TEMERARIO
Maurizio ed Edoardo saltavano allegramente da un masso all’altro, schivando con perizia gli schizzi d’acqua che si sollevavano all’improvviso, quando l’onda batteva schiaffeggiando la roccia, e inondava larghi tratti di scogliera con scrosci spettacolari. Si peritavano di saper cogliere il momento esatto in cui l’impatto si verificava e la direzione che la cascata d’acqua avrebbe preso, evitando così di esserne investiti.
Ettore, disapprovando, si teneva a distanza e non faceva nulla per nascondere il suo disappunto per quella esplosione di festosità fanciullesca, dimostrata dai suoi amici, ritenendo quel gioco inutilmente pericoloso ed insensato: il rischio minore che i due correvano a parer suo, era quello di una solenne bagnatura, cosa di cui non sentiva la necessità, vista la stagione autunnale inoltrata ed il clima non propriamente caldo di quel pomeriggio, anche a voler tacere del pericolo maggiore che era quello di scivolare sui massi bagnati, cadere accidentalmente e farsi male.
In fondo in fondo, però, ad essere onesti, la sua sorda avversione altro non era che un senso di invidia per la loro giovanile spensieratezza, mentre lui, dentro di sé, sapeva di averla persa da un pezzo.
Il loro era un comportamento da ragazzacci temerari, che non consideravano, volutamente o incoscientemente, il rischio che correvano, senza che ce ne fosse la minima necessità. A meno che non si volesse ritenere una necessità, il divertimento. Ecco proprio il fatto del divertimento, gli faceva montare dentro una rabbia inconsulta: come facevano a trovare divertente un gioco così stupido e pericoloso?
Il temerario che bluffa al poker con due kappa, giocandosi la posta, rischia molto, ma almeno ha il miraggio di assistere alla resa del suo avversario che alla fine, non avendo il fegato di rischiare, butta le carte, lasciandogli il piatto senza colpo ferire.
L’improntitudine e la sfacciata incoscienza sono i tratti distintivi di qualsiasi azione temeraria, che si fonda su un vuoto, di scopo, che non c’è, e di luce, che manca. L’origine della parola è infatti il buio: "Tèmere" in latino significa "alla cieca", e la parola richiama quella italiana di "tenebre", rifletteva Ettore, a suo discarico. E si consolava, concludendo che la temerarietà è una prova di coraggio, di arditezza, ma senza la luce della ragione. Quindi è una condotta sconsiderata.
Si può essere temerari oltre che nell’agire anche nel parlare e nell’esporre le proprie idee. Addirittura esiste un tipo di temerarietà che si verifica in campo giudiziario, Ettore lo sapeva per esserci incappato, quando chi promuove l’azione porta avanti una pretesa manifestamente infondata, chiamata appunto temeraria, che viene rigettata dal giudice per ciò stesso.
La cosa durò alquanto tempo, da una parte Maurizio ed Edoardo sempre più allegri e spericolati, che invitavano Ettore ad unirsi a loro, Ettore, dall’altra, muto e scontroso che non rispondeva agli inviti ed anzi vedeva in quella loro ostinazione, una forma di provocazione che non gli andava proprio a genio ed aumentava la sua stizza.
Quando l’onda arrivò improvvisa e non poteva non arrivare prima o poi, sollevando uno scroscio d’acqua di proporzioni notevoli, che si riversò sui due improvvidi salterini, prendendoli in pieno, con un impeto inaspettato, l’allegria cessò di colpo e di fronte al pericolo reale di essere abbattuti tra gli scogli e forse trascinati via, i due temettero il peggio e, barcollando sotto la furia dell’acqua, appena lo scroscio si perse fra le insenature degli scogli, balzellon balzelloni, tornarono velocemente a riva, al di qua della scogliera, con i vestiti inzuppati di salsedine.
