INCIPIT

"Incipit" è l’inizio. L’inizio di ogni cosa; voce del verbo latino "incipere", che vuol dire "incominciare", significa 'comincia'. Nell’uso sostantivato, diviene l' "inizio".

Ma come di ogni cosa? Interruppe subito Pancrazio.

Dio disse Lux e la luce fu. Quello fu l’inizio di tutto ciò che ci circonda. Ma noi vogliamo parlare di cose più semplici, in particolare dell’incipit di un libro. Non di come è nato nella mente dell’autore. Noi il libro lo scopriamo, nuovo, intatto, in libreria, oggetto compiuto in sé, che si presenta come una scatola chiusa, ermetica, accattivante all’apparenza, che suscita sentimenti contrastanti di attrazione e diffidenza. Forte è l’aspettativa, per quanto vi possa essere dentro, di contenuto, grande il timore che questa nostra aspettativa possa essere disattesa.

Lo prendiamo tra l mani, lo soppesiamo, lo giriamo in un senso e nell’altro, ammirandone le rifiniture, leggiamo le prime note riportate sul retro della copertina, infine lo apriamo, quasi con trepidazione. Il primo impatto con la pagina scritta crea le prime impressioni. Ci piacerà?

I nostri occhi vanno ai risguardi di copertina e, quando c’è una sovraccoperta, alle due alette dei risvolti laterali, ove sono contenute informazioni sull’opera e sull’autore.

A questa prima sommaria conoscenza, arrestiamo di solito l’esame in libreria e decidiamo se la cosa fa per noi o no.

Una volta a casa, posiamo l’oggetto sul tavolo e da quel punto inizia l’attesa del momento in cui cominceremo a leggerlo. Non sarà un momento qualunque. Forse è bene farlo sedimentare un poco, farlo riposare, come si fa con un buon vino. Non tutti i momenti sono buoni. Bisogna che siamo scevri da ogni preoccupazione…

Scemo sarai tu – interruppe rozzamente Pancrazio – con la volontà proprio di far cessare il fiume di parole che uscivano dalla bocca di Maurizio,

…che disponiamo di un periodo di tempo abbastanza lungo per una lettura non disturbata da elementi esterni, che siamo con lo spirito predisposto ad aprirsi al nuovo…

Amen, disse Pancrazio.

Maurizio si arrestò, come se si fosse svegliato da un’ipnosi. Chiuse gli occhi un attimo, per concentrarsi e rientrare in sé, poi li riaprì e diresse lo sguardo verso il punto della stanza dal quale era partita la battuta.

Ma ancora una volta, fu Pancrazio a parlare per primo.

Mi sembra che stai a dire una messa. Stai facendo di una cosa semplicissima un vero e proprio romanzo; l’abbiamo capito che cosa è il cipit del libro, andiamo avanti.

Se non ti interessa quello che sto dicendo, puoi sempre andartene – fu la risposta del risentito Maurizio. Nessuno se ne accorgerà, perché credo che agli altri interessi sapere come va a finire questo romanzo, come lo chiami tu.

Anche io lo voglio sapere, è solo che non vorrei perdere molto tempo.


Allora stai zitto e non disturbare…disse Maurizio

…il conducente, aggiunse Pancrazio a mezza bocca, suscitando qualche scoppio di risa tra i suoi vicini.

Quello di cui ho parlato finora, rappresenta solo l’inizio di un cerimoniale che ognuno di noi prepara ed esegue, a seconda dei propri gusti e delle proprie abitudini. Poi arriviamo al momento fondamentale che è il primo contatto con la scrittura, il punto di accesso alla parte più interna, interiore, intima dell’opera che è l’inizio. E’ come avere in mano le chiavi di una nuova casa, che non conosciamo ed inserire per la prima volta, la chiave nella serratura; la porta si apre e siamo nell’ingresso. Dalla prima impressione che ne riceveremo, capiremo se qualcosa sta per cambiare nella nostra vita, per l’immediato futuro, oppure no.

Da come inizia il libro, dalle prime parole, il lettore che si accosta ad esso, si trova nella stessa condizione di un osservatore che si affaccia sull’orlo di un pozzo profondo, si sforza di guardare, ma non scorge il fondo. Con il libro è ancora peggio: egli lo guarda con animo speranzoso, ma nel contempo guardingo, affascinato dall’oggetto misterioso, da cui nascono aspettative ancora non chiare, ma vive, che potranno trovare conferma e portare al superamento di eventuali remore, o, viceversa, essere disilluse e far sorgere sentimenti di ostilità, o disamore.

L'impatto con un libro che non si conosce, è in genere il momento più delicato, dal punto di vista del rapporto che si deve generare tra l’opera e il suo fruitore, ed un inizio non appropriato, può indurre ad un giudizio sbagliato.

Quello che segue è un estratto di quanto da me scritto e pubblicato, con lo stesso titolo, su FB il 12 gennaio 2017, che per completezza riporto.

Quando Dante si è posto davanti al compito immane di descrivere l'indescrivibile, parlare del mondo ultraterreno, ha dovuto pensare ad un 'incipit' che introducesse subito il nocciolo della questione e avesse appunto un impatto forte ma accattivante: "Nel mezzo del cammin di nostra vita..." non può non colpire tutti i sensi del lettore che si avventuri tra gli endecasillabi del nostro maggiore poeta. C'è nelle parole, chiare, altisonanti, un senso di sospensione e di mistero "mi ritrovai per una selva oscura", pausa: "che la diritta via era smarrita".

Lo smarrimento è anche nell'animo del lettore, che non può non andare oltre, con diletto e tremore, introducendosi cautamente nel mondo delle ombre. A sorreggerlo, la voce dell'autore che si rivela subito guida sicura, all'altezza di tanta emozione.

