BENTORNATI

Erano tutti lì, raggruppati, uno accanto all’altro. Sembravano compresi della solennità del momento, non in posa, ma in un atteggiamento naturale, né attesa, né ansia: evidentemente quello che doveva accadere si era già verificato. Non sembravano avere fretta, né tracce di dolore; solo comprensione, di un evento di cui avevano già assorbito e scontato tutto. Non c’era nulla da aggiungere; solo testimoniare.

Fotografia Europea, Reggio Emilia - 2015

Un evento eccezionale, visto che erano in tanti, tutti presenti, così, come in una comunità ideale, grandi e piccini, i più prossimi e gli ultimi, quelli quasi dimenticati. Riempivano la sala che era anche abbastanza grande, ma non davano la sensazione di accalcarsi, come in certe occasioni di ricorrenze, in cui ci si ritrova insieme in un unico ambiente e tutti avvertono il fastidio di darsi un po’ di gomito, senza volerlo.

Erano immobili, ma non come in una fotografia, erano vivi ed in procinto di fare qualcosa, ma solo il tempo si era fermato. E quello che appariva era il fermo immagine di un attimo qualsiasi di un tempo perduto. Purtuttavia a loro agio e senza bisogno di apparire.

Era una vera riunione di famiglia, una famiglia molto allargata, comprendente genitori, figli, zii, nonni, nipoti, generi e nuore, suoceri e suocere. Così come erano veramente, o come erano stati.

Da una parte, un po’ isolati, erano i parenti del ramo paterno: pochi, umili, dimessi, di condizione proletaria: zio Luigi un po' a disagio nel suo abito migliore con la moglie Maria, zia Gaetana con il marito Antonio ed il figlio Gabriele.

Zia Gaetana e zio Antonio guardavano silenziosi insieme al loro figlio Gabriele, due occhi neri da fare impressione

Siete tornati, mormorai piano e zio Luigi si mosse uscendo da quella fissità, e con il suo sorriso sornione, semplice e bonaccione, sotto il baffetto irsuto, ma noi non siamo mai andati via. Qui eravamo anche quando tu non potevi vederci. Sì, aggiunse zia Maria, lo sguardo chiaro sul suo volto largo, sempre un poco sbalordito, non una grinza sulle guance rosee, non ci siamo mai mossi.

Cari, miei cari, mi rivolsi agli altri, molto più numerosi, che facevano capo al ramo materno, con molte derivazioni, siete tutti qui per un avvenimento speciale?

Non ricordi? Disse subito zio Berardo, con il suo vocione, appena un tono sotto per riguardo dovuto al luogo e alla circostanza. Tu ci hai chiamato. Hai fatto una rievocazione in cui volevi che fossimo tutti presenti. Per tuo padre e non potevamo mancare. Tu ora non lo vedi, ma c’è anche lui, solo che essendo il festeggiato, deve ancora arrivare e quando sarà qui, staremo tutti insieme.

Li guardavo incredulo; zia Dora, aveva ancora il neo sporgente sul labbro superiore, atteggiato come per pronunciare una delle sue sentenze, zia Stella, con la crocchia di capelli come allora, solo un poco infastidita, zia Ilda, dal largo sorriso, dolce e svagata, zia Elvira, severa con lo sguardo torvo e zia Nina, la pescarese, bionda, imponente, gli occhi aggressivi del falco.

Avete finito di depredare le sostanze lasciate da Dora, a scapito degli altri eredi? Conservava una vecchia ruggine, mai chiarita e sopita, per un episodio che ci vedeva, noi della famiglia, del tutto ignari di quello di cui ci accusava. I sigilli, i sigilli, bisognava mettere, incalzava zio Pino, con l’occhio leggermente strabico. Ma lo scempio era attribuibile ad altri. La rottura divenne insanabile.

Mia madre era fra loro, solo un poco discosta. Aveva ancor le cateratte agli occhi e stentava a riconoscere le persone. Le sei sorelle Bernardi, la leggenda dei primi anni venti del secolo scorso, nella nostra cittadina provinciale. Quando uscivano per il corso, in fila per due, i giovanotti sostavano per guardarle. Al suo fianco la fedele sempre presente cognata Gina, la nostra cara zia, se i nipoti fossero buoni, non si toglierebbero dalla  vigna, diceva. Lei sapeva dell'amore disinteressato e gratuito.

Mamma, mamma, quanto mi manchi! Sembrava non sentirmi. In quel consesso era un poco disorientata, Del resto ormai il quadro si era scomposto e tutti parlavano a bassa voce, tra se e se, o tra loro, o rivolti a me.

La vita oltre la vita, ti ricordi? Mi chiedevi ed eri perplessa.

Nel gruppo i due fratelli, zio Anzino lo scapolo, ancora con lo scettro del capo e zio Remo, il mite, riflessivo, marito di zia Vanda, la quale aveva il volto spiritato e gli occhi leggermente sporgenti, sempre preoccupata di qualcosa che poteva accadere. Col figlio Dario, serio, intelligente e cupo. Amante del Jazz e della letteratura americana.

In un angolo, il viso lungo, il collo un fascio scheletrito di nervi, zio Vincenzo, il caro zio Vincenzo, esoterico e burlone, come stai? Gli chiesi. Bisogna morire, mi rispose, come l’ultima volta che andai a trovarlo quando era al termine della sua vita.

I cugini che mi avevano preceduto, Antonio, andato via a quattordici anni, Dario, Gabriele, Pina, che da poco li aveva raggiunti.

Se quella riunione era a suffragio di mio padre, l’indimenticato ed indimenticabile sfortunato papà, come mai, mi meravigliai, c’erano anche zia Gina, sua sorella e mia madre Olga, ed altri personaggi morti dopo di lui?

Non puoi continuare a ragionare come prima, mi disse ridendo zio Orlando, venendomi incontro (tà-tà era il suono che produceva il suo riso a singhiozzi). Andiamo, a prenderci un po’ di veleno? Disse, come quelle volte, lontane nel tempo in cui, dopo cena, ci veniva a trovare e, mentre gli altri guardavano la televisione, lui, mio fratello ed io ci ritiravamo in cucina a chiacchierare e fumare le sigarette che lui ci offriva di nascosto. Edelweiss, mica Nazionali.

Ho smesso, gli risposi.

In quel punto, il tempo si fermò e la scena tornò ad essere fissa, tutti quei volti cari rivolti verso di me, lentamente cominciarono a scomparire, dissolvendosi nell’aria.

Sullo fondo, non più con il volto emaciato, come quando ci lasciammo, ma giovane e bello, come quando ero bambino, vidi mio padre, venire verso di me.

Poi più niente.


Nota: l'ispirazione per il post di cui sopra, mi è venuta dalla rilettura del precedente scritto intitolato "2 marzo 1960", pubblicato il 2 marzo di quest'anno, al quale ha fatto seguito una nota di mio fratello Vittorio, che, in quella occasione, ebbe modo di aggiungere una sua personale esperienza onirica, provata sotto l'influsso dei ricordi da me sollevati. 

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