DOVE FINISCONO I SOGNI

“Licio , che ci fai qui a quest’ora? Ti togli per favore da lì, ché debbo aprire la saracinesca?”. Sebastiano era sbalordito. Non gli era mai capitato, e sì che faceva quel lavoro da dodici anni, mai nessuno si era fatto trovare addormentato, davanti al suo bar, con la schiena appoggiata alla saracinesca, all'ora in cui lui regolarmente apriva. Erano circa le sei e non era ancora giorno, data la stagione di inizio primavera.

“Era ora” rispose Licio, sobbalzando e tirandosi su, a fatica ritornando alla realtà da quella strana posizione di abbandono. “E’ un po’ che aspetto e sono molto stanco. Ho passato tutta la notte fuori. Se non mi fai un caffè subito, muoio.”
“Dammi il tempo di aprire e te lo faccio doppio il tuo caffè”. Il rumore della saracinesca che scarrellava verso l’alto, coprì in parte la sua voce.

Sebastiano aprì la porta a vetri ed accese la luce. Il bar s’illuminò tutto, proiettando una luce rettangolare sul quell’angolo di piazza ancora buio.

“Entra, disse, e siediti, il caffè arriva presto”.

Passato dietro al banco, si adoperò per mettere in pressione la macchina. Fece un primo caffè, che versò nel lavello, dopo di che pose sul banco un piattino corredato di cucchiaino, affiancandogli la zuccheriera con gesto automatico e, dopo un poco, la tazzina fumante e rimase in attesa.

Licio si alzò dalla sedia sulla quale si era gettato appena entrato e si avvicinò al banco, e prese posto davanti alla tazzina del caffè.

“Mi puoi dire che cavolo ti è preso?” gli chiese Sebastiano, vedendolo accostare le labbra tremolanti all’orlo della tazzina calda. Non avrai visto per caso il diavolo?”.

Licio assaggiò prima la bevanda, con piccoli sorsi, poi rispose.

“Che fosse il diavolo o un santo, era comunque una persona molto cortese. Mi ha detto di chiamarsi Previo e di essere tornato a Teramo dopo molto tempo trascorso fuori. Io ero per strada, nel cuore della notte, perché, non riuscendo a prendere sonno, speravo che lo strano nervosismo che mi aveva preso, cessasse con una passeggiata. Ti dirò che mi piace camminare di notte lungo il corso deserto e poco illuminato ed ogni tanto lo faccio”.
“Beato te che puoi permettertelo, si vede che poi la mattina dormi fino a tardi. Io non posso, debbo aprire il bar a quest’ora”.

Ci furono alcuni attimi di silenzio rotti solo dall’acciottolare della tazzina e del piattino posati nel lavello sotto il getto dell’acqua. Poi Licio cominciò a parlare come tra sé, mormorando parole masticate come in trance.

“Erano pressappoco le tre, sotto i portici del bar di Fumo… perché poi seguitiamo a dire di Fumo, quando Fumo non c’è più da tanti anni? Mi guardavo intorno e mi sembrava di non riconoscere il luogo. Il bar, con le vetrine spente e le serrande con le grate di ferro abbassate, i tavolinetti, le sedie. L’edicola con le bacheche vuote: era tutto addormentato e silente. Estraneo. Non un passo, non un fruscio. D’un tratto, senza il minimo rumore, un pullman, nero, con tutte le luci spente, è scivolato lungo il corso, ignorando il segnale di divieto e si è fermato al lato della piazza. Un uomo è sceso ed il pullman è ripartito, scomparendo subito come era comparso. Non ti nego che ho avuto paura. Quell’uomo nero, solo in mezzo alla piazza, era una figura sinistra. Per di più un leggero alito di vento si è sollevato, trascinando sulla strada, in un piccolo vortice, un foglio di carta spiegazzato che si è sollevato in aria, ha svolazzato un attimo ed è ricaduto a terra. Per un momento ho pensato di fuggire. Sgattaiolare tra le colonne e raggiungere una via laterale. Poi sono rimasto, quasi incapace di muovermi.

E’ venuto lentamente verso di me. Mano a mano che si avvicinava, potevo distinguere i particolari della sua persona. Era non molto alto e bel piazzato sulle gambe. Indossava soprabito e cappello. Un corpo non snello, ma agile; si muoveva con determinazione, senza fretta, ad ogni passo compiacendosi di indugiare impercettibilmente nel mentre spostava il peso del corpo da una gamba all’altra, come in una sequenza al rallentatore. Il volto pallido, piuttosto largo era incorniciato da una barba bianca, corta, che faceva risaltare ancor più la struttura quadrata delle sue mascelle.

