AMORI VETUSTI

Vetustà, amici miei, è parola nobile, ma di una nobiltà decaduta, o fasulla. Vetusto vuol dire antico, vecchio, con un passato che richiama una certa magnificenza, degna di essere ricordata, ma ormai esaurita, con o senza il rammarico degli astanti. Quindi, antichità, magnificenza e decadenza sono i tratti salienti della vetustà, con un pizzico di incredulità, di incertezza sulla reale natura della supposta magnificenza. A scavare a fondo, prevarrebbe l’odore di muffa.

Gyahtei #5 - di Manabu Yamanaka (1995)

La domanda : è possibile parlare di amori vetusti? E nel caso si tratterebbe di amori grandi? antichi? o un amore a mo’ degli antichi? L’amore di Dante per Beatrice? Quanto alla magnificenza, alla grandezza, ove cercarla? In un amore sublime, quasi divino? Come misurarlo? Giulietta e Romeo vissero un amore vetusto? No di certo. E la decadenza? Via ragazzi, non scherziamo, con la decadenza l’amore finisce in gramaglie. Di che parliamo allora?

Con tutti i miei limiti, oserei dire che un amore vetusto è come un abito in disuso, che non si porta più. O perché l’amore, e la moda, sono passati, appartengono ad un’altra epoca, o perché lo splendore del sentimento, e la bellezza dell’abito, sono scaduti; lo splendore dei sensi, in lucciconi negli occhi, la bellezza del modello outlet, in luccichini di naftalina.

Ma c’è tutto un sottobosco dell’amore, di cui fanno parte i sentimenti nobili, ma anche le infatuazioni, le foie, i pruriti di ogni tempo, che sono sempre attuali e vedono il ragazzotto eccitato ed impacciato, il vecchietto infoiato, protagonisti a pari merito di quella Commedia Umana, tanto bene esplorata dallo scrittore - mai passato per vetusto - Honorè De Balzac.

Ma allora non si tratta solo di amori passionali, carnali, ma lo spirito, se c’è, dov’è? Il giovane, come il vecchio, quando vengono colpiti dalla freccia di Eros, bruciano di desiderio, o coltivano un puro sentimento? Come al solito, l’amore è un mistero ed è impossibile dividere le due componenti, materiale e spirituale di esso. Ma quando l’amore colpisce ad una età in cui si pensa che esso altro non sia ormai che semplice illusione, o millanteria, la cosa si presta a riprovazione da parte dei più giovani ed è oggetto di scandalo, oppure si risolve in beffa. Ma non esiste un diritto all’amore anche per i più anziani, gli isolati, quelli prossimi a vedere le cose dall’alto, ma che per il momento si accontenterebbero di vederle un po’ da vicino e, magari, toccarle con mano?

A questa domanda c’è chi ha dato una risposta affermativa ed addirittura è stata proposta, ma questa sa di “Fake” telematica, la fondazione di un’associazione di pie donne volontarie, disposte a svolgere un compito sociale come quello dell’assistenza ospedaliera ai malati, ma con lo scopo specifico di concedere ai loro pazienti, anche altre soddisfazioni, somministrando, di volta in volta, medicine appropriate, fatte di cure materiali e spirituali, come l’amore, che non quelle solite, farmacologiche.

Non sarebbe male; potrebbe servire a persone che in cerca d’amore, hanno perso il senso della dignità e della realtà, che si prestano ad ogni tipo di ostentazione risibile, di uno status non più esistente, persi per un’infatuazione ostinata quanto la loro vetustà, per un soggetto giovane dell’altro sesso, che mai si sognerebbe, ma che anche se si sognasse, di soddisfare certe voglie, per certo lo farebbe per fine di lucro, a ritrovare il loro equilibrio.

