DAL BASSO

Nella memoria di Maurizio c’era il ricordo di un basso, una dimora di povera gente, fatta di una sola stanza dove un’intera famiglia viveva nella promiscuità e nella miseria più assoluta. E’ una storia di quelle comuni, di degrado, umiliazione, che si svolge in una città qualunque, in un tempo indeterminato, in cui ai colpi di una sorte malvagia, si aggiunge la cattiveria umana, rischiarata appena, da un barlume di speranza in un riscatto forse ancora possibile.

La fortunosa storia del basso napoletano, diventato emblema dell’anima di quel popolo, si è sviluppata nel corso dei secoli, trasformandosi, da espressione del disagio sociale di una parte, quella più povera della popolazione, come descritto da Matilde Serao, a punto di confluenza di vari elementi che della popolazione costituiscono la vera sostanza, indispensabile per far sì che sentimenti di grande umanità fioriscano, mescolati ad odori corporali poco gradevoli, in una visione corale come quella rappresentata nelle commedie di Eduardo De Filippo che di quell’anima ha esplorato i più profondi recessi.

Il basso di Nunziatina non era a Napoli, ma in una città all’estrema periferia, a nord dell’ex Regno di Napoli. Dove le condizioni per ricreare l’atmosfera della ex capitale, non ricorrevano e la gente era molto meno propensa a condividere gioie e dolori.

Nunziatina aveva avuto una vita molto infelice; il marito Vincenzo, operaio addetto alla manutenzione dei boschi della montagna, era diventato invalido in seguito ad un infortunio sul lavoro; privo di assistenza e senza lavoro, si era dato all’alcool ed era ormai inutilizzabile per qualunque cosa.


Matera, 2011


La famiglia di Nunziatina, con due figlie femmine ed un maschio, da sana e dignitosa che era, si era col tempo degradata fino a diventare ricettacolo di nequizie.

Nessuno più osava entrare nel basso, un tempo pulito e tenuto dignitosamente, ora ridotto ad un tugurio sporco e maleodorante. Nell’unica stanza poco illuminata, non c'erano finestre, i familiari cucinavano, dormivano mangiavano e andavano al bagno. In uno squallore indescrivibile.

Nessuno di loro esercitava un’attività remunerativa e i mezzi di sussistenza arrivavano esclusivamente dall’assistenza pubblica, scarsa ed inadeguata, che all’epoca conosceva anche l’obbrobrio di una certificazione rilasciata dal Comune, attestante lo stato di miserabilità delle famiglie disagiate. Gli intoccabili della nostra società. Era una carta che dava diritto ad alcuni sussidi indispensabili, in misura appena sufficienti a sopravvivere.

L’accidia era il sentimento più diffuso in tutta la famiglia e l’abbandono di ciascun componente, ne era la rappresentazione somatica.

In questa situazione al limite della tollerabilità, si inseriva spesso e volentieri, il dileggio dei concittadini che veramente a quei livelli non conosce pietà, né commiserazione. Pur essendo, spesso, i dileggiatori ferventi cristiani.

In particolare avveniva che bande di ragazzi sfaccendati e nullafacenti, con scarsissime risorse intellettuali e morali, si divertivano in maniera infame ad infliggere sofferenza ai più deboli, insultandone la miseria.

Nel quartiere dove era il basso di cui Maurizio aveva memoria, da tempo imperversava una teppa di ragazzacci incoscienti, che organizzavano incursioni davanti alla porta aperta di quella abitazione a livello stradale, con azioni di disturbo contro la povera Nunziatina, caduta pure lei, nella dipendenza da sostanze alcooliche.

Nunzià, bianco o rosc? Era l’insulto urlato da quei feroci bontemponi nell’interno dell’abitazione alla povera donna che alla provocazione rispondeva con insulti e parolacce. Nunziata era stata una donna di carattere, devastata dalla mala sorte, che conservava alcuni tratti di un passato in cui le sue qualità si facevano valere. Se non veniva molestata, non dava fastidio a nessuno. Se ne stava in silenzio nel buio della sua stanza e borbottava, senza essere udita, imprecazioni, o forse preghiere. Assorta nel suo sopore comatoso. Provocata, diventava una belva feroce, ma di quelle da circo, che ruggiscono per il sollazzo degli spettatori, al comando della frusta del domatore. Una furia innocua, la cui impotenza, facilmente eccitava la gente sicura della propria impunità, a risa sguaiate.

Non era del tutto assente a sé stessa. Senza essere vista, guardava fuori dal suo basso ed osservava i movimenti che avvenivano sulla strada, i passanti, l’auto dell’autista da piazza, la carrozza del carrozziere, anch’essa addetta al servizio pubblico, i cani randagi che tentavano di entrarle in casa e lei li scacciava. La vita che formicolava nel mondo fuori del suo.

C’era un giovane che vedeva ogni giorno passare in un senso e dopo qualche tempo, nell’altro, che andava sempre solo o si accompagnava con uno più piccolo di lui, forse, pensava suo fratello. Li aveva notati perché, diversamente dagli altri, non schiamazzavano mai e non insolentivano nessuno. Tutt’al più, attraversando il tratto di strada davanti a lei, davano una sbirciatina furtiva dentro casa sua, per vedere se era possibile distinguere qualcosa in quel guazzabuglio di cose e persone in un’atmosfera di costante oscurità. Ma non per curiosità; forse avrebbero offerto anche qualcosa per elemosina.