“Buona sera” mi disse, “sono stato puntuale?”. Aveva occhi chiari, acquosi, come piccoli laghi in cui si rischiava di affondare.
“Per…per cosa?” gli ho chiesto con voce malferma.
“Per il sogno che stavi facendo” mi ha risposto con la massima serietà. “Non eri in cerca di una soluzione?”.

Mi è tornato in mente il mio sogno, quello che mi aveva tormentato nella prima parte della notte, tra continui risvegli e sensazioni di malessere profondo, appena richiudevo gli occhi, fino al punto da costringermi ad alzarmi ed uscire. Avevo attraversato la città di corsa, fermandomi soltanto sotto i portici del centro. Ma il tempo camminava al contrario, tornava indietro, anziché passare.

“Vieni” mi disse. “Sediamoci qui” ed ha indicato un tavolinetto con quattro sedie. Si è seduto per primo, dando le spalle alla strada. Poi ha atteso che lo facessi anch’io, che invece titubavo. Alfine, sotto l’influsso del suo sguardo, mi sono seduto anch’io, dalla parte opposta del tavolo.
“Chi sei?” gli ho chiesto: “cosa vuoi da me?”.
“Non credo che ti gioverebbe saperlo” mi rispose laconicamente “ma comunque è presto per dirlo. Ci arriveremo, comunque, non temere”.

Licio guardava Sebastiano senza vederlo. Si era seduto appoggiandosi ad un tavolo e sembrava trasecolato.

“Stai bene, amico?” gli chiese il barman.
“Era il sogno che mi perseguitava. Era sceso da quel pullman che proveniva da chissà dove. Ero completamente perso.”
“Il sogno è un mostro che si agita dentro di noi” mi ha detto questo Previo (che razza di nome è?), riprese a raccontare Licio con faccia spiritata. “Quando siamo svegli riusciamo a tenerlo alla catena, ma quando ci abbandoniamo al sonno perdiamo il controllo su di lui ed allora quello ne approfitta per uscire allo scoperto e farci commettere azioni abominevoli.
“Ti vedo smunto, mi disse ad un tratto – così continuava il racconto di Licio - vuoi prendere qualcosa? Un drink, un cordiale?” Si è girato verso l’ingresso del bar, che ora risplendeva di luci, ed ha ordinato per due. Non so come, è comparso un cameriere che ci ha servito una bevanda in due bicchieri scuri, di cui non si indovinava il contenuto.
“Bevi ti rimetterà su” mi ha detto “è un liquore molto forte. Ti scorderai dei guai di questa notte”.

Sento ancora i brividi. Il suo sguardo mi atterriva eppure egli sorrideva e mi guardava con occhi benigni.

“Bevi, bevi, vedrai che sollievo…” Sapevo ce era una trappola eppure ho bevuto. Il cameriere me ne ha servito ancora ed io ho bevuto anche quello. La testa mi girava. Cercavo di poggiarla sul cuscino ma non lo trovavo. La mia camera era sotto i portici. Era uscita gente che mi guardava incuriosita. Mi sono accorto di essere completamente nudo. Ho finto indifferenza, sperando che gli altri non se ne accorgessero. Ho perfino preso la tovaglietta del bar e me la sono messa davanti, tentando di coprire le parti più imbarazzanti.

Una donna bellissima si è avvicinata e mi ha dato un bacio, poi ha teso una mano e mi ha fatto una carezza sul volto, che mi ha provocato un soprassalto di piacere. Ho cercato di afferrarla, ma lei mi ha riso ed è andata via. Una porta si è aperta cigolando. Ho cercato di imboccarla, ma l’uomo mi veniva dietro e non mi mollava. La tovaglietta mi copriva in parte davanti, ma il di dietro era completamente scoperto ed io morivo dalla vergogna”.

“Licio, no! Non bere più” disse Sebastiano all’amico,  togliendogli dalle mani la bottiglia di brandy vuota a metà. “Calmati, hai esagerato un po'. Aspetta chiamo al telefono un amico e ti faccio accompagnare a casa”.

“Licio, ricordati – mi ha detto quel diavolo (o un angelo, venuto a salvarmi?) Non puoi sapere dove ti portano i sogni. Ma io ti mostrerò dove finiscono. Essi sono in fondo al un pozzo profondissimo che nessuno puo' vedere. Ma io per te farò un’eccezione. Andiamo vieni con me, sono il padrone dei sogni perduti”.

Il pullman nero attendeva al centro della piazza; il motore acceso, faceva vibrare leggermente la carrozzeria. I vetri bruniti non facevano scorgere niente dell’interno. Lo sportello aperto era come un occhio cieco nella notte.

Commenti

  1. L'autobus per te è un simbolo ricorrente noto, come per me lo è il treno con i suoi vagoni e le sue stazioni.

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