BECERO

"Ebbene, sì, questa volta parlo io", proruppe Pancrazio con un vocione che fece zittire tutti all’unisono.

Ma si dice così? All'unisono si usa per dire che molti parlano insieme, ma quando tacciono? Come gli storni che svolazzano in gruppi numerosi, insieme eseguono nel cielo evoluzioni fantastiche fino al tramonto del sole, poi piombano sulla chioma di un albero e scompaiono fra le fronde; per pochi attimi producono uno schiamazzo indicibile, pigolando all'impazzata, infine, come ad un segnale convenuto, di colpo tutti tacciono ed il silenzio è palpabile.

"Voi credete che io non sappia che significa becero? Ora vi farò ricredere."

Dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio (1500)

Maurizio di buon grado lo accolse al tavolo delle conferenze (parola grossa, lo so), e gli cedette il posto di fronte al microfono immaginario.

"Ecco a voi", disse rivolto all'uditorio, che era in attesa con sorrisetti e mormorii derisori, "il nostro buon Pancrazio, che ci spiegherà a parole cosa si intende per becero e ci farà vedere come si comporta."
"Chi?", chiese una voce dal gruppo.
"Ma il becero, naturalmente."

Pancrazio esitò un attimo, riflettendo su quanto aveva appena udito e qualcosa gli diceva che in sala, con la complicità del maestro, si facesse dell’ironia alle sue spalle, per cui volle mettere subito le cose in chiaro.

"Se voi credete", disse risentito, "di stare qui a prendere per il culo me, vi sbagliate di grosso. Io vi dimostrerò cosa è un vero signore, che non teme le critiche dei vagabondi come voi, e sa comportarsi bene anche con chi non se lo merita. Avete mai fatto caso", chiese dopo una breve pausa, in cui aveva fissato negli occhi gli astanti increduli, "che la volgarità non esiste di per sé, ma si produce a seconda del soggetto che della volgarità dovrebbe essere il portatore?"

Non pochi occhi, in sala, si mossero intorno, con fare interrogativo.

"Mi spiego meglio: se io dico cazzo, in qualunque modo lo dico e in qualunque discorso, la parola può suonare volgare ed offendere le orecchie delicate di persone raffinate. Se Alessandro Baricco, durante le lezioni che tiene ai corsi di scrittura creativa presso la scuola Holden, dice cazzo, nessuno direbbe che ha detto una volgarità o una parola sconcia."

"La volgarità, allora, sarebbe della persona e non della parola?", proferì Chiara nel tentativo di evitare apprezzamenti più pesanti da parte di altri.

"E’ quello che volevo dire. La stessa parola, in bocca ad una persona volgare, appare grezza, sguaiata, irrimediabilmente volgare; se la dice una persona dai modi non triviali, magari anche una bella donna, essa appare come un segno distintivo dello stile, della apertura mentale e financo del bon ton del proferente. Vi sembra giusto?"

"Dai Pancrazio, non tela prendere; puoi sempre scegliere di non dire le parolacce. Spiegaci piuttosto come hai fatto a fare tutto questo bel discorso."
"Aspetta, non ho mica finito. Debbo ancora parlare del becero."
"Dunque... il becero... è l’esatto contrario del re... Meda... o Mido, ora non ricordo bene... che tutto quello che toccava diventava oro. Orbene, vedete, il becero è quello che ogni cosa che tocca, che dice, che scrive, diventa merda."
"Mida", lo corresse Maurizio, "Mida era il re che..."
"Sì, sì, lo so! Ora mi sono ricordato è quello che affogò nell'oro colato. Mida era il becero che... no, mi sto confondendo."

Si arrestò nel parlare, mentre con una mano frugava disperatamente nella tasca dei jeans, che, essendo molto stretti, non permettevano di estrarre con maggiore disinvoltura, un foglio di carta con su scritto, fitto fitto, il suo discorso.

"Il becero, per chi non lo sapesse", riprese, "è quello che parla a voce alta; se in una sala affollata, risponde ad una chiamata del suo cellulare, si sente solo lui, per quanto urla nel microfono, smaneggia ed impreca, ride e scugnazza... no, si avvicinò alla finestra per leggere meglio sul foglio che teneva in mano, sghignazza, sghignazza, che credete che non lo so? E poi, sapete che vi dico? Andate fare in culo tutti, quanti ne siete, che mi avete rotto i coglioni con i vostri risolini."

Gettò il foglietto sul tavolo e fece per andare via, ma si inciampò in una gamba del tavolino e fece un ruzzolone.

"Porca... trattenne, o riuscì a soffocare nella sua gola il nome della destinataria dell’insulto, si rialzò, il petto in fuori, lo sguardo fiero che lasciò sciabolare lentamente sulla testa di tutti, quindi, senza dire una parola, a passi lunghi attraversò il breve tratto che lo separava dalla porta ed uscì.

Nella ressa che seguì, Ottavio si avvicinò al tavolo e dette un’occhiata al foglio lasciato da Pancrazio: la calligrafia di Maurizio era ben riconoscibile.

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