Il pensiero dei due s'intristiva ogni giorno, passando davanti a quell'antro, dove, all'interno era possibile distinguere il luccichio degli occhi degli occupanti, fosforescenti come quelli dei gatti, ed invece erano persone, la cui vita trascorreva nel silenzio indifferente di una comunità senza sentimenti veri. Vite che non avrebbero avuto mai il diritto ad un'esistenza condivisa.

Nunziata li vedeva e li invidiava, li ammirava, ma finiva con l'odiarli. Dovevano fare vita tranquilla; magari studiavano, andavano a scuola. E i suoi figli, invece? Quale destino era mai stato il suo? Nessuna speranza per chi è povero. Ma i suoi pensieri non andavano mai oltre perché la sua mente non sopportava altri affanni. Era stanca ed annebbiata. La sua fine sarebbe stata nella miseria e i suoi figli sarebbero andati allo sbaraglio. Maledetto il mondo e la scarogna! Il suo Vincenzo era stato un bell’uomo, forte e lavoratore. Ora era ridotto ad un rottame. Speriamo che muoia presto pensava suo malgrado.

C’era stato un episodio, che riemergeva ogni tanto in lei dai fumi dell’alcool. Ed era proprio relativo a quei due ragazzi; un episodio che era servito per un po’ di tempo a darle qualche speranza, almeno sul fatto che non tutti fossero cattivi: c’erano persone buone con le quali, non era del tutto sgradevole convivere, anche nelle difficoltà più nere. Ci sarà forse in fondo una giustizia, arrivava perfino a pensare. Val la pena soffrire, se c’è ancora una fiammella a riscaldare il cuore.

Davanti alla sua porta si era adunata la solita canea di ragazzi urlanti chiassosi, per farla impazzire e lei aveva impugnato la scopa per scacciarli e magari colpirne qualcuno. Ma i suoi movimenti erano lenti ed impacciati. Aveva le gambe intorpidite e le testa confusa. Menava colpi alla rinfusa, ma i ragazzi agilmente si spostavano e schivavano i colpi e ridevano e schernivano. Con furia lei, prese ad urlare parolacce senza senso, del tutto inadeguate alla situazione, che di più eccitavano al riso i malmostosi.

Ad un tratto Nunziata, vinta e stroncata nel fisico, vide il gruppo dividersi e in mezzo farsi largo i due ragazzi che lei vedeva passare ogni giorno. Essi presero posizione sulla soglia della sua casa e rivolti verso il gruppo cominciarono a menare pugni e calci, respingendoli e costringendoli, dopo una breve colluttazione, ad una ritirata precipitosa.

Mascalzoni, gridò il più grande dei due dietro ai fuggitivi, se osate un’altra volta di dare fastidio a questa donna, avrete a che fare con noi e con i nostri amici e vi faremo assaggiare una lezione che non dimenticherete facilmente.
Entrambi, fecero anche la mossa di inseguirli, ma desistettero subito, perché il gruppo si era dissolto per i vicoli.

I giovani si accertarono che la cosa fosse finita lì, fecero sedere Nunziatina su una sedia e, una volta constatato che si era ripresa e respirava regolarmente, la tranquillizzarono ed andarono via.

Nunziata, dopo un poco, si guardò intorno; il marito dormiva seduto su una sedia, appoggiato al suo bastone, le figlie, sommariamente vestite, si baloccavano, assenti a tutto, sul letto nel quale entrambe dormivano di notte, il maschio era fuori e non sarebbe ritornato prima di sera. Era sgomenta ed esaltata contemporaneamente. Per la prima volta qualcuno aveva fatto qualcosa per lei e la sua famiglia così mal ridotta. Si alzò dalla sedia ed andò nell’angolo dove c’era il bacile e il secchio d’acqua per lavarsi e si dette una rinfrescata al viso.

Voi due, disse alle figlie, smettete di ciondolare come due fannullone, prendete scopa, bastone e straccio e cominciate a pulire per terra e a mettere in odine le vostre cose. Quando avrete finito, lavatevi e vestitevi. Non voglio più vedervi così. Lei stessa indossò una vestaglia che pendeva da un piolo attaccato alla parete, un po’ meno sporca di quella che portava. Ebbe la tentazione di bere un goccio del pessimo vino che aveva, per tirarsi su, ma resistette. Mai più bere per abbrutirsi. Bisognava cominciare a fare sacrifici, per il bene della famiglia.

Quando vide ripassare i due giovani che avevano scacciato quel branco di sfaccendati, corse loro incontro e li invitò ad entrare in casa sua.

Voglio ringraziarvi per avermi liberato da quei mascalzoni; vi prego di accettare la nostra ospitalità e di entrare nella nostra casa, dove sono anni che non entra più nessun estraneo.
Voglio presentarvi le mie due figlie e dirvi che vi ringraziamo per quello che avete fatto per noi, noi siamo a vostra disposizione per fare qualunque cosa possiamo per voi.

Chissà, forse l’inizio di un nuovo racconto, pensò Maurizio.

Commenti

  1. Lucio su suggerimento di Rimiratore, che era venuto a conoscenza di questa vicenda, pensò "ma che fossero Vittorio e Bruno che nen pò vedé lu malevedè? "

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