IL BARDO DELLA CIUFFETTA

Vi ho mai narrato, iniziò Sebastiano, libero quel giorno, avendo pregato Silvana di badare al bar, la storia del Bardo della Ciuffetta?

Ma che è, ‘na favola? blaterò Pancrazio. Guarda che non siamo bambini e non devi farci addormentare.

Per i meno dotati di un bagaglio proprio, devo prima spiegare chi è un bardo.

Io c’ho una valigia, non so se ti va bene. A disturbare era sempre Pancrazio.

Sì, una valigia di cartone legata con una corda, così puoi fare il migrante, gli tirò dietro il Seba, piuttosto seccato. Anzi se parti subito ci fai un piacere.

Poi, concluso l’esercizio di pazienza, dopo aver contato fino a dieci, riprese:

Il bardo è un cantore di poesie, che si accompagna col suono di una cetra. Veramente i bardi veri stavano nella Gallia molto tempo fa, quando lì c’erano i Celti. Chi erano i celti? Manco questo sapete? Erano un popolo germanico, più o meno, come quelli che sconfisse Giulio Cesare. Non posso approfondire l’argomento, sennò qua facciamo notte; a voi basti sapere che i bardi erano celti. Se qualcuno vi chiede, potete rispondere che tanto adesso non si trovano più. Partita chiusa e non ne parliamo più.

E come mai allora tu ci vuoi raccontare di un bardo della Ciuffetta? Interruppe Chiara, che, giunta da sola, si era seduta nel posto più lontano da quello dove era seduto Maurizio. La Ciuffetta sta a Valle Castellana ed è un posto bellissimo; io ci vado spesso e non ho mai visto un bardo.

Muschio - 2014

 
E che ne so io? Rispose Sebastiano. Perché, allora, vicino a Basciano, non c’è la Valle Siciliana?
Eppure là, non trovi un siciliano, manco a spararlo.

Con la lupara? intercettò la palla al balzo, Pancrazio.

No, col fucile di canna di tua sorella, si imbestialì Sebastiano. Ed ora lasciami lavorare.

Suvvia, intervenne Ottavio, conciliante, il bardo quindi sarebbe come l’aedo dell’antica Grecia, o come il trovatore della Provenza.

A Napoli? Interloquì Pancrazio.

Come a Napoli?

Le provole, no? Non si fanno a Napoli? Ma si trovano pure qua. Non capisco perché ci vuole un trovatore.

Per carità di patria, Ottavio fece cenno a Sebastiano di seguitare, senza dare più spazio alle interferenze di Pancrazio.

Vincenzo Monti, il grande poeta italiano del ‘700, non tuo zio, ammiccò verso il Pancra, che di bardi se n’intendeva, ne cantò uno che chiamò Il Bardo della Selva Nera. Ora la selva nera si trova in Germania, e la Ciuffetta qua da noi; che c’è di strano? Sempre di selva si tratta e, se vuoi saperlo, quella nostra è più bella, sebbene più piccolina; ci sono degli alberi giganteschi, che fanno paura. Non per il lupo, non c’è nessun lupo, ma per quanto sono imponenti.
Ora dovete sapere che dove c’è una selva, è facile trovare un cantore, magari senza cetra, ma con una chitarra, che differenza fa? Il cantore, si siede ai piedi di una pianta e canta, canta del suo amore e della sua sfortuna. E’ poco il mangiare; è tanto se un turista di passaggio, dopo averlo sentito cantare, gli dà mezzo del suo panino.

Per farlo stare zitto! Gridò una voce irriconoscibile.

Zitto, tu cafone! Che non conosci il valore della poesia. Il poeta è magro, è un asceta.

Da Napoli siamo andati in Siria, guagliò? Là ci stanno gli sciiti a mucchi.

Qualcuno, forse involontariamente, appoggiandosi con la schiena alla parete, vicino alla porta, azionò l’interruttore di corrente e la luce si spense. Nella sala si fece buio.

Nel silenzio generale, una voce accennò un canto, accompagnato da un bell’accordo di chitarra. Nel buio si udivano solo il respiro di alcuni e i sospiri di altri, ma nessuno parlava. Il buio favoriva una condizione di mistero che affascinava. Il canto finì, con gli ultimi accordi dello strumento e la voce tacque per qualche attimo, poi, in un silenzio che si fece più fitto, iniziò un racconto che tenne fin da subito tutti incollati alle sedie.

Il racconto cominciò con una breve descrizione del luogo: una collina pelata e sul cocuzzolo, un gruppo di alberi dal fusto poderoso. Visto da sotto si capiva perché La Ciuffetta. Su questa collina era vissuto in un tempo non memorabile, un cavaliere di nome Nessuno, che si era invaghito di una donna valligiana che si chiamava Eleonora, moglie di un potente del luogo. Ogni notte egli montava la guardia sotto il palazzo dove la dama abitava col marito, senza farsi mai sorprendere e, a mezzanotte, intonava una bellissima canzone, le cui note erano dirette solo a lei e solo lei le sentiva.

Poi se ne tornava nella sua dimora sulla collina e da lì per il resto della notte un canto sommesso allietava i sogni degli abitanti della zona.

