VENUSTA'

- Uno scivolone, senza dubbio, un momento di disattenzione, vetustà in luogo di venustà; può capitare, no? Chiara ne fece un caso. Vetusta a me! Come ti sei permesso! Vergognati. Valle a far capire che non c’era stata la benché minima volontà, che la cosa era scappata senza che lui se ne rendesse conto. Certe parole praticamente uguali, con la diversità di una sola lettera tra l’una e l’alta, sembrano fatte apposta per creare scompigli, perché, questo piccolo particolare può determinare una differenza di significato tra una parola e l’altra, tale da fare impallidire il pur pregnante detto “prendere lucciole per lanterne”.

Campo di basket, 2014

Venustà è la bellezza. E’ l’idea stessa della bellezza. Di un tipo particolare di bellezza. La bellezza delle forme. Soprattutto quelle femminili, che hanno da sempre suscitato pensieri elevati e sollevato ondate di eros irresistibile da parte degli ammiratori.

Nel caso del povero Maurizio, lo scambio di una “n” con una “t”, nella parola “venustà”, aveva fatto di una Venere una vecchia. Venustà, la bellezza, diventa “vetustà”, la vecchiaia, stadio della vita che si cerca di rendere meno inviso sostituendolo con l’omonimo termine “antichità”, che richiama eventuali segni di una trascorsa bellezza. L’antichità nobilita le persone come le cose, suscitando echi di tempi lontani di cui resta un senso di nostalgia e niente altro.

Siamo però nell’ambito di un linguaggio aulico, alto, non consono al quotidiano. “Oggi ti trovo più venusta cara, che hai fatto una cura di bellezza?” Vetusta può essere una magione, una residenza nobiliare nel momento della decadenza, hai presente Il Giardino dei Ciliegi di Cecov? E il vecchio servitore che rimane chiuso dentro, quando tutti se ne vanno? “Si sono dimenticati di me”. Questa è vetustà, vecchiaia con un’anima. Venusta invece è Beatrice, nell’Empireo di Dante.

(Venustà viene da Venus, Venere e significa bellezza, magnificenza, mentre vetustà ha come progenitore il termine latino vetus, che vuol dire vecchio.)

Maurizio parlava e nello stesso tempo pensava. Bellezza ed antichità non erano espressioni contrastanti. Potevano invece ben essere complementari.

Come per “onestà-onestà”, come urlavano i grillini giustizialisti prima di andare al governo, divenuto con lo scambio di una sola vocale, “u” al posto della “e”, “onustà-onustà”, non appena occupate le poltrone, a voler significare proprio il peso, cioè il costo in termini di economia e di decenza, che gli italiani debbono sopportare per il loro delirio di potenza.

Tra “lordo” e “lardo”, la differenza è minima. In fondo il lordo è uno sporco grasso e il lardo è un grasso che insozza. Tranne che nel celebre passo del classico “esercito di-strutto”, divenuto “exercitus lardi”, nella traduzione dell’ignaro innovatore.

L’onore comporta anche un onere e, poi, chi non conosce un tipo che in determinate occasioni diventa un topo?

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