ORRIDO E SUBLIME

“Corpuscoli danzano nello spettro di luce solare che filtra dai mosaici dell’ampia vetrata, tra le colonne, ed un velo sottilissimo di fumo azzurrognolo avvolge l’aria che odora d’incenso e vibra sulle note di un organo in lontananza; lateralmente un canto sommesso di un coro “a cappella”. L’anima è temporaneamente sospesa, tra il fascino dell’esoterico e lo sgomento del vacuo”.

L’oratore si ferma un attimo e lascia scorrere lo sguardo sulla sala, gremita oltre ogni limite, il silenzio è assoluto. Nell’aria è percepibile l’attesa. Oggi alla cattedra siede un personaggio straordinario, venuto da lontano, vuole parlare di tutto ciò che è magnifico, non solo grande, ma bello, nelle sue varie forme e gradazioni.


“Siamo abituati, egli dice, a collegare l’idea di magnificenza e di splendore al fasto regale o alla sacralità, che, come sappiamo, in principio facevano capo alla stessa persona. Solenne è il Capo dello Stato che rende omaggio al monumento che ricorda l’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine a Roma. Meno solenne l’inaugurazione di uno stadio con la presenza benedicente del Vescovo della Diocesi, simbolo della non ancora conclusa separazione tra Stato e Chiesa.

Una parata militare sulla Piazza Rossa di Mosca è una dimostrazione di potenza veramente impressionante, come pure la processione del venerdì santo, detta del “descenso”, che si svolge ogni anno ad Iglesias, dove i fedeli indossano tuniche con cappucci, e assordano con il suono di matracconis, tamburi e matraccos suonati da bambini, è uno spettacolo suggestivo e nello stesso tempo inquietante.

Questa è la magnificenza come solennità. Solenne è ciò che si svolge con grande apparato. La parola deriva dal latino “solemnis” forse un composto di sollus, “tutto”, col significato di “ogni” e “annus”, l’anno, cioè si tratta di solito di una cerimonia che si svolge ritualmente ogni anno.

Solenne è non soltanto la cerimonia, ma anche lo stesso officiante. La Presenza del Capo dello Stato è solenne in determinai casi, come quando presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, di meno quando assiste ad una prima della Scala.

La solennità, si ammanta di abiti sontuosi. Sontuoso vuol dire ricco, pregiato. Paradossalmente, il senso che il solenne ha, di cosa proverbiale per la sua stessa misura, si può applicare oltre che in positivo, come nella maggior parte dei casi avviene, anche in negativo, come quando si dice impartire una solenne lezione.

E‘ il caso del tal gradasso, inviso a tutti, per il suo comportamento villano e strafottente, il quale in una determinata circostanza, si imbatte - suo malgrado - in chi riesce a metterlo a posto, impartendogli una solenne mazziatura. Con sollievo di molti che trovano appunto la lezione tanto più solenne, quanto maggiore il grado di soddisfazione del desiderio collettivo, che non aspettava altro.

Non è infrequente che parole nate per glorificare aspetti positivi della vita, quali il bello, il bene e l’utile, come la solennità, il sublime, o addirittura il supremo, nascondano un lato oscuro, in cui, all’ombra di quello che possiamo chiamare il senso principale, si sottende una nota stonata che ne riflette il contrario.

Nel caso del sublime, per esempio, il cui significato coincide con l’eccelso, cioè qualcosa che non ha l’uguale, quanto a magnificenza, scopriamo che l’effetto di sbalordimento di fronte ad uno spettacolo che non esitiamo a definire sublime, tipo quello offerto dalla vastità dell’oceano, o l’altitudine mozzafiato di una montagna, si ottenga attraverso una componente di terrore, o di sgomento, di fronte a tanta grandezza.

L’orrido ed il sublime allora sono due facce della stessa medaglia? Due grandezze, una positiva e l’altra negativa, che in una estremità si toccano?”

L’oratore a questa domanda fece seguire sapientemente un breve silenzio. Poi, soddisfatto che nessuno avesse interrotto la magia di quel momento, rovinandogli la scena, in sala solo qualche colpetto discreto di tosse trattenuta, maestosamente, riprese:

“Si parla di orrido che affascina e la cosa diventa preoccupante, si fa per dire, nelle contingenze attuali di un gusto del pubblico versato per lo splasch orrido e sanguinolente, vedi le sempre più avanzate proposte della macchina cinematografica hollywoodiana specializzata nella produzione di effetti speciali e di mostri.

