UNO

La città ideale di Platone, la Repubblica, come noto fu la sua principale proposta di filosofo per porre rimedio ai mali della Polis ateniese della sua epoca, sempre più attanagliata al suo interno dalle lotte fratricide tra fazioni opposte.
 
La città ideale di Plotino, che avrebbe voluto chiamare Platonopoli, in quanto gli abitanti avrebbero dovuto vivervi secondo la costituzione scritta nelle Leggi di Platone, più che una città retta dai filosofi era stata da lui immaginata come una vera e propria 'città dei filosofi', una sorta di buen retiro per la sua cerchia di filosofi-mistici-asceti, dove ognuno avrebbe potuto vivere libero e indisturbato nel perseguire la propria personale estasi nel ricongiungimento con l’Uno.

Quella di Plotino è infatti la filosofia dell’Uno e, se ci pensate bene, è la perfetta filosofia in formato imperiale: uno è l’imperatore che rischiara con la sua ineffabile presenza il suo regno in lungo e in largo e Uno è il principio che nel “sistema” di Plotino emana da sé il mondo intero.
Allo stesso modo, come all’aumentare della distanza dall’imperatore si indebolisce lo status sociale dei sudditi, altissimo nei cortigiani più prossimi fino a degenerare nella barbarie delle tribù che si assiepano agli estremi confini dell’impero, così all’allontanarsi dall’Uno si affievolisce l’essere degli enti che popolano il cosmo di Plotino, fino a spegnersi del tutto nella periferia, occupata dalla materia bruta e informe, non più rischiarata in alcun modo dalla luce vivificante del sommo Principio.

Una sola cosa aveva sbagliato Plotino, una cosa che aveva invece compreso perfettamente il suo illustre predecessore Paolo di Tarso. Non aveva capito che anche all’ultimo dei sudditi dell’Uno bisognava pure dare una qualche soddisfazione. E che cos’è che ogni suddito teme di più se non la morte, specie quando questa può poi essere in ogni momento disposta a suo piacimento dall’imperatore (tipicamente mediante il richiamo alle armi e la spedizione su questo o quell’altro fronte di battaglia)?
 
Paolo promise allora la resurrezione in carne ed ossa a tutti i sudditi fedeli e disciplinati.
Plotino non se ne avvide (anche perché nella sua filosofia non esisteva proprio un posto per il concetto stesso di morte). Fu così che il neoplatonismo perse la guerra con il cristianesimo, suo nemico giurato, che di lì a poco, con Costantino, sarebbe stato eletto a culto personale dall'imperatore, per poi divenire addirittura religione di stato sotto Teodosio.

Purtroppo il neoplatonismo, sconfitto a corte, rimase vivo sotto traccia intrattenendo continue relazioni extraconiugali con il cristianesimo stesso (basti pensare ad Agostino di Ippona). Disgraziatissimamente, fu poi rispolverato, assieme al suo fratello gemello, lo gnosticismo, dai neoplatonici rinascimentali fiorentini e così, di riffa o di raffa, ancora oggi ci troviamo tra i piedi filosofi formato impero che vorrebbero farci credere che Uno solo possiede l'Essere al mondo.

Adesso voi spero che abbiate capito l’antifona, quando sentite qualcuno che vi propugna una qualche filosofia dell’Uno, è perché è convinto che lui è Uno e voi non siete nessuno (ma questa il Marchese del Grillo la sapeva dire ancora meglio).
Estote parati.

Commenti

  1. Complimenti Valter per la tua bella lectio magistralis. E' una cosa utile oltre che divertente, parlare di filosofia in modo così soft ed accattivante. Le relazioni extra coniugali fra neoplatonismo e cristianesimo con il richiamo ad Agostino, sono una trovata geniale.
    Al riparo da anatemi. Lucio mi ha ricordato che oggi è la Pentecoste.

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