PERSEVERARE

“Sono andato a letto con un senso di straniamento; più volte mi era venuto in mente, così, senza motivo, il motto latino “perseverare diabolicum”. Poi, quando mi sono addormentato, mi sembrava di essere in uno stato di dormiveglia. Ero cosciente di dormire, ma avvertivo la realtà intorno a me, come da sveglio. “Diabolicum” pensavo, se c’è il diavolo, c’è il peccato ed allora la perseveranza è una virtù solo religiosa, non una prerogativa dell’uomo libero da vincoli, che agisce secondo coscienza.”

Brunetto Brunori, uno dei comandanti delle forze fiorentine di Ferruccio Ferrucci, scampato miracolosamente alla morte nella battaglia di Gavinana (03/08/1530) nonostante fosse trapassato da una lancia. Presso Madonna Dell'Acero, Lizzano in Belvedere (BO) - 2012

Maurizio diceva queste cose a Chiara che lo ascoltava senza una particolare voglia di starlo a sentire, pensando ad una di quelle tirate tipiche del carattere del suo fidanzato. Tuttavia, rispose accondiscendente:

“Mi piace parlare di sogni e sentirli raccontare; a volte trovo strane coincidenze tra i sogni sognati da altri, in genere persone care, e i miei e mi sconvolge il pensiero che anche nel mondo onirico vi possano essere delle relazioni e interconnessioni che noi non vediamo. Voglio dire che se io sono in un tuo sogno, quel me che è con te, nel sogno, potrei essere proprio io, in un mio sogno, che interagisco con te.”

“Vuoi dire che la tua presenza nel mio sogno, non sarebbe opera del mio mondo onirico, ma del tuo, in qualche modo connesso con il mio, che lo ha influenzato?”.
“Qualcosa del genere; ma ora dimmi del tuo sogno di questa notte. C’ero io?”.
“Sì. Tu c’eri, ma io non ti ho visto, avvertivo la tua presenza e per tutto il tempo siamo stati in tre.”
“Come in tre? Chi era il terzo?”.
“Andiamo con ordine. Innanzi tutto debbo dirti come era il sogno. Era lucido e consequenziale come un film. Tutto era verosimile. E’ cominciato con me che giravo di notte per la città. Le strade erano deserte. Arrivato sotto i portici, desolati e spettrali, tra le colonne ho visto un uomo; vestiva in modo un po’ antiquato: sopra un abito comune, indossava un mantello e portava un cappello strano. Si appoggiava con tutt’ e due le mani ad un bastone e sembrava in attesa di qualcuno. Anche se non era molto alto, aveva un aspetto imponente.

Quando mi ha visto, ha mosso un passo verso di me e mi ha steso la mano.

- Buon giorno, signore – mi ha detto in modo assai cortese – temevo di dover rientrare senza aver incontrato nessuno. La città è veramente deserta e l’alba ormai non è lontana. Se vuole essere così gentile da farmi compagnia per un po’, le posso offrire un caffè, o altro – al mio gesto di meraviglia, ha aggiunto – appena dietro l’angolo, c’è un piccolo bar che rimane aperto tutta la notte, non lo sapeva? Possiamo benissimo restare a parlare in tranquillità e poi, alle prime luci la lascerò libero. Accetta?
- Ben volentieri – ho risposto e ci siamo avviati, lui davanti, io subito dopo. Abbiamo attraversato la strada, lui cortesemente, si è soffermato, girandosi verso di me per darmi il tempo di raggiungerlo, quindi, fatti pochi passi per una via laterale, abbiamo visto l’ingresso del bar. “Bar dell’Olmo” recitava l’insegna illuminata ed il mio anfitrione, è entrato nel locale, sicuro di sé, come un cliente abituale. Ha salutato con un cenno il barista dietro al bancone, che ha risposto qualcosa, in maniera automatica, poi, attraversato lo spazio centrale, si è cercato un tavolinetto in una zona d’angolo, poco illuminata e mi ha invitato con un gesto a sedere, come lui ha fatto, senza fretta.
-  Calvados, signori? – abbiamo sentito la voce del barista alle nostre spalle, che portava già un vassoio con una bottiglia e due bicchieri.
- Gradisce? – mi ha chiesto il mio compagno – è un liquore molto buono, l’ho già provato altre volte e posso garantire.

