NOTTE SENZA LUNA

Durante la notte molte cose erano cambiate. Eppure, al mattino, tutto sembrava uguale. Letto, comodino, armadio, lampada per lettura, perfino il libro era lo stesso, l’Ulisse di Joyce che caparbiamente aveva deciso di leggere ancora una volta. Il romanzo che aveva distrutto il romanzo. Partendo dal primo romanzo della protostoria, che narrava le peregrinazioni dell’eroe elleno, nei dieci anni successivi ai dieci occorsi per spuntarla, con un trucchetto ben architettato, con la guerra di Troia. La morte del romanzo, tante volte preconizzata e mai avvenuta, stando alla proliferazione di romanzi e romanzieri, che dopo di Joyce si sono prodigati a difenderne le sorti, sulla via o di un totale scardinamento dei paradigmi classici sotto l’effetto del “liberi tutti”, lanciato dall’autore, o di una restaurazione dei vecchi steccati, più che desiderata da altri.

Foto di stock, 2012

Notte di disordini e di sogni sconnessi, non diversi però da quelli che faceva di solito. Solo un poco più buia, per via della luna che non c’era.

Era quella la morte? Un passaggio, del tutto indolore, come attraversare una cortina di fumo senza respirare, giusto un senso di stordimento. Si alzò e fece un giro della casa. Erano ancora tutti addormentati, moglie figli, nipoti. Tra poco si sarebbero alzati. Chi sa se si sarebbero accorti del fatto che lui non c’era più? Sedette in cucina per la colazione, come ogni mattina; Lara, una volta in piedi, cominciò le solite operazioni routinarie. Mise il latte nel bollitore e questo sulla fiamma del gas. Sei tazze e sei cucchiai intorno alla tavola, il vassoio con il barattolo della marmellata, pane e biscotti, al centro.

- Ciao – disse lui, ascoltando la sua voce, ansioso di apprendere se lo stesso effetto avesse fatto su di lei. Nessuna risposta. Arrivarono gli altri, gli adulti ancora assonnati e i bambini che si strofinavano gli occhi col dorso delle mani. Tutti presero posto intorno al tavolo, non prestando a lui alcuna attenzione.
- Questa notte ho sentito dei rumori – disse Simo, il primo figlio. – E’ successo qualcosa? – rivolto a tutti e a nessuno. Si guardarono tutti intorno.
- No niente – rispose Teo dopo un poco di esitazione. – No, non è successo niente – dissero anche gli altri.


Il latte fumava nelle tazze ed ognuno spalmava il pane con la marmellata, o prendeva i biscotti, cominciando a mangiare.

Egli stava zitto, al suo posto e guardava la tazza con il latte caldo che sua moglie aveva posto anche davanti a lui. Dunque era lì? Gli altri lo vedevano? Che fosse ancora vivo? Ma poi quell’idea della morte come gli era venuta in mente? Si tastò discretamente un braccio, una gamba, si passò una mano sul viso “Crisostomo, ci sei?”

- Ma tu non mangi? – le chiese ad un tratto sua moglie – questa mattina sembri strano.
- No, è che ho dormito poco e fatto strani sogni. Ma sì mangio, mangio, ora ti faccio vedere.
- Sentite questo, dice che ci farà vedere. Che stiamo facendo una gara? Basta non dormire davanti alla tazza.

Ma, ad ogni tentativo che faceva di mandar giù il latte, l’operazione non gli riusciva. Anche prendere la tazza sembrava un’impresa impossibile. Gli venne in mente la differenza che da vivo faceva tra tempo finito e tempo infinito, tra tempo in divenire, tempo immobile. Nella notte, a sua insaputa doveva essere avvenuto un passaggio suo dal tempo mortale a quello immortale.

Ma se la morte era tutta lì, egli avrebbe continuato a vivere, magari immobilizzato, ma tra i suoi, che gli volevano bene e questa sarebbe stata la migliore delle condizioni. Il Paradiso in terra. Cosa poteva volere di più?

Solo a farlo capire agli altri non sarebbe stato facile. Per esempio egli quella mattina, sarebbe dovuto andare in Ufficio, oppure no? Come morto era più che giustificata la sua assenza dal posto di lavoro. Non vi pare?

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