Ogni donna o ragazza del contado pensava che le canzoni, alcune tristi, altre melanconiche, ma piene di passione, fossero dedicate a lei, tranne la donna del cuore del bardo. In realtà il bardo nessuno lo conosceva, solo la sua voce era nota a tutte. Quando si seppe chi era la prediletta del cavaliere (la gente mormora), le donne del paese, disertando il letto coniugale, o a una sola piazza le non sposate, si riunirono in una seduta notturna ai piedi della Ciuffetta e deliberarono di fare fuori la fortunata preferita.

Come fu come non fu, Eleonora dopo poco tempo, morì. Il marito indisse per lei un funerale sontuoso al quale partecipò tutto il paese. Durante la cerimonia funebre, quando giunse il momento di sigillare la cassa da morto, ecco che si presentò uno sconosciuto che chiese di vedere la salma.

Questa donna, disse, accarezzando con gli occhi la cara figura, è morta per colpa mia ed adesso darò la mia vita per la sua, al fine di farla rivivere.

Il prete che officiava la cerimonia, guardava con occhi sospettosi il giovane, non capendo quanto stesse avvenendo. L’uomo si avvicinò al marito della morta e gli porse un’ampolla contenente un liquido di colore verde.

Fatele bere questo filtro, gli disse, versandoglielo in gola, non appena io me ne sarò andato. Essa rivivrà, fidatevi; si tratta di un filtro potentissimo preparato da una maga che solo io conosco e di cui non posso rivelarvi l’identità. Ma vi do la mia parola di gentiluomo che si tratta di una cosa seria.

Ma chi siete voi?

Chi sono io non ha alcuna importanza.

Ma dove andrete?

Scomparirò dalla vostra vista e vi prometto che non mi vedrete mai più.

Il prete cercò di opporsi.

Non posso permettere che si facciano pratiche eretiche e superstiziose. Dio ce ne scampi, signore, e si rivolse al vedovo, non dovete farlo ne va della salvezza della vostra anima e di quella della vostra amata moglie. 

Toglietevi di mezzo, disse il vedovo al prete, farei qualunque cosa per riavere la mia Eleonora. Aiutatemi a tenerla sollevata per farla bere, disse ad alcuni parenti che stavano lì vicino. Prese l’ampolla dalle mani del cavaliere e si girò verso la bara dove la donna riposava la pace eterna.
Intanto intorno al feretro si accalcava sempre più gente, tutti erano curiosi di vedere cosa stesse per accadere.

Largo, largo fate largo diceva qualcuno al fine di impedire che le persone più vicine alla bara soffocassero per la grande quantità di gente che premeva. Il prete era rimasto in disparte e senza parole, in mano il mazzuolo per aspergere l’acqua benedetta ed il sacrestano dietro che reggeva il fornelletto pendulo per bruciare l’incenso. 

ORA!!! disse forte il cavaliere e tutti guardarono dalla parte dove il corpo della donna era sostenuto sollevato a metà dentro la cassa, come seduta, con la testa mollemente riversa, in modo da offrire la bocca alla mano del marito che reggeva l’ampolla e si accingeva a versarle il liquido in gola.

VERSA!!! ordinò una voce ed il vedovo, con una mano dischiuse le dolci labbra della morta e con l’altra cominciò a versarle il liquido in bocca. Il liquido gorgogliò nella sua gola e scese nell’esofago; un piccolo rivolo, fuoruscì dall’angolo della bocca e macchiò la sua veste immacolata.
Ed ora, che succede? Chiese il marito, girando la testa indietro, in cerca del cavaliere. Un muro di volti davanti a lui, ma del cavaliere nessuna traccia. Cavaliere, impetrò piangendo, ora cosa debbo fare? Ma non ottenne nessuna risposta. Disperato si rigirò verso il catafalco e vide. La morta aveva riaperto gli occhi.

Santissimo Iddio, riuscì appena a dire e svenne. La confusione intorno alla cassa divenne insostenibile. Tutto traballava. La gente urlava, pregava, molti si stracciavano le vesti di dosso. C’era il rischio che la morta, appena tornata in vita, finisse schiacciata dall’entusiasmo delle persone che avevano letteralmente perso la testa.

Due colpi d’arma da fuoco, ebbero l’effetto di gelare la situazione. La gendarmeria, prestamente avvertita, era arrivata ed ora voleva imporre l’ordine.

Eleonora, aiutata a scendere dal catafalco, era ora insieme ai suo parenti che non credevano ai loro occhi ed erano contenti e spaventati da quello cha avevano visto.

Dopo una breve indagine i gendarmi, chiesero di parlare con il Cavaliere più volte nominato nel corso del racconto confuso e scoordinato degli interrogati, ma per quanto si facesse, in tutto il paese e nei paesi vicini, nessuno sapeva di un cavaliere, bardo o non bardo, che aveva fatto un miracolo ed era scomparso.

La voce tacque ed il silenzio fu rotto da più voci contemporaneamente.

Ci furono applausi (pochi), fischi (molti), una gran confusione, sedie rotte e tonfi di corpi che cadevano.

Quando la luce finalmente tornò, la sala era ormai vuota.

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