Al mio cenno di assenso, il cameriere ha posato sul tavolo il vassoio con la bottiglia e i bicchieri e si è ritirato in silenzio. Nonostante la poca luce, potevo ora vedere meglio in volto, l’uomo che mi aveva invitato a tenergli compagnia per un’ora. Si era tolto il cappello che aveva posato su una sedia accanto a lui ed aveva lasciato che il mantello gli cadesse dalle spalle e poggiasse sulla spalliera della sedia sulla quale era seduto. Dalla tasca della giacca, apparve un giornale piegato, con la testata bene in vista: era L’Avanti del Partito Socialista Italiano, del quale ignoravo che fosse ancora vivo. L’uomo davanti a me era calvo, con poca barba intorno al volto; di pelle chiara, occhi cerulei, e il naso un poco schiacciato. Le labbra avevano un colorito rosa pallido e, pur non essendo prominenti, rimanevano un poco discoste, come stessero sempre per dire qualcosa. Le mani ben curate, lisce, esprimevano signorilità ed energia. Come tutta la persona.

Dopo aver riempito i due bicchierini e posto il mio davanti a me, mentre prendeva delicatamente il suo, mi ha fissato dritto negli occhi e, alzando alquanto il braccio, mi ha invitato a fare un brindisi:

- Alla salute nostra e di quelli che ci vogliono bene e ai quali vogliamo bene. – disse con enfasi.
- Salute – risposi io e abbiamo bevuto. Si trattava di un liquore eccellente.
- Possiamo darci del tu? – mi ha chiesto – non credo che servano formalismi tra di noi. – e senza attendere la risposta, ha proseguito – tu sei un uomo di sinistra, vero? Te lo immaginavi che dovesse finire in questo modo? Ora governano uomini senza spessore, controfigure, o marionette di un teatro tragicamente puerile, che, ignorando ogni cosa di politica e soprattutto della storia dei grandi partiti, la grandezza e la miseria di certe stagioni, sputano su tutto e credono di avere scoperto il mondo -

Così dicendo, aveva estratto dalla tasca la copia dell’Avanti e poggiata sul tavolinetto. Sembrava una copia di un giornale molto vecchio. Scorrendo i titoli degli articoli, ho notato che ricorrevano nomi come Nenni, Lombardi, De Martino, Signorile ed altri che erano personaggi di un’epoca ormai lontana.

- Peccare è umano – ha detto ad un tratto – perseverare è diabolico. Perseverare nell’errore. Questo verbo ha connotazioni di carattere positivo e non negativo (diabolico, poi!), uno degli aspetti più rilevanti di esso è la costanza dell’azione, la sua durata nel tempo, senza interruzioni e senza cedimenti. Perché un errore possa essere ritenuto diabolico, non è sufficiente che venga reiterato nel tempo, una volta, o due ma deve essere per così dire, continuativo. Noi abbiamo commesso molti errori, ma la nostra perseveranza non ha nulla di diabolico.
- Questa, infatti, è la perseveranza, ho ritenuto di dover aggiungere io, per non lasciare del tutto a lui l’onere di portar avanti una conversazione che si annunciava impegnativa, specie se consideriamo l’ora di notte in cui si svolgeva. - La volontà di perseguire un obiettivo, con rigore e determinazione, senza lasciarsi fuorviare dalle sirene ammaliatrici. Evocare la figura di Ulisse, in questo caso è ridondante. Pensiamo invece al caso del giovane Alfieri che per dedicarsi ai suoi studi, si faceva legare ad una sedia. O al volontario isolamento di Leopardi, chiuso nella biblioteca del padre, a condurre il suo “studio matto e disperatissimo” per ben sette anni. Un rigore senz’altro eccessivo, ma ognuno sa come combattere i propri demoni.

L’uomo era colto ed aveva tante cose da dire, io ero piuttosto imbarazzato: non volevo ingolfarmi in una conversazione della quale non ero certo di avere i precisi punti di rifermento – confessò Maurizio a Chiara, sempre più sbalordita di quella fantasmagoria di pensieri che il racconto di Maurizio le suggeriva.