"Incipit vita nova" è l'inizio di un'altra opera dantesca, scritta prima della "Commedia", "La Vita Nova", in cui sono sviluppate alcune tematiche che saranno alla base dell'opera maggiore, come l'amore per Beatrice, la profonda crisi spirituale da lui attraversata, dopo la morte dell'amata, la ripresa e la rinascita attraverso un amore purissimo che lo porterà ad affrontare il passaggio nei tre regni dell'aldilà.

Se posso fare un esempio del massimo effetto di un incipit, citerei l'inizio della Bibbia, dove si parla appunto dell'inizio del mondo, del creato, della vita sulla Terra, cioè dell'incipit di tutto quello che ci circonda: "In Principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque". Non è forse questo l'inizio di una grande cosmologia, nella quale si afferma con sicurezza ciò che nessuno può sapere, dando del mondo una spiegazione che anche oggi, a distanza di migliaia di anni, ci attrae e sgomenta?

Sto parlando dell'effetto che le parole fanno e non certamente di una teoria religiosa, che noi tutti oggi sappiamo essere letteratura.

Passando a cose più 'terrene', "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti", è il solenne inizio de "I Promessi Sposi", a lungo cercato e alla fine trovato dal Manzoni, che, come qualcuno ha suggerito, se letto ascoltando un brano musicale come il "Chiaro di Luna" di Beethoven, si ha l’effetto di una simbiosi tra parole e musica, di rara efficacia.

Come si sa, gli eventi narrati in questo romanzo, si rifanno al '600 italiano e l'ambiente è quello dell'allora Ducato di Milano, sotto la dominazione spagnola. Nello stesso periodo di tempo, in Spagna, un altro autore degno di figurare nel romanzo manzoniano per le numerose avventure di cui è costellata la sua stessa vita, iniziava il prologo di un suo libro rivolgendosi direttamente al lettore, chiamandolo "desocupato lector", tradotto per lo più come "sfaccendato", ma la traduzione italiana non rende interamente il senso di questo termine 'desocupato', comunque andiamo avanti :"sfaccendato lettore, potrai credermi senza che te ne faccia giuramento, ch'io vorrei che questo mio libro, come figlio del mio intelletto, fosse il più bello..." è Miguel Cervantes de Saavedra, che dà l'incipit al suo Don Chisciotte, con le parole "In un borgo della Mancia, che non voglio ricordare come si chiama, viveva non è gran tempo un nobiluomo..." Dalla descrizione che segue, del tipo di nobiluomo decaduto che era Chisciotte, dal fatto che l'autore 'non vuole ricordare il nome del borgo, dal quale proveniva', unitamente all'invito rivolto al 'desocupato lector', si capisce di fronte a che tipo di componimento ci troviamo: si tratta di un romanzo ironico, erroneamente ritenuto opera per l’infanzia, mentre invece è opera che complessa che, fingendo di voler rinnovellare i fasti della letteratura cavalleresca, all'epoca abbondantemente inflazionata e giunta agli epigoni, ne farà terra bruciata, con il rogo finale dell'intera libreria del Cavaliere ad opera del curato e del farmacista del paese. Un romanzo di passaggio? Solo nel senso che segna la fine di un’epoca e ne inaugura un’altra.

Oltre all'inizio, ciò che conta in un romanzo è anche la fine, l'exit, ed amara è la conclusione del capolavoro del Cervantes: La follia sublime, che faceva la grandezza del personaggio, ad un tratto abbandona il cavaliere che torna ad essere un uomo qualsiasi e muore senza gloria. (1)

In tempi a noi più vicini, ecco un altro incipit da tutti citato per la sua immediatezza: "Per molto tempo mi sono coricato presto la sera", nell'originale:"Longtemps, je me couchè de bonne heure". Seguono bellissime pagine dove è possibile gustare già tutto il fascino de "La Ricerca del Tempo Perduto" di Marcel Proust.

Ma vi è un libro che io considero uno dei più belli del nostro Italo Calvino, "Se una notte d'inverno un viaggiatore", che è tutto un incipit. Una serie di inizi fulminanti, inanellati uno all'altro, nel susseguirsi dei capitoli, nei quali, ogni volta, l'incipit successivo è così affascinante da farci dimenticare subito la grande emozione provocata da quello precedente, in un susseguirsi di storie che non hanno mai fine e lasciano col fiato sospeso il lettore, come di fronte ad uno spettacolo pirotecnico, una girandola scoppiettante di trovate, dove ad una meraviglia segue un'altra meraviglia.


1) A proposito della “sana follia” di Don Chisciotte, mi piace ricordare quanto simpaticamente detto da un commentatore di cui non ricordo il nome, che suona così: se in una libreria, il Don Chisciotte, venisse messo nello stesso scaffale, a fianco di Anna Karenina, il Cavaliere, di certo, la salverebbe.

Alla fine della sua prolusione (ecco un’altra parola che a Maurizio piacerebbe mettere sotto la lente di ingrandimento), raccolse i suoi appunti dal tavolo e fece per alzarsi. Pancrazio, che aveva fatto finta di dormire per tutto il tempo, a questo punto, alzò la testa e con il suo miglior sorriso, si rivolse all’oratore:

Grazie mille, Maurizio. Sei stato veramente bravo la tua è stata una vera lecto magistrales. Mi è piaciuta tantissimo. A quando la prossima?

Maurizio non rispose, si levò in piedi e, compuntamente si avviò, insieme agli altri, verso la porta. I più vicini a lui credettero di udire, in un sussurro tra i denti

Maledetto imbecille! Ma poi si fermò, aspettò che passasse e quando gli fu davanti, gli tese la mano, Caro Pancrazio, se tu non ci fossi, bisognerebbe inventarti.

In fondo in fondo, sentiva di volergli bene.

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