LA MESSA DI MEZZOGIORNO
Noi ragazzi sciamavamo per il Corso con i vestiti della domenica, dove incontravamo i nostri cugini, in compagnia di qualche amico.
La consegna era che dovevamo stare attenti al terzo accenno (se ricordo bene) delle campane, che era il segnale ultimo che la messa stava per cominciare. In genere ci coglieva che eravamo al capo opposto del Duomo, che era al centro della città. Si trattava di affrettare il passo, per arrivare in chiesa, prima che il prete officiante recitasse il sanctus, affinché il sacrificio della messa fosse valido, altrimenti sarebbe stato inutile, fuori tempo massimo.
Ciò avveniva sotto gli occhi vigili dei nostri genitori, i quali assistevano alla messa, in piedi per tutto il tempo, nel primo tratto della navata principale, più vicino all’altare, che era soprelevato di una decina di gradini, rispetto alla base sottostante, dove erano allineati i banchi per i fedeli. E controllavano che ciò avvenisse regolarmente. All’uscita, poi le solite osservazioni sull’orario e la ramanzina in caso di ritardo.
La messa di mezzogiorno era una specie di istituzione nel corpo sociale della città. Rappresentava in pieno lo stato del sentimento religioso della classe più abbiente. La forma era importante per tutti, la sostanza per pochi. Molta ipocrisia in giro, lusso e vanità.
In genere andavano a quella messa le persone più in vista della città, i così detti signori. Quelli per i quali la messa più che un atto di fede era un fatto di rappresentanza sociale. Non così per nostra madre che, delle sorelle Bernardi era la più infervorata osservante. Nostro padre, paziente, con il cappello in mano, era sempre al suo fianco e si sforzava di apparire assorto al pari di lei. Di solito facevano parte del gruppetto familiare, zia Dora col marito Orlando, e zia Stella col marito Berardo, comandante dei vigili urbani. Quest’ultimo, con la sua mole (soleva dire “un uomo che pesa meno di cento chili, non è un vero uomo!”) e con la sua autorità, resa evidente dalla divisa indossata con convinzione, costituiva un baluardo per tutti, sembrava controllare che tutto si svolgesse regolarmente, da parte della folla dei fedeli, mentre prestava attenzione al rito in sé, piuttosto distrattamente. A volte ci scherzava sopra, quando era fuori dalla chiesa, ma quando era dentro era severo ed austero ed assicurava sicurezza con la sua sola presenza.
Lo stuolo dei giovani era abbastanza numeroso; della nostra famiglia eravamo cinque, due maschi e tre femmine, quattro maschi della prima coppia di zii ed inoltre tre, un maschio e due femmine di un’altra coppia di zii di cui non ho ancora parlato, zia Ilda e zio Vincenzo, perché non sempre facevano parte del nostro sodalizio.
Le femmine facevano comunella tra di loro, ma in genere si mostravano maggiormente ossequienti della tradizione. Una, mia coetanea, si distingueva in quanto più sbarazzina. Noi maschi per lo più volevamo apparire più svincolati e trasgressivi.
Era di moda per i maschi adulti mostrare una vena di scetticismo, rispetto a certe forme della religione, osservate invece con zelo dalle femmine, senza mai mettere in dubbio i fondamentali della fede.
Vena ereditata da noi ragazzi maschi, che fin da allora, mostravamo di mal tollerare l’assoggettamento pedissequo a quelle regole che le rispettive madri cercavano di imporci e che a noi apparivano desuete.
Con diverse smagliature. Per esempio, c’erano nella famiglia due fratelli di cui uno, più sensibile alle problematiche religiose, si mostrava moderato e prudente, mentre un altro, che della religione aveva un concetto tutto suo, dimostrava di essere preso da un timore superstizioso; egli affermava che la messa era un sacrificio nel vero senso della parola, sacrificio per i fedeli che erano tenuti ad assistere, non per fede, ma per la paura delle fiamme dell’Inferno, alle quali sarebbero stati consegnati, dopo la morte, immancabilmente tutti quelli che non vi si fossero sottomessi.
