MAGI SMAGATI

Una controstoria.

Ormai erano vicini alla meta. Fuori dalle porte di Gerusalemme e con la segreta intenzione di non metterci più piede, per non dover rivedere il sorriso mellifluo di quell’ipocrita del re, Erode il Grande (così si faceva chiamare, a dispetto della sua mignoneria - da mignon, piccolo, "Ah Baldassà, che fai mo' t'inventi pure le parole?"); la stella che indicava un punto sempre più localizzato verso cui indirizzare gli zoccoli dei loro cammelli, i tre Re Magi (sì erano tre, perché il quarto, quel certo Taor che veniva dall’India, gran ghiottone della malora, aveva dato buca), erano stanchi e, per dirla tutta, smagati.

Ora qui conviene aprire una parentesi: smagati, nella sua accezione più semplice vuol dire scoraggiati, privi di forza di volontà per scoramento. Quindi se i magi a questo punto lo erano, ciò non era imputabile ad una perdita di credibilità del loro status di Magi, che poi, se vogliamo, nemmeno loro sapevano più che significato dare a quella parola, visto che veniva contestata o messa in dubbio da molti. Sapevano infatti che di loro si diceva in giro che non erano maghi, non erano re, allora chi cazzo erano? Valeva la pena ammantarsi ancora di quei panni, fregiarsi di quegli orpelli, darla a bere ai gonzi, come quell’Erode lì, e farsi passare per personaggi di altissimo rango che andavano a rendere omaggio al più sfigato (senza offesa per nessuno), dei bimbi nati sulla terra, nessuno mai in condizioni di così grave miseria ed indigenza?

Dati i tempi non era ancora il caso di parlare di crisi di identità. Ma nessuno poteva impedire loro di fare una semplice riflessione: essi già immaginavano cosa avrebbero trovato, il trionfo della miseria più assoluta.

Quindi il loro scoraggiamento era la conseguenza non del ridotto ruolo delle loro figure ieratiche, per tradizione ricche di ogni ben d Dio, sebbene, a giudicare dai regali che portavano, c'era da fare qualche riserva per la ricercatezza delle loro scelte, ma dove diavolo tenevano la testa, benedetti uomini? Oro incenso e mirra in luogo di coperte e pannolini, che razza di modo di recare soccorso a chi si trovava nudo in mezzo al gelo!

Il loro scoraggiamento era invece l'effetto di una perdita di fiducia nei confronnti della possibilità che l'evento annnciato potesse essere foriero di un rinnovamento generale delle coscienze e dei destini del mondo.

Ma suvvia, un bimbo inerme, un bue e un asinello a riscaldarlo con il loro fiato, ti voglio vedere in una stalla, con spifferi ad ogni angolo, nessun genere di confort, non uno straccio di culla, ma una mangiatoia per animali, che anche loro se la dovevano passare male, visto che era vuota.

Niente, si trattava di un sia pur momentaneo soprassalto di mestizia, essi erano svuotati, privati di ogni illusione. Il mondo andava male e loro non avevano rimedi da proporre per migliorarlo.

A voler credere, come temeva quell'imbecille di Erode, tiranno e vile, o auspicavano tutti i poveri della terra, che si trattasse della nascita di un re di Galilea, che avrebbe rimesso le cose a posto, quanto tempo si sarebbe dovuto aspettare perché gli effetti di quel prodigio si potessero vedere? Almeno venti, se non trenta anni e forse qualcuno in più.

Era azzardato dirlo, voi dite? Ma erano le stelle a farglielo pensare: c’era una congiuntura tra Orione e Cassiopea, che non diceva nulla di buono. Per esperti come loro dei destini scritti nelle stelle, non era difficile leggere che di lì a circa trentatré anni si sarebbe verificato un evento tragico che avrebbe messo tutto in discussione, nel mondo intero, ancora una volta. E poi i secoli, i millenni si sarebbero avvicendati, senza che i torti venissero riparati e giustizia fatta.

Conveniva allora tornare indietro, non cercare più il nascituro, o il già nato a loro insaputa (e sì, da questo punto di vista, bisognava ammettere che le stelle non erano state punto precise), o magari cercare Taor e farsi indicare una buona locanda dove rifarsi delle loro sofferenze e disagi, concedendosi un meritato (con un po’ di faccia tosta), riposo a base di dormite e sfizi a tavola, cosa di cui l’assente poteva far da maestro a chiunque di loro, e dimenticarsi la storia del re dei re?

Per fortuna prevalse il parere contrario e i tre fecero l’ultimo tratto di strada e giunsero nei pressi di Betlemme.Qui sostarono per un breve consulto. Bando alle ubbie delle ultime ore! La partita era ancora tutta da giocare ed essi non avrebbero lasciato nulla di intentato.

Dall’alto della collina, videro davanti a loro distendersi la valle dove si sarebbe verificato il miracolo. Un paesino dall’aspetto tranquillo: quattro case, sparse lungo il crinale, un affaccendamento da giorno di festa; nonostante l’ora serale, molta gente era per la strada, in cammino verso una sola direzione.

Dal basso, i più accorti, videro, sull’orlo della collina, stagliarsi contro il cielo la figura di tre viaggiatori montati su alti cammelli, che, giunti sulla vetta, sostarono indecisi. Le cavalcature, al freno, tiravano le briglie, irrequiete e battevano il terreno sul posto, con zoccoli polverosi. Poi ad un tratto, ripresero ad avanzare, iniziando la discesa. Come in una dissolvenza dell'immagine, le loro figure, lentamente scomparvero, dalla linea ormai incerta dell'orizzonte, inghiottite dalle ombre della notte che infittivano a valle.

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