Dio mio ti ringrazio! Esplose Ettore appena i due gli furono da presso e Maurizio ed Edoardo, credettero che la sua fosse un’esclamazione di gioia per lo scampato pericolo da parte loro ed erano pronti a rendergliene merito, grati di tanta comprensione, quando lo stesso aggiunse: era da parecchio tempo che pregavo perché succedesse e finalmente è arrivata. Grazie, grazie, non poteva andare meglio. E’ stata un’onda bellissima e vi ha preso in pieno. Ma voi due siete proprio stronzi! Ben vi sta, ve la siete cercata e avete avuto quello che vi meritavate. Complimenti.
Queste parole colpirono i due scampati naufraghi come una frustata, brutto vigliacco, mentre noi correvamo un pericolo mortale, sfidando la sorte, tu tifavi per il mare e facevi voti contro di noi!
I temerari vanno puniti, rispose Ettore, alzando il tono di voce, dovete capire fino a che punto siete stupidi.
C’era del coraggio nella sua voce, ma non stette lì ad aspettare che i due frustrati temerari gli saltassero addosso. Fece per darsi alla fuga, ma non fu abbastanza sollecito: fu agguantato e una pioggia di colpi si abbatté su di lui, da quei due energumeni, bagnati fradici, che, tra il salato del mare che grondava dai vestiti, e qualche goccia di sangue apparso sul volto del malcapitato, sembravano ambire a fare una poltiglia del loro fedifrago amico. Tanto per dimostrare quale dei due comportamenti, di Maurizio e Edo da una parte e di Ettore dall’altra, fosse stato più temerario ed avventato, quello dei primi nell’azione, del secondo, nel giudizio.
Fu una tempesta in un bicchier d’acqua. Per poco, però. A sera erano di nuovo insieme alla tavola calda dove ogni tanto andavano a mangiare la pizza e questa volta i bicchieri erano colmi di vino o di birra, a seconda delle preferenze del momento. Ettore fu così premuroso nei confronti dei due derelitti, da scegliere un tavolo vicino al forno a legna della pizzeria, “Così col calore vi asciugherete i vestiti e starete meglio. Ma almeno avete imparato qualcosa da questa lezione? Promettetemi di non fare più sciocchezze di questo genere.”
Il primo brindisi fu dedicato alla sorte bara (femminile di baro, da barare, ingannare), che governa la vita degli uomini.
Ettore, disapprovando, si teneva a distanza e non faceva nulla per nascondere il suo disappunto per quella esplosione di festosità fanciullesca, dimostrata dai suoi amici, ritenendo quel gioco inutilmente pericoloso ed insensato: il rischio minore che i due correvano a parer suo, era quello di una solenne bagnatura, cosa di cui non sentiva la necessità, vista la stagione autunnale inoltrata ed il clima non propriamente caldo di quel pomeriggio, anche a voler tacere del pericolo maggiore che era quello di scivolare sui massi bagnati, cadere accidentalmente e farsi male.
In fondo in fondo, però, ad essere onesti, la sua sorda avversione altro non era che un senso di invidia per la loro giovanile spensieratezza, mentre lui, dentro di sé, sapeva di averla persa da un pezzo.
Il loro era un comportamento da ragazzacci temerari, che non consideravano, volutamente o incoscientemente, il rischio che correvano, senza che ce ne fosse la minima necessità. A meno che non si volesse ritenere una necessità, il divertimento. Ecco proprio il fatto del divertimento, gli faceva montare dentro una rabbia inconsulta: come facevano a trovare divertente un gioco così stupido e pericoloso?
Il temerario che bluffa al poker con due kappa, giocandosi la posta, rischia molto, ma almeno ha il miraggio di assistere alla resa del suo avversario che alla fine, non avendo il fegato di rischiare, butta le carte, lasciandogli il piatto senza colpo ferire.
L’improntitudine e la sfacciata incoscienza sono i tratti distintivi di qualsiasi azione temeraria, che si fonda su un vuoto, di scopo, che non c’è, e di luce, che manca. L’origine della parola è infatti il buio: "Tèmere" in latino significa "alla cieca", e la parola richiama quella italiana di "tenebre", rifletteva Ettore, a suo discarico. E si consolava, concludendo che la temerarietà è una prova di coraggio, di arditezza, ma senza la luce della ragione. Quindi è una condotta sconsiderata.