Chi sceglieva la messa di mezzogiorno, lo faceva per due motivi, il prestigio nell’ambito cittadino, l’orgoglio di appartenere ad una certa classe sociale, cosa che interessava gli adulti, e per il fatto che fra le messe che si celebravano in tutte le ore presso le numerose chiese della città, quella di mezzogiorno era la più breve: non superava mai i venticinque minuti. E questo era il nostro motivo.
Pochissimi fra il pubblico facevano la comunione, del nostro gruppo, nessuno. Appena giungeva la benedizione con il fatidico ite missa est, (allora la messa era ancora in latino), i buoni borghesi, con l’abito della festa ed il cuore in pace, per aver assolto anche in quella occasione il proprio dovere, compresa l’offerta dell’obolo fatto scivolare discretamente nella borsa del sagrestano che passava banco per banco per la questua, con il pensiero, grato già rivolto al pasto domenicale, lentamente defluivano verso l’uscita e qui, quelli che aspettavano all’esterno, assistevano ad una vera e propria sfilata.
Dal sagrato del Duomo, la colonna dei fedeli prendeva per il Corso, per l’ultima passeggiata prima del pranzo, passando davanti al Caffè di Fumo che era il più centrale e il più ricercato della città, dove molti facevano sosta per l’aperitivo, unendosi alla folla dei curiosi, che osservavano e registravano le presenze, le assenze, le combinazioni dei gruppi, e spettegolavano su questo e su quella, mentre il flusso si faceva più rado, mano a mano che i vari gruppi familiari prendevano la direzione delle rispettive abitazioni.
Il nostro rimaneva compatto fino ad un certo punto, gli adulti avanti, sollevati come da un peso e pronti a qualche battuta spiritosa, sulla predica, il prete, qualche originale che si era messo in vista, mostrando affiatamento tra di loro, anche se emergeva una scherzosità a volte pungente. Noi ragazzi dietro, moderatamente schiamazzanti, lieti che la messa fosse finita ed allegri per ritrovarci tutti insieme, anche se ogni tanto tra di noi nasceva qualche scaramuccia.
Il dispiacere di separarci, nei punti in cui le strade si dividevano, era subito sostituito dal pensiero di quello che ci aspettava a casa: la tavola apparecchiata ed il pranzo pronto.
Benedetta zia Gina. Il momento più bello della domenica.
La consegna era che dovevamo stare attenti al terzo accenno (se ricordo bene) delle campane, che era il segnale ultimo che la messa stava per cominciare. In genere ci coglieva che eravamo al capo opposto del Duomo, che era al centro della città. Si trattava di affrettare il passo, per arrivare in chiesa, prima che il prete officiante recitasse il sanctus, affinché il sacrificio della messa fosse valido, altrimenti sarebbe stato inutile, fuori tempo massimo.
Ireland, 2017 |
Ciò avveniva sotto gli occhi vigili dei nostri genitori, i quali assistevano alla messa, in piedi per tutto il tempo, nel primo tratto della navata principale, più vicino all’altare, che era soprelevato di una decina di gradini, rispetto alla base sottostante, dove erano allineati i banchi per i fedeli. E controllavano che ciò avvenisse regolarmente. All’uscita, poi le solite osservazioni sull’orario e la ramanzina in caso di ritardo.
La messa di mezzogiorno era una specie di istituzione nel corpo sociale della città. Rappresentava in pieno lo stato del sentimento religioso della classe più abbiente. La forma era importante per tutti, la sostanza per pochi. Molta ipocrisia in giro, lusso e vanità.
In genere andavano a quella messa le persone più in vista della città, i così detti signori. Quelli per i quali la messa più che un atto di fede era un fatto di rappresentanza sociale. Non così per nostra madre che, delle sorelle Bernardi era la più infervorata osservante. Nostro padre, paziente, con il cappello in mano, era sempre al suo fianco e si sforzava di apparire assorto al pari di lei. Di solito facevano parte del gruppetto familiare, zia Dora col marito Orlando, e zia Stella col marito Berardo, comandante dei vigili urbani. Quest’ultimo, con la sua mole (soleva dire “un uomo che pesa meno di cento chili, non è un vero uomo!”) e con la sua autorità, resa evidente dalla divisa indossata con convinzione, costituiva un baluardo per tutti, sembrava controllare che tutto si svolgesse regolarmente, da parte della folla dei fedeli, mentre prestava attenzione al rito in sé, piuttosto distrattamente. A volte ci scherzava sopra, quando era fuori dalla chiesa, ma quando era dentro era severo ed austero ed assicurava sicurezza con la sua sola presenza.
