A PA'...
Considero da sempre Pasolini uno dei miei autori di riferimento. Amo tutto quello che ha realizzato come poeta, romanziere e regista. Anche con il fine polemista degli Scritti corsari mi trovo spesso in sintonia. Ma non sempre.
In particolare, trovo il suo giudizio sull'Italia del boom economico abbastanza viziato da una lettura romantica e nostalgica del paese agricolo, analfabeta e sottosviluppato che ci eravamo lasciati alle spalle. Già Italo Calvino glielo aveva fatto notare, sebbene sbagliando in maniera madornale il termine di riferimento (e mandandolo così su tutte le furie). Ciò che Pasolini rimpiangeva non era certo l'Italietta piccolo borghese e bigotta (oltre che tendenzialmente fascista), splendidamente fotografata negli aforismi di Ennio Flaiano.
L'Italia rimpianta da Pasolini era quell'accolita di contrade di nobili tradizioni che esprimevano, nelle città come nelle campagne, una cultura profonda e millenaria.
Ma non scordiamoci che quello era anche un paese analfabeta, in cui le classi contadine vivevano in condizioni di disagio oggi inimmaginabili, prive dei servizi basilari (acqua corrente e bagni nelle abitazioni, riscaldamento), in cui le donne erano assoggettate alle incombenze di lavori domestici estremamente onerosi (e questo io lo ricordo benissimo, perché ho visto con i miei occhi, da bambino, le comari del mio paesino lavare i panni presso i fontanili pubblici, con acqua gelida e in tutte le stagioni dell'anno). Vi erano poi fortissime disuguaglianze tra i ricchi (tendenzialmente coincidenti con le vecchie aristocrazie possidenti) e i poveri, che erano anche disparità di istruzione, e quindi di capacità di critica su basi razionali, come aveva documentato benissimo il nostro Ignazio Silone in Fontamara.
Ma si poteva fare anche molto peggio, o, peggio ancora, si poteva fallire del tutto l'industrializzazione del paese, che non era affatto scontata e che fu il risultato di una grande lucidità e determinazione da parte della classe dirigente dell'epoca. Un eventuale fallimento avrebbe significato per me, che sono di umili origini, certamente dover rinunciare agli studi superiori (i quali mi avrebbero poi messo in condizione di poter fruire di beni culturali non "di massa"), e quindi, con ogni probabilità, pure a Pasolini stesso.
A Pa', forse non è poi così vero che si stava meglio quando si stava peggio.
PPP (autore sconosciuto) |
In particolare, trovo il suo giudizio sull'Italia del boom economico abbastanza viziato da una lettura romantica e nostalgica del paese agricolo, analfabeta e sottosviluppato che ci eravamo lasciati alle spalle. Già Italo Calvino glielo aveva fatto notare, sebbene sbagliando in maniera madornale il termine di riferimento (e mandandolo così su tutte le furie). Ciò che Pasolini rimpiangeva non era certo l'Italietta piccolo borghese e bigotta (oltre che tendenzialmente fascista), splendidamente fotografata negli aforismi di Ennio Flaiano.
L'Italia rimpianta da Pasolini era quell'accolita di contrade di nobili tradizioni che esprimevano, nelle città come nelle campagne, una cultura profonda e millenaria.
Ma non scordiamoci che quello era anche un paese analfabeta, in cui le classi contadine vivevano in condizioni di disagio oggi inimmaginabili, prive dei servizi basilari (acqua corrente e bagni nelle abitazioni, riscaldamento), in cui le donne erano assoggettate alle incombenze di lavori domestici estremamente onerosi (e questo io lo ricordo benissimo, perché ho visto con i miei occhi, da bambino, le comari del mio paesino lavare i panni presso i fontanili pubblici, con acqua gelida e in tutte le stagioni dell'anno). Vi erano poi fortissime disuguaglianze tra i ricchi (tendenzialmente coincidenti con le vecchie aristocrazie possidenti) e i poveri, che erano anche disparità di istruzione, e quindi di capacità di critica su basi razionali, come aveva documentato benissimo il nostro Ignazio Silone in Fontamara.
L'industrializzazione era un passaggio storico per molti versi obbligato, se si voleva emergere da tale situazione di profondo disagio sociale legato al sottosviluppo. Dal solo settore primario non sarebbe mai potuto provenire il valore aggiunto necessario a finanziare la produzione e la fornitura alla totalità della popolazione di servizi essenziali quali sanità, istruzione, abitazione, previdenza sociale.
Si poteva industrializzare meglio, in maniera più ecologicamente rispettosa e più omogenea sul territorio nazionale? Certamente sì, specie col senno di poi.Ma si poteva fare anche molto peggio, o, peggio ancora, si poteva fallire del tutto l'industrializzazione del paese, che non era affatto scontata e che fu il risultato di una grande lucidità e determinazione da parte della classe dirigente dell'epoca. Un eventuale fallimento avrebbe significato per me, che sono di umili origini, certamente dover rinunciare agli studi superiori (i quali mi avrebbero poi messo in condizione di poter fruire di beni culturali non "di massa"), e quindi, con ogni probabilità, pure a Pasolini stesso.
A Pa', forse non è poi così vero che si stava meglio quando si stava peggio.
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