Si può essere temerari oltre che nell’agire anche nel parlare e nell’esporre le proprie idee. Addirittura esiste un tipo di temerarietà che si verifica in campo giudiziario, Ettore lo sapeva per esserci incappato, quando chi promuove l’azione porta avanti una pretesa manifestamente infondata, chiamata appunto temeraria, che viene rigettata dal giudice per ciò stesso.
La cosa durò alquanto tempo, da una parte Maurizio ed Edoardo sempre più allegri e spericolati, che invitavano Ettore ad unirsi a loro, Ettore, dall’altra, muto e scontroso che non rispondeva agli inviti ed anzi vedeva in quella loro ostinazione, una forma di provocazione che non gli andava proprio a genio ed aumentava la sua stizza.
Quando l’onda arrivò improvvisa e non poteva non arrivare prima o poi, sollevando uno scroscio d’acqua di proporzioni notevoli, che si riversò sui due improvvidi salterini, prendendoli in pieno, con un impeto inaspettato, l’allegria cessò di colpo e di fronte al pericolo reale di essere abbattuti tra gli scogli e forse trascinati via, i due temettero il peggio e, barcollando sotto la furia dell’acqua, appena lo scroscio si perse fra le insenature degli scogli, balzellon balzelloni, tornarono velocemente a riva, al di qua della scogliera, con i vestiti inzuppati di salsedine.
Dio mio ti ringrazio! Esplose Ettore appena i due gli furono da presso e Maurizio ed Edoardo, credettero che la sua fosse un’esclamazione di gioia per lo scampato pericolo da parte loro ed erano pronti a rendergliene merito, grati di tanta comprensione, quando lo stesso aggiunse: era da parecchio tempo che pregavo perché succedesse e finalmente è arrivata. Grazie, grazie, non poteva andare meglio. E’ stata un’onda bellissima e vi ha preso in pieno. Ma voi due siete proprio stronzi! Ben vi sta, ve la siete cercata e avete avuto quello che vi meritavate. Complimenti.
Queste parole colpirono i due scampati naufraghi come una frustata, brutto vigliacco, mentre noi correvamo un pericolo mortale, sfidando la sorte, tu tifavi per il mare e facevi voti contro di noi!
I temerari vanno puniti, rispose Ettore, alzando il tono di voce, dovete capire fino a che punto siete stupidi.
C’era del coraggio nella sua voce, ma non stette lì ad aspettare che i due frustrati temerari gli saltassero addosso. Fece per darsi alla fuga, ma non fu abbastanza sollecito: fu agguantato e una pioggia di colpi si abbatté su di lui, da quei due energumeni, bagnati fradici, che, tra il salato del mare che grondava dai vestiti, e qualche goccia di sangue apparso sul volto del malcapitato, sembravano ambire a fare una poltiglia del loro fedifrago amico. Tanto per dimostrare quale dei due comportamenti, di Maurizio e Edo da una parte e di Ettore dall’altra, fosse stato più temerario ed avventato, quello dei primi nell’azione, del secondo, nel giudizio.
Fu una tempesta in un bicchier d’acqua. Per poco, però. A sera erano di nuovo insieme alla tavola calda dove ogni tanto andavano a mangiare la pizza e questa volta i bicchieri erano colmi di vino o di birra, a seconda delle preferenze del momento. Ettore fu così premuroso nei confronti dei due derelitti, da scegliere un tavolo vicino al forno a legna della pizzeria, “Così col calore vi asciugherete i vestiti e starete meglio. Ma almeno avete imparato qualcosa da questa lezione? Promettetemi di non fare più sciocchezze di questo genere.”
Il primo brindisi fu dedicato alla sorte bara (femminile di baro, da barare, ingannare), che governa la vita degli uomini.
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