TENACE - CAPARBIO

Non tutto è bianco, non tutto è nero, soleva ripetere mia nonna, disse Pancrazio. Voleva dire che le cose cominciano con l’essere bianche o nere, poi, più vai avanti, più cambiano colore; il bianco comincia a diventare grigio e il nero non è più tanto nero.

Sì, perché si sporcano e lo sporco fa nero il bianco e viceversa.

Ma questa è una stronzata, rispose subito Sebastiano. Forse voleva dire che il vero bianco e il vero nero non esistono. Dobbiamo accontentarci di un grigio che noi chiamiamo a volte bianco e a volte nero.

Finestra sporca

State dicendo tutt’e due la stessa cosa e non ve ne rendete conto, intervenne Maurizio. La nonna di Pancrazio era molto più acuta di voi. Il bianco e il nero sono metafore, per parlare di cose buone o di cose cattive, o, se preferite, di cose belle o di cose brutte. Molte volte succede che quel che da principio sembra bianco, cioè buono e bello, dopo un poco, caccia fuori una macchia che ne deturpa il candore, così come, un’zione che a prima vista sembrava malvagia, può rivelarsi col tempo, fatta a fin di bene.

Io invece credo, si intromise Chiara, che la perspicacia di tua nonna, Pan, sia ancora più profonda. Lei voleva dire che il troppo stroppia. Anche un eccesso di bontà può essere alla fine un male.

La mamma che per troppo amore soffoca il suo bambino (metaforicamente)?

Senza rispondere Chiara continuò:

O, inversamente, credete voi che un criminale, sol perché delinque, non abbia un’anima e non sappia coltivare buoni sentimenti, come ogni altra persona?

E’, che dentro di noi albergano due distinti spiriti, uno porta verso il bene e l’altro verso il male.

Ma questa è la teoria dei due cavalli di Platone, il quale dice che noi abbiamo due anime.

Stai zitto ignorantone e non dire le cose a vanvera.

Avete presente la differenza che passa tra “Tenace” e “caparbio”? Nel primo caso, l’essere tenaci e perseveranti è una qualità che distingue alcune categorie di persone che hanno un carattere determinato. Questa tenacia, però, incontra un limite nella ragione; deve “tenere”, resistere, fino al punto massimo di ragionevolezza, oltre il quale diventa caparbietà.

La caparbietà è l’ostinazione, la testardaggine, l’andare a testa bassa contro l’ostacolo, senza sentire ragioni, il che non è saggio e porta al rovesciamento del concetto di tenacia. Essere tenace quando non è più il caso di tenere duro e bisogna riconoscere di essere su una strada sbagliata, vuol dire essere “pervicaci”, e essere pervicaci nell’errore è diabolico, come sappiamo, ma soprattutto è cosa stolta e dannosa.

Il caparbio è cocciuto, capatosta, il suo principale nemico è l’affettazione, che è un muro finto costruito intorno alla propria persona per dimostrare ad ogni costo di essere persona tosta, difetto che si verifica quando alle componenti di costanza e determinazione, virtù del perseverante, si sostituiscono quelle di cecità e sragionevolezza.

Oh, senti, sono stufo di spaccare il capello in quattro, esordì Pasquale. Scarnificare le parole fino a ridurle all’osso, o ad ectoplasmi senza sostanza.

A me sembra il contrario, rispose Chiara. Noi diamo più senso alle parole, o quanto meno, ci sforziamo di capirne la parte più riposta, l’ultima stilla di significato, che alcune volte sfugge.

A questo punto, si alzò a parlare un tale che aveva cominciato a frequentare il circolo, senza mai presentarsi con nome e cognome, per cui lo chiameremo mister Ixs.

Secondo voi, disse, è corretto affermare che il cane è tenace, mentre il gatto è caparbio?

Ma che cavolo stai dicendo? Lo interruppe PanPancrazio, che cazzo c’entrano il cane e il gatto?

Il gatto è infido e sornione, rispose Mister Ixs, mentre il cane è fedele e “babbaione”.

E cu è mo’ stu “babbaione”? Chiese uno.

Io conosco quello di Villetta Barrea, che è un colle che sovrasta Villetta e da lì il paese sembra un favola.

Li babaiun, set’ tutt’ voi che stet’ a s’intì sti strunzat! La voce ignota fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Quando la casciara giunse al suo punto massimo Maurizio proruppe con un pugno poderoso dato sul tavolo, che fece traballare la bottiglia d’acqua che c’era sopra.

Credevo di avere a che fare con persone serie – urlò indignato - interessate a fatti di cultura. Ma mi accorgo di avere davanti a me soltanto una classe di ragazzetti indisciplinati. Vi propongo un ultimo accostamento dopo di che vi licenzio fino a nuovo ordine: sapete la differenza che passa tra vivacità ed irrequietezza?

Tutti zitti col silenzio ripristinato.

Ancora una volta fu Pancrazio a volgere la cosa in barzelletta:

Mio nonno, alla scuola elementare, il maestro chiamò mio bisnonno per dirgli Mimì è un discolo. In classe non sta mai fermo. Anche a casa confermò il bisnonno, di dischi ne ha rotti già tre. Il maestro fece finta di non aver sentito e seguitò è svelto, VIVACE, anche troppo. Voleva dire che era irrequieto ed impertinente. Ma capisce? Per capire capisce ed è anche molto capace, il guaio è che è capace di tutto. Sono contento disse il bisnonno, vuol dire che passa anche quest’anno? Sì, sotto i ponti, sbottò il maestro. Mimì è scostumato e turbolento. Se seguita così, lo faccio radiare dalla scuola. Grazie signor maestro, la radio non ce l'abbiamo e ci farebbe piacere averla. Grazie ancora.

Quando si dice troppo, vero? E Pancrazio rise rumorosamente.

Il rumore delle sedie smosse, coprì quello delle parolacce dei più.

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