LEZIONE DI VITA
Maurizio era piuttosto imbufalito; aveva ancora in mano un
foglio, una lettera che gli era stata recapitata da poco e che aveva appena letto
e, non sapeva ancora per quale motivo, lo aveva disturbato e fatto leggermente
incazzare.
Era Licius il solito Licius, che gli aveva scritto per
raccontargli di un episodio al quale aveva preso parte, che a giudizio di chi
leggeva, era di sapore caramelloso, sembrava inventato e comunque tutto da
discutere. Quello che lo aveva fatto stizzire, però era il fatto che il
racconto, intitolato LA LEZIONE DI VITA egli lo avesse dedicato “agli amici
dello Zibaldino”, quasi questi avessero bisogno di una qualche lezione da parte
di chicchessia; come se egli avesse da dare lezioni. E’ vero, nella lettera non
era scritto così, la lezione di vita era quella che aveva ricevuto lui, da un
mendicante illuminato, tipo il Santo Bevitore, ma il fatto irritante era che quella
dedica nascondeva il chiaro intento di estendere la LEZIONE a tutti gli appartenenti
allo Zibaldino e questo era troppo.
Riunì subito i quattro cinque che stavano bighellonando nei pressi
del bar e li portò nella sala delle discussioni, chiudendosi la porta alle
spalle, come se si trattasse di affare top secret. In realtà la questione era
delicata e richiedeva prudenza.
Così, una volta - foto web
Con Chiara, intanto le cose non erano del tutto chiarite
(nonostante il nome), per cui si può comprendere con quale animo confuso egli si accingesse alla bisogna: si sentiva sospeso a mezz’aria ed il
sentimento di maggior peso in quel momento era perciò di insofferenza per tutti e per tutto.
Quel cazzo di Licius doveva intervenire proprio in quel
momento, con quella bagattella sdolcinata, contenente, per giunta, la richiesta
di pubblicarla sullo Zibaldino, a futura memoria.
E’ arrivata, disse agli astanti (quattro in tutto), una
lettera, il mittente è quel tale Licius, che si è affacciato qualche volta da
noi e che non sappiamo ancora quale gioco stia giocando e che rapporti abbia
con quel rompiscatole che si fa chiamare Rimiratore. Mentre parlava, agitava il reperto come un
ventaglio.
Lesse ad alta voce:
Dedicato
agli amici dello Zibaldino:
LA LEZIONE
DI VITA
Oggi al
mercato del paese ho colto le parole di un poveraccio seduto a terra con il
cappello riverso posato a fianco. Dentro solo qualche monetina insufficiente
per un panino e sul viso l'espressione sincera di un sorriso.
"Salve"- dissi offrendo qualche moneta - "questi basteranno oggi
per comprarti da mangiare e bere, sarà ben triste la tua vita da come
vedo" - "Nient'affatto signore, un posto dove riposarmi e ripararmi
dal maltempo l'ho trovato e vivo dell'aiuto di quelli come lei" - "Ma
ti manca quel minimo di benessere per poter essere sereno" - replicai con
garbo - "No signore mio" - rispose stavolta sorridendo ma con tono
serio - "IL BENESSERE NON È NEL POSSEDERE TANTI BENI MA NEL SOFFERMARSI A
VIVERE I MOMENTI DELLA VITA PER SENTIRLA VIBRARE IN TE E INTORNO A TE
INFONDENDOTI GIOIA E PACE" - ci stringemmo la mano salutandoci ed io mi
incamminai tra le bancarelle colpito da quelle parole, paragonando il mio
vivere ansiogeno con il suo.
Alla fine
della lettura di quella breve lettera, Maurizio fece una pausa significativa e
guardò ciascuno dei volti che aveva intorno.
I loro occhi non dicevano nulla e la sensazione generale era che non
avessero capito niente e per quale motivo ne stessero parlando.
Il primo a
prendere la parola fu Ottavio: Credo di essere uno dei più anziani di questo
circolo, ma, se si fa eccezione per San Francesco, io in vita mia di un mendicante
felice non ne ho ancora mai sentito parlare. Che possa dare lezioni di vita,
poi lo escluderei del tutto. La loro è
una vita da parassiti. Come farebbero ad
essere soddisfatti della loro condizione e gioire del frinire delle cicale dello
stridere delle rondini e del mormorio della foresta?