Vecchi rincitrulliti che si lasciano sottrarre patrimoni correndo dietro una sottana, una passione, accesa solo nella mente, ma come ossessione, che smaniano, che sia arrabattano, che si spincipiano per il possesso di una donna, (sprincipiarsi, uso questo verbo, che credevo non esistesse. Invece esiste, nell’unico significato che esso ha, nel Dizionario dell’Accademia della Crusca, e riferito dal Montanelli, a proposito della condizione del principe che rinuncia al suo titolo e alle sue prerogative; come il prete che si spreta; come il battezzato che si sbattezza. Cosa per cui, nell’immaginario popolaresco, sprincipiarsi per qualcosa o qualcuno, significa cadere in rovina economicamente, inseguendo sogni impossibili) (1).

Ma se la magnificenza riguardasse non l’amore in sé, ma i personaggi che lo provano?

Salomone il saggio, che, per aver meritato questo titolo, doveva aver trascorso una giovinezza di moderazione e magnificenza, più per le sue qualità intellettuali, che non per quelle materiali, da vecchio cadde vittima di una grave sindrome di decadimento spirituale che lo portò a fare eccessi di vario genere, soprattutto dal punto di vista di un inasprimento degli appetiti sessuali, con la conseguenza ineluttabile di compromettere il suo passato fulgore, con il prevalere dei comportamenti indecorosi.

Sembra che avesse con sé un harem di più di mille donne giovanissime, mogli ed etere con le quali si abbandonava ad ogni sorta di lascivia. E’ da dire che questa sindrome non è una disgrazia che coglie soltanto qualcuno, essendo invece, nella vita dell’uomo, fattore endemico nel tempo e nello spazio.

Con il sopraggiungere della tanto temuta impotenza sessuale, vissuta come castigo, si acuisce il bisogno di trovare palliativi alla mancanza del contatto fisico tra un uomo e una donna, che tanta soddisfazione dà nei tempi della beata giovinezza.

Il caso dei vecchioni, affamati di sesso, o di quel che rimane di esso, è antico ed è stato da sempre oggetto di commedia. Commiserevole, se si vuole, ma sempre attuale.

L’irrisione nei confronti del vecchio che si era illuso di essere amato da una donna giovane si esprime nel motto napoletano: “Ti piaceva la ciaciona, ti volevi ciaciare?!!” (fonte, Eduardo; per altri Totò). Il ciaciare, l’azione che consiste nel provare beatitudine nello stringere tra le braccia il corpo di una donna, è quello che cercano tutti gli anziani, a corto di brividi di piacere.

Lo zio di un caro amico, uomo autorevole, a suo tempo, artigiano specializzato nella riparazione di orologi meccanici, con bottega nel centro delle casupole medioevali che facevano corona intorno al Duomo di Teramo, ora completamente scomparse, a seguito dell’opera di risanamento ed isolamento della nostra cattedrale, dal resto degli altri fabbricati, giunto all’età di circa 80 anni, reso invalido da una imponente artrosi alla colonna, non si rassegnava di dover abbandonare la sua meritata fama di donnaiolo, per la condizione di vecchio infermo costretto a passare la maggior parte della giornata sulla sedia a rotelle. Era per questo diventato l’incubo delle donne che si fossero trovate a passare, dentro casa o fuori, a portata di mano della sua postazione. Non ne lasciava passare una, senza una palpatina al sedere, o, senza allungare una mano nell’ampia scollatura di un bel seno. Le fantesche che si aggiravano per casa, lo temevano e, non volendo assoggettarsi a questo modo di fare, cercavano di passare alla larga da dove stava lui, al fine di evitare le avance delle sue mani lunghe, ma prima o dopo, venivano punite: appena a tiro, il vecchio birbone, memore dell’affronto subito, proditoriamente, allungava una bastonata verso di loro, con l’intento di addomesticarle e come ammonimento per il futuro.

Il tema del vecchione e della giovane ammaliatrice è tanto comune tra noi che ha formato oggetto di riproduzioni in campo artistico, avendo fornito lo spunto a storie, narrate nei libri, illustrate con pitture, sceneggiate e musicate in riviste e commedie, film e spettacoli memorabili.

