cosa mi spaventa. Ecco è di questa sua paura che vorrei parlare oggi, trascurando il punto da cui parte, la scoperta di un’ignoranza che supera il livello di accettabilità dell’individuo.  

 

La domanda è : è lecito avere paura della propria ignoranza? O meglio, avere questo timore, arricchisce lo spirito del soggetto, in quanto dimostra una volontà di progredire, o lo sminuisce, nella misura in cui l’ammetterlo può apparire atto di arrogante presunzione, o, al contrario, esso non è che un balbettio di così trascurabile consistenza, che averne timore sarebbe una dimostrazione di pochezza intellettuale, da arrecare nocumento alla persona, che in buona fede e con lodevole zelo se lo è posto, quando forse avrebbe fatto bene a tacere del tutto e non cadere nel ridicolo? 



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Come potete ben vedere, allora il titolo di questo post, che non mira ad altro che a perdere un po’ di tempo, avrebbe dovuto essere Paura della mancata conoscenza, di cui però si inizierebbe ad avere sentore, mano a mano che aumentino le conoscenze acquisite.

 

Socrate, come sapete, si accontentava di dire di sapere almeno una cosa, che poi era quella di non sapere niente, quindi per lui il problema non si poneva. Chi, credendosi superiore a Socrate, potrebbe affermare di saperne di più? E poi, a quale scopo? Una specie di inventario delle nozioni già apprese, che messe a confronto con quelle non ancora acquisite, le quali, maledette, aumentano ogni giorno di più, a dismisura, tanto da far spaventare, ma chi, poi? C’è veramente qualcuno che si spaventa di non sapere? Sarà un modo di dire: il pozzo è così profondo da far tremare le vene e i polsi. Tutto qui. Allora perché ne stiamo a parlare?

 

C’è Dante che, attraverso la figura di un Ulisse insoddisfatto di tutto, il quale, con un gruppetto di fedelissimi, si lancia nell’avventura più disperata, per amore della conoscenza e va alla scoperta del mondo senza gente, arrivando fino alle rive della montagna del Purgatorio, dove però trova la morte insieme a tutti i suoi compagni, il quale ci ricorda che fatti non fummo a viver come bruti, come tutti sappiamo, ma per seguire virtù e conoscenza, senza paura di sorta.

 

La virtù consiste nell’avere acquisito la coscienza, oltre che la conoscenza, ammesso che tra i due termini esista una differenza di significato, di quel che occorre possedere per rientrare nel progetto di uomo, che non consiste nell’accumulazione di nozioni sempre più numerose e precise sulle cose mutevoli di questo mondo, ma piuttosto nel trovare una soddisfacente collocazione nel proprio ambito, senza l’ambizione di contenere l’intero scibile umano.

 

Perché il gioco è troppo bello. Flaubert, penso che abbia raggiunto il massimo di efficacia possibile, nella descrizione di quanto possa essere inutile inseguire un impossibile sogno di conoscenza universale, senza costrutto, per il solo desiderio di sapere, narrandoci la storia e le disavventure di due personaggi unici nel loro genere,  Bouvard e Pècuchet, campagnoli benestanti che decidono di dedicarsi all’agricoltura e per questo intraprendono studi approfonditi, di agraria, ma, visti gli scarsi risultati ottenuti, ben presto passano a studiare  altre materie,  cercando in un pazzo disegno di circoscrivere ciò che non può essere contenuto in uno spazio qualunque sia la sua ampiezza e da una materia passano all’altra, senza mai realizzare niente di buono.

 

Il libro che parla di una così stupefacente storia, è rimasto inconcluso. Mi piace pensare che ciò sia avvenuto per l’impossibilità di esaurire la materia delle conoscenze che possono esser perseguite dagli uomini.

 

E siamo al punto di partenza.  Il problema non è sapere tutto, cosa impossibile per chiunque, ma è sapere di più cosa possibile con l’impegno di ogni giorno.

 

Clap, clap, clap, gli applausi erano di Pancrazio e Sebastiano, quest’ultimo con la saracinesca calata a metà, pronto a chiudere. Nel locale non c’era più nessuno.

Commenti

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  3. A Mauri' po esse mai che solo Lucio/46 ti ispira argomenti da postare qua a lo Zibaldino? Se giri bene su FB ne trovi di altri argomenti su i quali avresti tanto da dire. Lucio mi ha riferito che è lusingato da questa tua attenzione nei suoi confronti ma dice che c'è anche di meglio di quanto posta lui da commentare. Ti saluta Rimiratore "l'origliatore".

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  4. Maurizio sente una voce che non è quella del Rimiratore ma dell'origliatore. Comunque è d'accodo con quello che dice. Lucio /46 non sarà più una fonte. D'altro canto, perché quel 46?

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  5. La spiegazione è banale: ho un omonimo nato pure lui a Bellante ed il nome è molto diffuso per cui l'aggiunta dell'anno di nascita mi distingue alla meglio.

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