Evelina, la
figlia di Pancrazio, che era occasionalmente lì col padre, disse:
Io ne
conosco molti di vagabondi, sbandati e barboni e li amo tutti. Nella mia azione
di volontaria della protezione civile faccio insieme agli altri la raccolta di
generi alimentari e di prima necessità che poi andiamo a distribuire tra i più
bisognosi e non posso dirvi quanta umanità vi sia in loro, così umili, ed
indifesi. Quasi non credono al fatto che qualcuno possa interessarsi di loro ed
accettano i doni con pudore, come se si vergognassero di essere di fastidio per
gli altri. Ma per loro non chiedono niente.
E i
miserabili che si inginocchiano per terra, con il cartellino Ho fame, come li
giudicate, disse Maurizio. Quelli che ostentano deformità, spesso autoprodotte
per impietosire la gente ed indurla ad essere generosa?
Io ho donato
un libro, una volta, intervenne di nuovo Evelina. C’era una ragazza, che per un
certo periodo di tempo, era sempre seduta per terra, in un angolo di strada,
con due cagnolini ed un cartoncino sul quale era scritto sobriamente “Un po’ di
aiuto”. La ragazza aveva accanto a sé uno zainetto pieno di libri e leggeva in
continuazione. Ogni tanto si fermava davanti a lei un bambino e lei allora
alzava gli occhi dal libro aperto e tirava fuori da una borsa uno palloncino
gonfiabile, lo gonfiava, ci legava il filo e lo dava al bambino, il quale,
tutto contento, metteva una moneta nel cestino posto ai suoi piedi. Io avevo
con me solo un libro, che avevo comperato in libreria pochi minuti prima e
passando davanti a lei, intenta nella lettura, Maupassant mi parve di leggere
sulla copertina, depositai il libro di fianco al cestino. Lei alzò gli occhi
meravigliata, guardò prima me, poi tornò a guardare il libro, La Luna e i Falò e
lo prese, se lo rigirò tra le mani, provò ad aprirlo, ma era troppo commossa e
non riusciva a leggere neanche una riga. Se lo strinse al petto piangendo, poi
fece il gesto di prendere un palloncino anche per me. Le feci segno di no, non
ero una bambina. Allora mi mandò un bacio sulla punta delle dita poi si portò
la mano sul petto dal lato del cuore.
Non ricordo
la strada che feci per tornare a casa.
Ho capito,
riprese Maurizio, anch’io ho avuto un bacio da una cantante di strada, anzi più
d’uno, perché dopo il primo acquisto di un Cd artigianale, contenente le sue
canzoni, ogni giorno, quando arrivavo io, smetteva di cantare e si avvicinava
per darmi un bacio. Era una bella ragazza dell'est Europa, occhi azzurri, capelli biondi, che quando sorrideva, faceva vibrare tutte le corde del sentimento, diciamo così.
Allora, ho
anch’io qualcosa da narrare, disse Pancrazio. C’era un tizio che tutte le
mattine si metteva sul lato del corso opposto al bar Centrale e lì, stendeva
per terra un tappetino sul quale posava un piccolo registratore a pila che
suonava solo canti religiosi e, appoggiata
alla parete, una cornicetta con l’immagine della Madonna; a fianco un cestino,
con dentro un tovagliolino ricamato e
lui si collocava al lato opposto della
strada, seduto ad un tavolinetto del bar, senza ordinare niente, il tempo
necessario a ricevere le prime donazioni, dopo di che si alzava, raccoglieva quanto
aveva racimolato e si risedeva la bar, per ordinare una lauta colazione con
cappuccino e brioche.
Per qualche
tempo si è accompagnato con una donna musulmana, col burka, che era gentile con
tutti, tranne quando si collocava in un angolo della piazza e cominciava a
vomitare imprecazioni senza senso contro tutto e tutti.
Per
concludere, disse Maurizio, cosa dobbiamo pensare di questa trovata di Licius?
A me sembra che quello che dice il mendicante in quella lettera, siano belle
parole, ma artificiose. Chi può credere a queste vibrazioni dell’animo, quando
lo stomaco è vuoto?