Si va dai due vecchioni e la casta Susanna di cui al racconto biblico in Daniele 13.1- 64, che è la storia di due vecchi giudici che concupiscono la moglie onesta di un noto cittadino e che, per costringerla a soggiacere alle loro voglie, minacciano di denunciarla come adultera, la qual cosa, data la posizione sociale dei denuncianti, avrebbe comportato una sicura condanna per la povera donna. Ma il piano viene sventato da Daniele il quale costringe i due figuri a confessare e loro vengono condannati al posto di lei.

Per arrivare alla così detta “Pietà Romana”, racconto laico, questo che narra di un vecchio padre condannato a morire di fame in prigione, il quale viene salvato dalla figlia, la quale di nascosto, si reca da lui e lo alimenta con il latte dei suoi seni. Divenuto di dominio pubblico, questo atto di pietà e carità filiale, porterà alla revoca della condanna ed al lieto fine della storia.

I più famosi artisti di varie epoche e nazioni (Tintoretto, Caravaggio, Vermeer), si sono cimentati nel compito di illustrare questi due episodi con risultati eccellenti.

Lo scrittore giapponese Yasunari Kawabata, premio Nobel per la letteratura 1968, nel suo romanzo “La casa delle belle addormentate”, porta fino all’estremo limite l’eros, vizioso e virtuoso dei vecchi, immaginando una società in cui in un inconsueto lupanare, agli anziani è concesso dormire a fianco di una donna giovane, bella, completamente nuda, la quale viene addormentata con un farmaco. Per un’intera notte la bella addormentata è in potere del vecchio di turno, il quale, se non tradirà l’impegno iniziale, non toccherà il corpo della donna e non tenterà di svegliarla. Si limiterà a guardarlo, avendo la donna al suo fianco.

- Ma, insomma, ancora non ho capito in cosa consista la vetustà in questi esempi che hai fatto – disse Maurizio dalla prima fila. Per una volta aveva ceduto il posto al tavolo della presidenza, a Mario, uomo di una certa età, presentato al circolo da Ottavio, il quale diceva di conoscerlo per un intellettuale di valore.
- Io ho capito che aveva ragione mio nonno – intervenne cauto Pasquale di S. Egidio alla Vibrata - il quale, passava il suo tempo su di un seggiolone, fatto come quello dei bambini, ma su misura per lui che era molto alto, sul pianale del quale, assumeva regolarmente i pasti per le mani di una fantesca di nome Rosa. Ebbene egli era innamorato di Rosa e ogni tanto le sussurrava all’orecchio: “Gatt’ viecchji e suorg’ tenerielli”; era originario della Val Vibrata e aveva conservato la parlata d’oltre confine dei papalini marchigiani. E le faceva l’occhiolino, accompagnando il dire col fare: mentre lei allungava il braccio per imboccarlo, egli ne approfittava per darle ampie palpate alle tette di lei, la quale, bontà sua, lasciava correre. A negargliele, si correva il rischio di uno sbruffo di minestrina sulla faccia, da parte del vecchio birbone.
- Non è così – tentò di controbattere Mario – vetustà non è soltanto vecchiaia demente e bavosa, vetustà vuol dire anche radici antiche, con qualche traccia di nobiltà trascorsa, di cui ancor si può apprezzare il residuo fascino, proprio come avviene con una bella donna, la quale, nonostante i segni dell’età, conserva la fierezza di una passata grandezza, di spirito, se non anche di censo. E con questo ho chiuso. Se vi va, aprite pure un dibattito. –

Silenzio in aula.

- Non so gli altri – disse infine Silvana, già in piedi diretta verso la porta – ma io ho molta fretta. A casa c’è mio zio Saverio che mi aspetta. Ha novantaquattro anni e scrive poesie d’amore. Ogni sera me ne fa leggere una. In tutte parla di una donna che io non ho mai conosciuto e per la quale si dichiara pronto a tutto. Tiene molto al mio giudizio. Che dite, se gli parlassi di un amore vetusto, credete che potrebbe comprendere? -

L

(1) La citazione, in onore di zia Gina, maestra di vita e di cultura popolare. Sprincipiarsi era un verbo al quale ricorreva spesso, in senso ampiamente mataforico.

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