CIUFFOLOTTO

Questa volta non mi sfugge. Farò per lei una danza come nessuna ciuffolotta ha mai visto fare da un ciuffolotto innamorato, per conquistarla. Era nato da circa un mese ed aveva un petto rosso sempre gonfio di amore, di gioia di vivere. Ma era ancora vergine. Aveva visto i suoi amici già felicemente accoppiati che lo guardavano adesso dall’alto, con un senso di superiorità e questo gli dava una punta di dispiacere al petto, quel bel petto dorato, che fino ad allora non era riuscito a conquistare nessuna femmina.

Quel mattino era certo che il miracolo si sarebbe senz’altro verificato. Volava di ramo in ramo, tutto tronfio emettendo segnali che più scoperti di così non si poteva, uno zufolo lungo e due brevi, squillanti, forti, frementi di passione; praticamente richiami disperati che sorgevano dal cupo del bosco e si spandevano lungo balze e pianure, come di uno che sta per affogare (ma il mare non c'era).

All’improvviso comparve una Ciuffolotta che aveva raccolto il grido di dolore ed intendeva placarlo. Questa Ciuffolotta sembrava conoscere i segreti dell’amore e come prima cosa si posò per terra, osservando con interesse le evoluzioni che faceva lui, nell’aria, intorno a lei – questo ciuffolotto mi sa che ci sa fare – pensò e già pregustava la gioia dell’incontro.

Mi chiamo Cit, le disse posandosi vicino a lei con un saltello agile ed elegante che sollevò una piccolissima nube di polvere. Danzerò per te la danza della coda, che, come danza dell’amore è la più gradita da parte delle femmine.

Io mi chiamo Gam, rispose lei, facendogli gli occhi dolci, assisterò volentieri alla tua esibizione.

Cit cominciò battendo una zampetta per terra, ripetutamente, poi si slanciò in un volo turbinoso che avvolse Gam per tre volte. Di nuovo a terra, intrecciò passaggi velocissimi che stringevano la piccola Ciuffolotta con il suo petto grigio in un cerchio sempre più stretto, fino a quando, al culmine di una sarabanda di salti e capriole, si lasciò cadere per terra, con la pancia bianca ed ansante bene in vista, e la coda che vibrava di desiderio, in attesa di un segnale di gradimento da parte di lei.

Che non mancò ed anzi fu particolarmente caldo e coinvolgente, da far gridare lui al miracolo. L’eccitazione li prese e li spinse lontano in preda ad una frenesia che trovò sfogo nel folto del bosco, lontano dagli occhi dei curiosi e degli invidiosi, con mille giochi ed effusioni.

Finalmente non sono più vergine, pensò. Ti prometto che fino a quando vivrò non ti lascerò a patto che tu mi sia fedele. Con tutto il mio cuore, sarò con te per tutto il tempo della mia vita, in una gabbia, rispose lei.

A catturarli pensò Pancrazio, la mattina stessa, quando li trovò vicino a casa sua, stremati dall’amore e dal freddo. La stagione infatti era prematura e il tepore della primavera un’aspirazione destinata a rimanere tale ancora per diversi giorni.

Lì per lì gliene furono grati, perché li salvò ponendoli al caldo della sua abitazione e fornendoli di cibo e di acqua senza che dovessero sbattersi per procurarseli, in seguito però, quando si svegliavano al mattino dietro le sbarre della gabbia, confortevole fin che vuoi, ma sempre prigione, come tale insopportabile, i loro cuoricini si stringevano di tristezza.

Fino a quando…l’arrivo di Sebastiano recò la buona novella (il Natale non era poi tanto lontano).

Da quel giorno, sarebbero andati ad abitare nella sala delle riunioni di un circolo (ah! questi umani!), liberi, fuori dalla gabbia ed in un secondo momento, addirittura all’aperto, fuori della finestra, con l’obbligo di rientrare la sera prima della chiusura, pena la perdita di alloggio e cibo gratis. Una vera pacchia, se vogliamo.

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