Io ci credo
disse Evelina.
Che ti dicevo?
Replicò Maurizio, rivolto a Pancrazio e Ottavio, siamo troppo vecchi per fare
questo mestiere.
Questa volta, la lezione ce l'ha data Evelina, con il suo giovane cuore, disse Ottavio. Lei ha investito in amore tutte le sue possibilità. Può darsi che il mendicante di Licius sia una millantatore, che ha la sua tana, le sue comodità e gioca fare il filosofo alla Diogene, ma può darsi anche che egli sia un raro esempio di puro di cuore che è caduto in un baratro dal quale tuttavia vede il cielo e non le ombre che si addensano intorno a lui, senza l'ansia che caratterizza il nostro modello di vita.
Voi non potete immaginare, aveva detto la ragazza, senza essere udita, per quante vie sia possibile per una persona, finire a vivere per la strada e quando ciò capita, comunque quella persona è fragile ed ha bisogno del nostro aiuto. Io credo in lei mi piacerebbe aiutarla a rialzarsi.
Io volevo far rialzare uno che stava in ginocchio e diceva di avere fame, disse Pancrazio, Vieni gli dissi, andiamo al bar che ti offro un panino.
Non posso andarmene da qui, per non perdere il posto. mi rispose. Dammi l'equivalente in soldi, il panino me lo compro, io, dopo.
Allora non hai fame gli dissi e me ne andai.
Questa volta, la lezione ce l'ha data Evelina, con il suo giovane cuore, disse Ottavio. Lei ha investito in amore tutte le sue possibilità. Può darsi che il mendicante di Licius sia una millantatore, che ha la sua tana, le sue comodità e gioca fare il filosofo alla Diogene, ma può darsi anche che egli sia un raro esempio di puro di cuore che è caduto in un baratro dal quale tuttavia vede il cielo e non le ombre che si addensano intorno a lui, senza l'ansia che caratterizza il nostro modello di vita.
Voi non potete immaginare, aveva detto la ragazza, senza essere udita, per quante vie sia possibile per una persona, finire a vivere per la strada e quando ciò capita, comunque quella persona è fragile ed ha bisogno del nostro aiuto. Io credo in lei mi piacerebbe aiutarla a rialzarsi.
Io volevo far rialzare uno che stava in ginocchio e diceva di avere fame, disse Pancrazio, Vieni gli dissi, andiamo al bar che ti offro un panino.
Non posso andarmene da qui, per non perdere il posto. mi rispose. Dammi l'equivalente in soldi, il panino me lo compro, io, dopo.
Allora non hai fame gli dissi e me ne andai.
La riunione
finì con un nulla di fatto.
L'intento di questo racconto inventato, ispirato alla essenzialità di Diogene ed alla "rrobba" di Mastro Don Gesualdo, è tutto nella frase in grassetto: siamo talmente presi dalla cura delle ugge quotidiane e sociali del vivere, vinti anche dalla smania di avere sempre più cose, da riduci ad "esistere" inseguendo false felicità. Il paragone tra il mio modo di vivere ansiogeno e quello immaginifico, improbabilmente sereno, del mendicante evidenzia l'esser talmente presi da mille cose da dimenticare il benessere che ci dona la contemplazione, dei cui frutti possiamo godere se ci "soffermiamo a vivere" in momenti di tempo dilatato.
RispondiEliminaLicio e Rimiratore concordi.
Mi unisco al consenso manifestato dalle due controfigure di Licio e Rimiratore, in quanto quello che dici è senz'altro vero, anche se, non proprio nuovo. Comunque, una volta dentro, l'argomento è di largo respiro ed induce ad altre considerazioni, che ho cercato di fare, nello spirito giocoso di sempre, senza offendere la sensibilità di alcuno. Per la verità si è tirato dietro un secondo capitolo, in corso di prepazione nel momento i cui è giunta questa tua nota, che ugualmente metto in onda, sperando che non affondi. Non badare a qualche giudizio un po' "forte", che fa parte della finzione.
RispondiEliminaScusami per ogni eventuale contrarietà che posso aver procurato senza volerlo.
Mi piace come scrivi.
Sei sempre "il mio capitano".
RispondiElimina