SOLIPSISMO

Per me si va nella città dolente, per me si va tra la perduta gente, per me si van nell’eterno dolore.
Non so perché mi siano venute in mente queste parole che Dante trova incise sopra la porta dell’Inferno. Volevo solo dire che sto per addentrarmi in un territorio che non è il solito mio. Se poco poco si tocca il campo della filosofia, io alzo le mani e ben altri (Valter, per esempio) potrebbe prendere la parola. Ma io non intendo parlare di filosofia, bensì dell’uso letterario che di un termine tecnico-filosofico, come solipsismo, si è fatto e si fa.

Da "Isola dei fantasmi" - 2018

Non so come, ma Dante ce lo vedo bene, per un verso o per l'altro, che sia l'Inferno, o il Paradiso, il Ghibellin fuggiasco è sempre a suo agio. Padroneggia il nostro cuore e la nostra mente.

Mi permetto solo di aggiungere, ma chi è che non lo sa? (io per esempio, fino a poco tempo fa!), che la parola è stata creata da Kant, che di solipsismo se ne intendeva, con la semplice fusione di due parole latine, solus, solo che parla di solitudine e ipse, se stesso, come a voler dire che si sta parlando di una forma di solitudine chiusa in se stessa, come una lumaca nel guscio o un riccio arroccato a palla, con gli aculei tutt’intorno.

Non posso esimermi, tuttavia, dal ricordare, ma so che è del tutto superfluo e lo faccio solo per completezza del discorso, che il solipsismo in filosofia, è stata una malattia (speriamo che Valter sia distratto in questo momento), che ha covato per molta parte del pensiero filosofico, ha trovato uno dei terreni di coltura più fertili, in Cartesio, alias Descartes, con il suo famoso “cogito ergo sum”, ha interessato gli idealisti, e Schopenhauer, per il quale era una forma di malattia mentale, seguita a tenere banco anche oggi, nonostante gli antibiotici della moderna medicina.

Il caso del solipsismo è uno di quelli che ti pongono di fronte ad un dilemma, vuoi tu parlare solo di teoria? Ed allora segui gli intelletti più acuti che ti portano a volte fino a conseguenze inaccettabili. Ma se a te interessa più l’aspetto pratico della teoria, puoi bene sorvolare sugli aspetti più stringenti della questione, lasciando ad altri il compito di giungere a delle conclusioni e cercare di trovare qualcosa di utile, un qualche strumento che ti aiuti a cogliere i frutti possibili nel piccolo orto della ragione comune.

Personalmente non sono portato per speculazioni molto profonde, mi accontento di risultati provvisori, faccio un buon uso, almeno spero, di concetti astratti per fini pratici, e di fronte ad una parola come solipsismo, che sembra un monolite (Kubrick, Odissea nello Spazio), o una fortezza (Buzzati, Il Deserto dei Tartari), colgo l’aspetto deteriore, le scorie, del nucleo incandescente che è nella mente umana, la percezione immane di essere il creatore (lettera minuscola) dell’Universo: Conosco solo quello che sono io, perché solo di me so che esisto e tutte le altre cose, compreso l’Universo, se esistono, esistono solo attraverso me, perché io le penso. Un ego moltiplicato all’ennesima potenza. Un egoismo-egotismo macroscopico, che in letteratura si risolve in un tipo di individuo assolutamente anti sociale, colui che pensa solo a se stesso e degli altri non se ne può fregare di meno.

Queste parole di colore oscuro vid'io affisse al sommo di una porta che al sol pensiero rinnova la paura.

Commenti

  1. Carissimo, come ricorderai, fin dal mio esordio avevo sollecitato una tua disamina del termine "individuo". Comprenderai quindi che il mio interesse per il solipsismo (parola che ignoravo essere stata coniata addirittura da Kant) sia massimo.
    Hai perfettamente ragione, per quanto mi riesce di valutare, a indicare in Cartesio l'apripista, colui che, con la separazione tra Res cogitans e mondo, ha aperto la breccia al moderno solipsimo, che è il cancro del nostro secolo, ciò che, a mio modo di vedere, sta letteralmente portando la società occidentale al tramonto (via collasso demografico).
    Il solipsismo può quindi a ragion veduta essere identificato un po' come il nostro moderno "Inferno".

    Come ben riassunto, tra l'altro, in questo passo di un recente articolo uscito su Doppiozero (una splendida rivista culturale online) in cui Riccardo Mazzeo proponeva alcune riflessioni sulle teorie del sociologo Zygmunt Bauman:

    "Una volta ottenuta una libertà assolutamente inedita nei costumi e nelle scelte come quella di cui godiamo oggi, non possiamo però non accorgerci che alla celebrazione dell'individuo “libero” si accompagna la sua sempre più estrema fragilità e l'erosione della sua capacità di coalizzarsi, di solidarizzare, di fare gruppo o partito anziché sciame, di riuscire a dare delle risposte sociali che salvino la cittadinanza oltreché il singolo individuo, che garantiscano welfare e propositività e non solo la facoltà di continuare a cambiare identità e a ubriacarsi di novità."

    (cfr. https://www.doppiozero.com/materiali/il-pendolo-di-zygmunt-bauman)

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  2. Caro Valter, il tuo intervento è sempre migliorativo ed aggiuntivo ,ed è bello ritrovarsi in queste pagine, grazie.

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