L'ETERNO RITORNO

Non vi spaventate, cari amici, non vi annoierò con ciò che non so. Dell’eterno ritorno so solo che la combinazione delle due parole, eterno da una parte e ritorno dall’altra, mi attrae, mi procura l’effetto di una sorta di horror vacui, la paura del vuoto, che toglie il respiro, dà le vertigini, ma attira irresistibilmente. Con queste mie chiamiamole pure considerazioni, vorrei soltanto farvi riflettere sulla vastità di un concetto che unisce due temi di grande impatto emotivo, l’eternità e il ritorno e con questo godere del piacere dell’impalpabile.

Al centro di tutto questo, c’è la vita, c’è l’uomo e il suo destino.

Si parla dell’essere e di un ciclo temporale che si ripete all’infinito Qualcosa che ritorna eternamente, attimi, brandelli di vita che si ripetono in continuazione, con un andamento curvo sena fine. Un’immagine mi ha colpito: pensate ad una porta aperta, dalla quale si dipartono due percorsi, il primo va verso sinistra e rappresenta il futuro (non poteva essere altrimenti), il secondo gira a destra ed è il passato (idem). All’interno, i due percorsi si unificano e quello è il momento del presente, l’unico vero della vita. Fuori i due binari hanno un andamento circolare e quindi sono destinati ad incontrarsi. In quel punto, il futuro incontra il passato e lo rivive. Un serpente che si morde la coda.

L’attimo presente dà il senso della vita; lo percepiamo come un continuum, ma è fatto di singoli attimi, quello appena trascorso è già passato, quello che viene è futuro.

Ricordate i sei personaggi di Pirandello, che tornano sulla scena ogni sera non per ripetere la stessa rappresentazione, ma per rivivere le stesse emozioni di sempre?

Qualcosa del genere si può ritrovare anche nei libri di Patrick Modiano, lo scrittore che ha sublimato il passato, il vissuto, alla continua ricerca delle impronte che rimangono impresse, invisibili, nelle case, sui muri, nelle strade, nei bar, nelle stazioni ferroviarie, dove i singoli individui hanno trascorso la loro vita o sono passati e non possono non aver lasciato una traccia di sé. Per un ritorno che si disvela poco alla volta nella mente di chi è alla ricerca di sensazioni, intuizioni, scoperte, per farle rivivere.

Ad aver parlato per primo dell’eterno ritorno dell’uguale è stato il filosofo Nietzsche, forse inseguendo la reminiscenza di vecchie credenze arcaiche, il quale dichiara di essere stato folgorato ad un certo punto da questa idea, che quindi non è frutto di un pensiero logico, meditato, ma è un’illuminazione.

Nietzsche, ho letto, ne ha fatto cenno in più parti, cominciando da Zaratustra, senza mai affrontare il tema e porlo al centro di un trattato, per una esposizione esauriente, segno, dice l’autore del trafiletto da me letto, che anche egli non aveva le idee molto chiare sulla effettiva consistenza del tema. Infatti, ogni volta che ne fa cenno, più che l’illustrazione di una teoria, sembra fare la rivelazione di un mistero. E misteriosa è un po’ tutta questa materia.

Questa rivelazione è anche alla base di un romanzo di Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, che già nell’ossimoro del titolo, annuncia la sua adesione, con aggiunte alla teoria di Nietzsche.

Resta il fatto che l’enunciato Eterno Ritorno mi affascina e vorrei parlarne a modo mio, come il buon selvaggio che si lascia attrarre dalle pietruzze e vetrini senza valore, solo perché luccicano, non essendo in grado di apprezzare il valore dei gioielli veri.

Dei viaggi che ho fatto, non molti per la verità, il momento del ritorno è stato sempre non dico il più bello, farei torto ai posti che ho visitato e che mi sono piaciuti, nonché ad una affermata tradizione di indefessi viaggiatori che nel loro viaggiare hanno scoperto di sentirsi cittadini del mondo, con grande loro crescita spirituale, ma almeno la fine di una inquietudine dovuta all’instabilità della condizione del viaggio, con ciò scoprendo i limiti che sono dentro di me, che non contemplano gli spazi esterni ed interni che si acquisiscono con l’attitudine al nomadismo.

Quanto all’eterno, riferito al ritorno, si trova in esso tutto il fascino dell’indefinito con cui si configurano le cose più belle, perché sconosciute, ma attraenti. L’argomento è troppo vasto e non è possibile parlarne in questa sede. Nell’infinito è facile perdersi (e il naufragar m’è dolce in questo mare).

O ritrovarsi. Ritrovare se stesso e ritrovare gli altri (qualcuno direbbe l’altro da sé). Ricordo un bel film visto moti anni fa, intitolato Il Cerchio, in cui si intrecciano diverse storie circolari, in un progredire che è anche ritorno alle origini, anche se il cerchio non si chiude, ma è una specie di spirale che si avvolge su se stessa.

Lo scrittore danese Jan Brokken, autore, tra l’altro di Anime Baltiche, Un Romanzo Russo, Bagliori a San Pietroburgo, afferma che viaggiare, leggere ed ascoltare sono i modi migliori per ritrovare se stessi. Il ritrovamento è un ritorno.


                                                                       The Latvian National Galllery  -  Riga

Non sono mai stato in Estonia, Lettonia e Lituania, con le loro capitali, Tallin, Riga e Vilnius, eppure la lettura dei libri di questo scrittore viaggiatore mi ha lasciato il senso di una nostalgia profonda per questi Paesi. Così come pure ho nostalgia per San Pietroburgo, la Neva, il Golfo di Finlandia, il Giardino d’Inverno.

L’uomo nasce, vive la sua vita e dopo muore. Tutto qui?

L’eterno ritorno, se è sempre uguale, identico a se stesso, non farebbe sempre rivivere questa nostalgia? E io potrei mai trovarmi a Riga nella libreria di Janiz Roza, una delle più grandi del mondo?

L’interrogativo è apertissimo, concluse il Mauritius, magister parvissimarum (maestro delle cose minime), sempre più forbito, paludato nella sua veste di lumicino degli umili, lui, modestissimo artigiano della parola scritta e parlata con qualche venatura di vernacolare.

C’è qualcuno che possa dirci cos’è davvero l’eterno ritorno? Degli uguali, poi…

Commenti

  1. Nella foto: Endla Narure Reserve, ESTONIA

    RispondiElimina
  2. L'eterno ritorno, come tutto del resto, a me piace indagarlo da una prospettiva aristotelica. Se un ente è in atto significa che era prima in potenza. Che ne è allora di questa potenza di essere quando l'atto viene meno? Scompare o rimane. Perché se rimane, allora potrà ritornare a farsi atto. Anzi, se il tempo si estende all'infinito, ogni potenza ritornerà all'atto un'infinità di volte. Se poi è lo spazio a estendersi all'infinito è ancora più interessate, perché allora vorrà dire che tutto ciò che esiste in potenza esisterà anche concretamete in atto adesso da qualche parte dell'universo.
    Valter

    RispondiElimina

Posta un commento