Ora, tutti dovreste sapere che il sublime, che ci prende l’anima e ci sgomenta viene direttamente dal “sub”, sotto e “limen”, soglia, dei nostri bravi predecessori, che con il termine che si ricava dalla loro fusione, indicavano il bello in misura eccessiva, che arrivava “fin sotto la soglia” più alta della normalità, cioè fino al limite del possibile, o del tollerabile. Al di sopra di quella soglia, il piacere diventava dolore.

Lo spettacolo impressionante di un mare in tempesta, in cui, gli effetti prodotti sull’animo dell’osservatore, non si arrestano alla superficie dell’elemento liquido in subbuglio, ma indagano sulla possibilità di quanto possa esservi celato sotto, è fonte di grande ammirazione della potenza della natura, e di angoscia per la nostra incolumità. La paura che tutti ci assilla, della morte “da la quale nullu homo vivente pò scappare”.

Altra breve sosta, poi dritto, tutto d’un fiato:

“Est modus in rebus”, uno dei più abusati motti latini si presta anche in questa occasione a ricordarci il valore della modestia e del buon senso. Un pranzo di nozze si dice sontuoso, quando non si è badato a spese. Una cerimonia senza risparmio, un pranzo senza lesinare su niente, addobbi principeschi.

Superata la soglia del buon gusto e del senso di realtà delle cose, si può facilmente scadere a livelli di pomposità, di pretenziosità, se non addirittura di pacchianeria.

Ora parliamo del supremo. Cosa è “super”, al di sopra di tutto? Ma è Dio, massoni infedeli. Tutto ciò che è la di sopra di tutto è relativo a Dio. Non serve essere credenti per capire questo semplice assunto: Dio è il creatore di tutte le cose, Dio è…”

In sala molti mormorii, sedie che si muovevano. Il tono preso dalla conferenza era cambiato e non rispondeva più alle aspettative di molti. L’accenno ai massoni, poi, uno scivolone, senz’altro.

“E’ vero”, si sentì la voce suadente di Maurizio che cercava di placare gli animi, prima che la situazione precipitasse. L’attributo di sommo, di supremo si addice soprattutto alla divinità, per il concetto che sempre si è avuto dell’essere superiore che ci protegge e ci governa. Ma guardiamo le cose un po’ più dall’alto: il divino è anche ciò che è dentro di noi, poveri mortali, dotati di coscienza, intelligenza e soprattutto di sentimenti; cosa c’è di più grande di una bella poesia, di una musica, appunto, divina, di un libro. di un quadro, e chissà quante altre cose che sono il prodotto dei nostri sentimenti? Non sono anche essi supremi? Il supremo sacrificio, il supremo dovere, il supremo piacere, il supremo amore?

Chiudiamo in bellezza, amici cari e salutiamo il professore qui presente ringraziandolo per quanto ci ha detto, con un bel brano di musica.

Il famoso jazzista nero-americano John Coltrane, in una delle sue composizioni più ispirate, A Love Supreme, usa questa parola “supremo”, che rappresenta il più alto grado della magnificenza, per glorificare il più bel sentimento dell’animo umano, l’amore, che in questo canto-preghiera, perché di questo si tratta, è, e non potrebbe non essere, che l’amore verso il Sommo Creatore, cioè Dio.

A Love Supreme è un’opera giovanile, piena di entusiasmo e di sentimento, tesa a ringraziare Dio del dono della vita. Coltrane era reduce da una dura prova, pienamente superata, con la ferma volontà di uscire dal tunnel della droga, ed il suo animo si effonde commosso nel suono del suo sassofono, in una lunga meditazione di gioia e gratitudine.

Insinuante, melodiosa, la voce del sassofono di Trane sortì dal nulla ed inondò la sala, tra scrosci di applausi, fischi, caos di sedie, voci e piedi in movimento, risate e canzonature da un lato all’altro della sala.

Il linguaggio circolare, semplice, mai strabordante, della musica li seguì, attutendosi gradatamente, fin oltre il primo lampione stradale, poi si spense con la luce fioca della lampa.

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