VERNACOLARE

Panpancrazio, non si sa per quale motivo da qualche tempo gli amici avessero preso a chiamarlo così, se ne stava stravaccato su una sedia che sotto la sua mole, quasi scompariva. Sembrava del tutto abbandonato, come un’ameba, in assenza di volontà ed interessi, infelice senza uno straccio di desiderio. Si era alzato quel mattino con la luna storta ed il primo ad accorgersene fu Sebastiano, che servendogli il primo caffè della giornata, vedendolo accigliato oltre ogni dire, gli chiese, per tirarlo su:

- Che hai fatto? Hai forse dormito col culo scoperto?
- Sebastà, fatti i cazzi tuoi, ché oggi non è giornata. - fu la risposta poco incoraggiante.


Nella stanza erano già in sette-otto e Maurizio pensava che altri non sarebbero arrivati. Meglio così, perché quel giorno non aveva preparato nessun argomento e la sua mente navigava a vista.

- L’Italia è sott’acqua – disse Ottavio – l’acqua alta a Venezia, allagamenti in Toscana, sembra un mezzo finimondo.
- Non dirlo a me – intervenne Domenico il sulmonese, Mimì per gli amici, da poco arrivato al Circolo – ieri sera mi sono preso una suppa!
- E che è mo’ la suppa? – gli chiese Ottavio.
- Che è, quando ti prendi una bagnatura che te la puoi appendere come breve?
- Ah, allora si dice: mi sono presa una ‘mbussa.
- Oh, ma che lingua parla quest’uomo? chiese Ottavio rivolto agli altri, intorno, che stavano ascoltando.
- Qua si parla in vernacolo, che è la lingua dei servi, la parlata plebea, che, al contrario di quella dei padroni, è locale, distintiva, perché si differenzia da paese a paese, come lingua che deve essere intesa da un piccolo gruppo di persone, una setta, un clan, un’associazione segreta. Mentre l’altra, quella franca dei signori è veicolare, tende cioè a trasmettere, a superare le differenze.

A dire questo, con un certo sussiego, era stato Maurizio, il quale, non contento di quanto già affermato, volle aggiungere, con un po’ di gigioneria nozionistica.

- La parola viene dal latino “vernaculus”, cioè domestico, familiare. Pensate che perfino la vernaccia, il vino bianco frizzantino, diciamo pure abboccatello, che è molto diffuso in alcune regioni del norditalia, e che secondo alcuni si chiama così perché si beve soprattutto d’inverno, per ragioni legate alla sua scarsa stabilità, potrebbe avere la stessa origine e significare, invece, vino che si dà alla servitù.
- Stavo facendo la solita passeggiata - volle spiegare Mimì ai volti poco ansiosi dei suoi ascoltatori - che consiste nel giro del Castello, quando un acquazzone mi ha preso proprio nel tratto in cui non c’è alcun riparo e mi sono bagnato come nù poucin’; accidenti a questo tempo.
- Poverino… - disse Sebastiano in tono canzonatorio.
- Avesse volut’ veder a te! – insorse il deriso – Mi sono inzuppato fin dentro le ossa. Arrivato a casa mi son dovuto cambiare da capo a piedi. Li cavuzette, si potevano torcere.
- Li cavuzette? E che sono?
- Non fa niente, se tu non le hai ancora scoperte. Dopo te lo spiego. Ora, per favore, Sebastiano, preparami una bella zuppa di latte, che voglio fare colazione.
- Ma come, non ti è bastata quella di ieri? – insistette il primo.
- Ignorante, non conosci la differenza tra suppa e zuppa. La suppa è in vernacolo ed è quando ti bagni, la zuppa, che è espressione della lingua madre, è quella che ti mangi.
- Maurizio – la voce di Panpancrazio, sembrò emergere dal sottosuolo – qui solo tu puoi rispondere, dall’alto della tua cattedra, sulla base di questa dotta distinzione, quando uno dice “ vorrei inzuppare il biscottino”, si riferisce alla prima, per via del bagnato, o alla seconda ipotesi, che per la verità, col mangiare poco ci azzeccherebbe?

Maurizio, senza guardare in faccia nessuno, né curarsi di dare una risposta, come se niente fosse, si avviò verso l’uscita e, a testa alta e senza salutare nessuno, andò via. Quelli che lo videro camminare sul marciapiede ebbero l’impressione di trovarsi davanti ad un uomo, che, superata ogni perplessità, avesse appena trovato il modo di dare un senso alla propria giornata.

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