PARAPIGLIA

Tra tutti i termini che indicano una zuffa, uno scontro fra più persone, e ne sono tanti, solo uno brilla per acutezza ed immediatezza di significato e contemporaneamente ci dice che non si tratta di una cosa seria. Anzi può trattarsi di uno scherzo. Questa parola è “parapiglia”, che della durezza e della confusione che si creano quando si accende una rissa, meglio se in luogo chiuso, ma anche all’aperto, ha tutti i crismi, ma contiene già in sé un antidoto alla violenza, proprio per quello smaneggiare e sgomitare, scalciare ecc. che sovraintendono all’intera scena: darle e prenderle in queste occasioni sono eventualità inevitabili e sembra che la parola stessa, imponga un metodo di comportamento con imperativi ottativi (“para!” – se puoi: “piglia!”, se ti tocca).

Museo della Guerra di Rovereto (2017)

Per fortuna allo Zibaldino non si era mai dato il caso di un vero e proprio parapiglia, anche se episodi di un certo allarme ogni tanto si erano verificati. Quando non si era d’accordo sull’interpretazione data ad una certa parola, ad esempio “camarilla”, usata recentemente da Maurizio, per stigmatizzare un certo spirito di dissidenza che a lui sembrava complottistica, e di cui nessuno sapeva il significato preciso, pur non essendo i sospettati d’accordo sull’assunto principale, che si stesse litigando, cosa che essi liquidavano come una vera e propria ca...volata.

Quale migliore occasione, dopo un episodio di tal fatta, una volta raggiunto l’accordo, per un Maurizio in vena di squisitezze linguistiche, di quella offerta da questa parola, di cui si stavano per sperimentare i criteri fondativi?

Lungo era stato il discorso fatto sull’origine di questa bella parola “parapiglia”, onomatopeica fino al punto di far sentire lo schiocco dei colpi, siano essi schiaffi, calci o cazzotti, con dovizia di riferimenti al valore semantico di quel dare e pigliare, indiscriminatamente, avverbio, questo che aveva consentito all’oratore di mettere in risalto financo il profilo democratico che a suo dire la parola stessa conteneva, in quanto, come una pioggia che bagna un po’ tutti quelli che sono allo scoperto, senza distinzione di ceto, distribuiva in pari merito agli uni e agli altri, lividi e contusioni, conseguenza della difesa dei propri principi.

- E che dire – volle continuare Maurizio, ormai lanciato sul tema dei valori – se noi mettiamo a confronto questa parola con altre che indicano la stessa forma di violenza, ma sono meno ricche di implicazioni psicologiche (giacché c’era, si disse, perché non esagerare un pochino?), quali? (ormai la retorica gli aveva preso la mano), ma “tafferuglio”, “trambusto”, “subbuglio”, “zuffa”, “rissa”, “sommossa”, “baruffa”, “gazzarra”, “baraonda”, “guazzabuglio” e ancora altre che ora non mi vengono in mente.

- Ah, Maurì! Ma guazzabuglio che c’entra? – disse Silvana un poco risentita – guazzabuglio vuol dire confusione, accozzaglia di cose diverse, non ha a che fare per niente con calci e pugni,
- Sì, ma quando la mescolanza è composta da persone, di varia estrazione sociale, è facile che dal guazzabuglio, si arrivi ad un parapiglia – cercò di giustificarsi il poveruomo colto in castagna.
- Mi sembra che tu ti stai arrampicando sugli specchi - aggiunse impietosa la sua avversaria.
- Va bene; eliminiamo il guazzabuglio e teniamoci il tafferuglio, ti va così? Chiese con sarcasmo. Ci vorresti dire qualcosa a proposito del tafferuglio e giacché ci sei anche del trambusto e della baraonda?
- ‘Mbè, tanto per cominciare, attaccò impavida la ragazza, delle parole che hai elencato, a me sembra che solo il tafferuglio, la baruffa e naturalmente la zuffa e la rissa possano essere catalogate fra quelle che presuppongono un passaggio a vie di fatto, come nei film di Bud Spencer, mentre con le altre, siamo chiaramente in presenza di comportamenti altamente drammatici, ma non necessariamente violenti, ben potendo l’originario contrasto tra le persone, risolversi in un moto di riprovazione e opposizione, con voci e grida scomposte, grande agitarsi dei protagonisti, confusione e rumore, senza spargimento di sangue. Come nelle parole baraonda e gazzarra. A mezza strada, il subbuglio, di fronte al quale mi vien da pensare che forse qualche colpo di soppiatto è possibile che venga dato. La sommossa, invece, che propriamente è un’azione di popolo, una rivoluzione, che molto spesso finisce in grandi spargimenti di sangue, nella realtà dei fatti, può anche avvenire in maniera piuttosto pacifica.
- Solo idealmente, cara Silvana. Infatti gli esempi a suffragio della tua tesi sono quanto mai scarsi – Maurizio da un lato non voleva cedere di fronte alla sfrontatezza di lei, dall’altra non ci teneva ad aumentare la tensione, perciò, pensò alla maniera più facile di uscirsene senza fare brutta figura, ma anche senza stuzzicare l’amor proprio della intraprendente ragazza.
- Cari amici, disse rivolgendosi al pubblico, quello al quale avete assistito è un esempio di diverbio, civile e spassionato tra idee diverse. Nessuno potrebbe parlare a tal proposito, di battibecco, che è un’altra parola che ha la sua spiegazione nella sua formulazione. Il battibecco richiama una lite nel pollaio e quello che si sente, alla pronuncia, è proprio il battere dei becchi tra polli che si azzuffano. Una parola di grado inferiore, quasi un termine di secondo livello, che ripete nell’origine e nel significato, quanto detto per “parapiglia”, solo un gradino più in basso.

