LANA CAPRINA

Zia Gina (Dio l’abbia in gloria), quando si discuteva di cose futili, senza costrutto, usava dire “non fate i ponti dove non corre l’acqua”, in quanto ai suoi tempi i ponti si costruivano solo per superare corsi d’acqua. Se non c’era un fiume da attraversare, era inutile costruire un ponte; viadotti all’epoca, niente.

Il Ceppo (TE) - 2019

Con una testimonianza molto più antica e autorevole, lo stesso concetto di inutilità del parlare di certe cose, fu espressa da Orazio, dicendo ce si trattava di questione di lana caprina, espressione che è rimasta intatta anche al giorno d’oggi.

A pagarne lo scotto qui è la lana delle capre, ritenuta allora di infima qualità, quindi se un discorso non ha senso, tempo sprecato a parlarne, come sarebbe se discutessimo della lana caprina. Le capre non hanno mai goduto di buona letteratura, non solo per la lana, ma per molte altre caratteristiche, come il cattivo odore (puzza come una capra), la testardaggine, (che si manifesta con l’istinto a dare di cozzo con le corna contro qualunque ostacolo), la loro barbetta da satiro e la zampa diavolesca.

Dalle stalle alle stelle, il concetto viene riconfermato in maniera aulica dal serafico motto: discutere del sesso degli angeli. Come dire disquisire di quello che non esiste. Per comune convenzione, siamo abituati a pensare che gli angeli, creature celesti, non possano avere nessuna contaminazione con una cosa così carnale e terrena come il sesso. (Ma siamo poi così sicuri?).

Tra i più utili e disprezzati animali costretti dall’uomo a, diciamo così, dare una mano nei lavori più pesanti, c’è l’umile asinello, gratificato in pochissime circostanze, tra le quali, però brilla quella della presenza essenziale di un asino, insieme ad un bue, assoggettato nella stessa maniera al servizio dell’uomo, nella iconografia classica della stalla dove nacque Gesù.

Orbene anche per l’asinello si è trovata una frase per stigmatizzare il modo di alcuni di parlare a vanvera che suona come 'parlare dell’ombra dell’asino'. Convengo che discutere dell’ombra di un asino (ma, perché di un cavallo no?), abbia poco sugo, ma vorrei sapere perché dovremmo farlo.

Qui mi sembra che si meni proprio il can per l’aia, che pure, per conto suo, è un’altra cosa che si raccomanda per la sua utilità. Infatti serve ad indicare la volontà di non dire, cioè di tergiversare.

La zia Gina (i, c.s.), conosceva anche altri modi di dire su questo tema, o giù di lì: raccogliere l’acqua col 'crivelluccio', che era un attrezzo per setacciare il grano o l'orzo, ma sarebbe andato pure bene il colino, oppure il c.d. 'passastratto', un recipiente bucato sul fondo, entro cui si spremeva il succo dai pomodori, o (ecco l’acqua che ricorre ancora), pestare l’acqua nel pestasale, o pestello, alias (meno bello) mortaio.

Questi pensieri rimuginava tra sé e sé Maurizio, in una crisi di sfiducia verso se stesso e l’attività del circolo.

Ti è venuto mai in mente, chiese un giorno a Chiara, che tutto quello che stiamo facendo, altro non sia che un mero rimestare acqua in un mortaio? Passi che sia, come veramente è, una voce che si perde nel deserto, per mancanza di ascoltatori, ma discutere del sesso degli angeli proprio non vorrei che fosse, anche perché, se proprio lo vuoi sapere, io non sono certo che gli angeli non abbiano un sesso.

No, rispose Chiara, tutt’al più si potrebbe dire che talvolta cerchiamo di spaccare il capello in quattro, ma certo non credo che taluno possa dire che facciamo ponti dove non servono, o costruiamo cattedrali nel deserto.

Il nostro lavoro consiste nel mettere una parola sotto una lente di ingrandimento e di vedere tutte le possibili implicazioni che da essa o con essa si possono trovare. Non è un lavoro svolto con rigore scientifico, perché non siamo scienziati, quindi qualche volta andiamo anche oltre, lavorando un po’ di fantasia, ma mai, alla maniera dei sofisti, affermando tutto e il contrario di tutto. Più che della utilità di questo lavoro, mi preoccuperei della veridicità di quello che a volte arditamente, ma forse anche azzardatamente noi diciamo, arrivando a conclusioni che, se non assurde, possono essere ben distanti dalla verità.

A chi giova tutto questo?

Ma a nessuno; non è detto che debba giovare. E’ utile a noi che ci riconosciamo in quello che facciamo, cercare di indagare il mondo che ci circonda, come gli uomini hanno sempre fatto, per capire quanto ancora da capire ci sia in quello che noi facciamo e diciamo, magari senza rendercene conto.

Se poi, qualcuno ci segue, non voglio dire il famoso desocupato lector di Cervantes, ma un qualunque curioso di cosa strane, tanto di guadagnato: buon per lui e buon per noi.

Allora dici che dobbiamo continuare?

Con tutto lo slancio possibile. Non servirà a nessuno, ma noi l’avremo fatto e ne saremo contenti, qualunque sia il risultato. Noi ci mettiamo la nostra volontà, la nostra onestà, la nostra assoluta gratuità, che non significa nullità.

Grazie, cara, mi hai dato conforto. Che facciamo, ora, andiamo al cinema?

Si amore, andremo a vedere Il Grande Impostore, lo danno solo per oggi.

Senza allusioni?

Sì, e senza illusioni.

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