Lo stuolo dei giovani era abbastanza numeroso; della nostra famiglia eravamo cinque, due maschi e tre femmine, quattro maschi della prima coppia di zii ed inoltre tre, un maschio e due femmine di un’altra coppia di zii di cui non ho ancora parlato, zia Ilda e zio Vincenzo, perché non sempre facevano parte del nostro sodalizio.
Le femmine facevano comunella tra di loro, ma in genere si mostravano maggiormente ossequienti della tradizione. Una, mia coetanea, si distingueva in quanto più sbarazzina. Noi maschi per lo più volevamo apparire più svincolati e trasgressivi.
Era di moda per i maschi adulti mostrare una vena di scetticismo, rispetto a certe forme della religione, osservate invece con zelo dalle femmine, senza mai mettere in dubbio i fondamentali della fede.
Vena ereditata da noi ragazzi maschi, che fin da allora, mostravamo di mal tollerare l’assoggettamento pedissequo a quelle regole che le rispettive madri cercavano di imporci e che a noi apparivano desuete.
Con diverse smagliature. Per esempio, c’erano nella famiglia due fratelli di cui uno, più sensibile alle problematiche religiose, si mostrava moderato e prudente, mentre un altro, che della religione aveva un concetto tutto suo, dimostrava di essere preso da un timore superstizioso; egli affermava che la messa era un sacrificio nel vero senso della parola, sacrificio per i fedeli che erano tenuti ad assistere, non per fede, ma per la paura delle fiamme dell’Inferno, alle quali sarebbero stati consegnati, dopo la morte, immancabilmente tutti quelli che non vi si fossero sottomessi.
Chi sceglieva la messa di mezzogiorno, lo faceva per due motivi, il prestigio nell’ambito cittadino, l’orgoglio di appartenere ad una certa classe sociale, cosa che interessava gli adulti, e per il fatto che fra le messe che si celebravano in tutte le ore presso le numerose chiese della città, quella di mezzogiorno era la più breve: non superava mai i venticinque minuti. E questo era il nostro motivo.
Pochissimi fra il pubblico facevano la comunione, del nostro gruppo, nessuno. Appena giungeva la benedizione con il fatidico ite missa est, (allora la messa era ancora in latino), i buoni borghesi, con l’abito della festa ed il cuore in pace, per aver assolto anche in quella occasione il proprio dovere, compresa l’offerta dell’obolo fatto scivolare discretamente nella borsa del sagrestano che passava banco per banco per la questua, con il pensiero, grato già rivolto al pasto domenicale, lentamente defluivano verso l’uscita e qui, quelli che aspettavano all’esterno, assistevano ad una vera e propria sfilata.
Dal sagrato del Duomo, la colonna dei fedeli prendeva per il Corso, per l’ultima passeggiata prima del pranzo, passando davanti al Caffè di Fumo che era il più centrale e il più ricercato della città, dove molti facevano sosta per l’aperitivo, unendosi alla folla dei curiosi, che osservavano e registravano le presenze, le assenze, le combinazioni dei gruppi, e spettegolavano su questo e su quella, mentre il flusso si faceva più rado, mano a mano che i vari gruppi familiari prendevano la direzione delle rispettive abitazioni.
Il nostro rimaneva compatto fino ad un certo punto, gli adulti avanti, sollevati come da un peso e pronti a qualche battuta spiritosa, sulla predica, il prete, qualche originale che si era messo in vista, mostrando affiatamento tra di loro, anche se emergeva una scherzosità a volte pungente. Noi ragazzi dietro, moderatamente schiamazzanti, lieti che la messa fosse finita ed allegri per ritrovarci tutti insieme, anche se ogni tanto tra di noi nasceva qualche scaramuccia.
Il dispiacere di separarci, nei punti in cui le strade si dividevano, era subito sostituito dal pensiero di quello che ci aspettava a casa: la tavola apparecchiata ed il pranzo pronto.
Benedetta zia Gina. Il momento più bello della domenica.
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