Nonostante questa trovata, a parere del proponente, brillante, ci fu chi si alzò e si dichiarò a favore di Silvana.

- Io credo che abbia avuto la meglio Silvana, disse Lidia, andiamo Silva, ti offro l’aperitivo!

La seduta fu tolta, di fatto: erano già tutti in piedi ed in fila per uscire.

Commenti

  1. (2 parte)

    “Ci sta raggiungendo anche Marta”, disse Lidia.
    Non si allontanarono di molto, scelsero l'altro locale che dava sulla piazza, un bar storico con pretese eleganti, che allargava a ventaglio i suoi tavolini nello spazio circostante.
    Ordinarono due calici di vino bianco, che diventarono tre appena Marta si unì a loro.
    “Com'è andata? Di chi avete parlato oggi?”
    “Guerriglie, tafferugli, parapiglia, risse, sommosse ... è da ieri che Maurizio fa discorsi strani, secondo me gli girano per qualcosa, forse non ha digerito qualche battuta infelice. Alcuni son pesanti, quando ci si mettono”.
    “Certo, c’è molta gente nuova allo Zibaldino. Per lui, Chiara e il gruppo delle origini non sarà facile conservare lo stesso spirito delle prime riunioni” rispose Marta.
    Poi, rivolgendosi a Lidia e cambiando improvvisamente discorso, disse “Hai presente la casa? Quella abbandonata, intendo”. L’amica non le aveva mai raccontato di esserci tornata da sola e quella domanda inattesa le fece avvertire il peso del suo piccolo segreto.
    “Sì, sei tornata di nuovo lì?”
    “È chiusa. Ci sono i sigilli. Ho incontrato Marcello, non sapevo che il suo negozio fosse lì, mi ha detto che è stata venduta”.
    “Forse qualcuno presto l’abiterà, allora…”
    Le era chiaro ciò che la sua amica non diceva. Era stata presa in contropiede, non aveva previsto che tutto potesse svanire così, magari senza nemmeno leggere un ultimo messaggio. Si sentì in dovere di dirle di aver fotografato con il cellulare quel muro, ma non lo fece. Aveva ficcanasato in cose che non la riguardavano, pensava, e non le andava di confessarlo.
    Silvana ascoltava poco, distratta dal suo cellulare che mandava continue richieste di attenzione. Poi propose “Facciamo un salto al Centrale? C'è un mio amico lì”.
    “Andate voi” disse Marta, poco in vena di fare serata, mentre già raccoglieva le sue cose. “Ci vediamo” aggiunse andando via.
    L'indomani, mentre Maurizio e Silvana battibeccavano sull'interpretazione da dare alla parola del giorno, azzuffarsi ormai sembrava una moda allo Zibaldino, chiese a bruciapelo a Marcello se conoscesse la persona che aveva comprato la casa abbandonata, che era vicino al suo negozio.
    “Un tipo che non conosco, uno che compra catapecchie e le rimette a posto, mi hanno detto. Perché cerchi casa?”
    “No” lo tranquillizzo Marta “è solo curiosità”.
    Ed era quella a farle trovare ogni scusa pur di passare per il vicolo in quei giorni.

    “Mi dai una mano ...Aurora? Devo portare su un po' di roba” quella voce la fece sobbalzare. Camminava con la testa infilata nel cellulare, leggendo l’ultimo post di Maurizio, ed era disconnessa dal mondo reale.
    L'uomo indicava proprio ‘quella casa’ e lei si limitò a dire “È chiusa”.
    “Vedo bene” disse, mostrando le chiavi.
    “Non ci conosciamo …” aggiunse Marta.
    “Ci conosciamo fin troppo. Non ci siamo mai parlati, è diverso”.
    Le stendeva, nel frattempo, secchi di vernice che toglieva dal portabagagli dell'auto.
    Sciolse subito il suo timore “Siamo già stati sopra, insieme, più volte di quello che pensi. Quando ti sentivo arrivare, mi facevo da parte, non volevo disturbarti. Si andava su per star soli, noi due, per inseguire pensieri. Ora però tutto cambia. Ora qui è casa mia”.
    “Hai comprato?”
    “No, io la metto a posto per il proprietario, che in cambio mi lascia star dentro per pochi soldi”.
    L’aiutò a portare secchi e materiale vario fino al portone, poi disse di dover andare.
    “Comunque il mio nome è Marta” gridò mentre si allontanava “e il tuo è Moreno, anche se non lo hai detto” disse a se stessa.
    Camminava svelta per la tensione di quell'incontro che aveva svelato, con fin troppa naturalezza, tanti misteri.
    Quel nome, Moreno, era comparso in alto sulla parete dopo quel suo ‘Aurora crepuscolare’ che, ora capiva, era stato interpretato come una volontà di rompere l’anonimato.

    (Vael)

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  2. Vorrei averlo scritto io. Grazie Anonimo. Il tuo contributo prezioso sta facendo crescere questa storia in maniera avvincente verso sviluppi inattesi e stimolanti. Andiamo avanti e forse un giorno "romperemo" anche noi l'anonimato. Per ora va bene così: il mistero affascina.

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