- Quando ti ho visto, questa notte - continuava imperterrito l’uomo - ho capito subito che non mi sbagliavo. Hai i miei stessi interessi e parlare con te è molto piacevole. Hai nominato due grandi figure della nostra letteratura, molto diversi l’uno dall’altro. Eppure tra Alfieri e Leopardi corre un filo conduttore insospettato, forse per un pregiudizio legato alla diversa prestanza fisica dei due poeti: entrambi vissuti a cavaliere fra il 700 e l’ 800, sebbene il primo precedesse il secondo di circa mezzo secolo; quando è morto Alfieri, Leopardi aveva appena 5 anni, essi erano legati per una comune passione civile e patriottica. L’approccio con il mondo era per tutti e due il pessimismo, ma, mentre Alfieri guardava al passato, con gli occhi rivolti al futuro, Leopardi, al contrario, aveva più considerazione per i tempi passati e disprezzava il presente; si considerava un uomo del passato; idealmente sembrano tendersi la mano. Ti sembra?

Non sapevo cosa rispondere. Ma poi perché quella conversazione?

- A dispetto del termine, continuò lui - la perseveranza, assunta fra le virtù dalla dottrina cristiana, non ha nulla di teologale. Ha invece origini pagane: per essere perseveranti bisognava essere severi con se stessi; i latini dicevano “per” nel senso di “a lungo” e “severus” per indicare “rigido, retto”, quindi perseverare significava “essere rigoroso”. Altra probabile derivazione potrebbe essere “serius”, che si traduce anche con “severo”.

Cominciavo ad essere seccato del fatto di essere stato trascinato in quella discussione notturna, di cui non capivo il senso e la finalità. Ciononostante, finsi di gradire e poi, guardando il mio bicchierino mezzo pieno, mentre me lo facevo girare con le dita, come assorto, decisi di assecondarlo.

- Sebbene fin dai tempi più antichi, il significato prevalente del termine sia stato quello di mantenere la costanza in atti o atteggiamenti virtuosi, risulta che anche allora la scontata positività di esso, poteva in alcuni casi cambiare di segno ed assumere quello negativo, nelle forme in cui si voleva mettere in evidenza che una eccessiva rigidità, cessava di essere una virtù o una buona qualità, nel momento in cui la durezza di un provvedimento poteva essere nocivo in qualche modo alla persona.

- Io sono stato perseverante – disse lui in tono un po’ lugubre. In tutta la mia vita ho tenuto fede ai miei ideali. A quei tempi c’erano gli ideali. E le ideologie, ma questo è un altro discorso. Hanno fatto bene i tuoi coetanei a spazzarle via, le ideologie che a volte rendono ciechi. Gli ideali sono un’altra cosa, senza di loro è come essere senz’anima.

-Tu sei socialista? – gli ho chiesto un po’ ingenuamente.

- Sono stato per molti anni segretario di una sezione romana del Partito ed ho avuto modo di conoscere uomini eccezionali. – intanto versava un altro goccio di Galvados in entrambi i bicchieri vuoti. – Poi, dopo l’arrivo di Craxi ho mollato, mi sono dimesso. Sono rimasto socialista, ma quello non era già più il mio socialismo. Ho vissuto il dramma di Tangentopoli e tanti socialisti compromessi, il tristissimo periodo berlusconiano, in cui i miei ex compagni si sono voltati dalla parte di quell’avventuriero, ma nel mio cuore seguitava a battere l’idea del socialismo.

A questo punto credo di aver sognato che mi stavo addormentando sulla sedia. Ho aperto gli occhi ed ero ancora là, seduto sulla sedia; l’ho aperti una seconda volta ed ero nel mio letto. Ho avuto paura, venivo da due sogni uno dentro l’altro ed in entrambi mi sembrava di avere udito la parola “perseverare”. Perseverare a fare che? Non mi sembra di avere un obiettivo da raggiungere, ormai ed anche per gli idealismi è troppo tardi.

Ho chiuso gli occhi ed ecco, di nuovo, la prima pagina dell’Avanti, con titoli i più svariati e relativi a fatti avvenuti in tempi molto distanti l’uno dall’altro. C’era un articolo di Nenni, uno di Napolitano, uno riportava addirittura una lettera di Moro dalla prigionia delle Brigate Rosse. Gli occhi mi sono caduti sulla data di pubblicazione del giornale: 16 agosto 2016. Poi più nulla.

- Sono certa che quel numero non è mai apparso in edicola. – ha concluso Chiara.

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