LIDIA

Lidia era in piedi davanti alla parete piena di scritte di quella casa abbandonata nella quale era stata una volta insieme a Marta. Come in certe celle di carcerati, o detenuti politici, c’erano grafiti, parole oscene, messaggi vari lanciati da gente disperata, a persone fuori della cella, lette purtroppo a dramma ultimato. Quel vocabolo e il verbo che ne affermava l’esistenza, erano al centro di una fitta rete di parole, frasi, disegni, affastellati in modo disordinato, per gioco o per criptare richieste di aiuto, che si erano dovute accavallare in un lungo periodo di tempo, segnali lasciati da più mani, tanto diverse erano le scritture, alcune nitide, recenti, a pennarello, altre vecchie e sbiadite, quasi illeggibili, con tratti a matita o altri mezzi di fortuna, come un carboncino delebile.



Era tornata lì dopo quella fugace visita alla quale l’aveva trascinata l’amica, la quale le aveva rivelato che lei intratteneva su quella parete una relazione che non sapeva se definire sentimentale o semplicemente intellettuale, con uno sconosciuto, un ignoto corrispondente col quale si era trovata a scambiare messaggi. Una curiosità che lei aveva ritenuto insana, in un primo tempo, ma poi si era convinta che non lo era, l’aveva sollecitata a tornare, da sola in quel posto, a leggere e meditare su quelle scritte. Sapeva che la porta di quella casa era sempre accostata, che lì forse altre persone potevano entrare per fini diversi, qualcuno anche per passare la notte, cosa che la inquietava, anche se tracce non v’erano che potessero avvalorare questa ipotesi.

Per potersi concentrare e stare in solitudine aveva, eccezionalmente, chiuso la porta d‘ingresso dell’abitazione ed ora era sola con se stessa e le storie narrate da quelle scritture. In mancanza di una sedia, trovò una vecchia cassetta di legno, la collocò davanti alla parete e vi si sedette.

Doveva partire da lì, l’amore è... Guardò tutt’intorno a quella parola e quel verbo, in cerca di un seguito. In un punto lontano del grafico ecco spuntare un segno quasi indecifrabile, sommerso com’era da altre scritte più recenti: tutto? riuscì a leggere a malapena. Lo sguardo corse al punto opposto della parete: niente! aveva risposto la stessa mano della prima scritta. Un lungo silenzio doveva essere intercorso tra questa affermazione desolante e la domanda successiva, posta in alto, quasi fuori dal riquadro: Perché?

Nella migliore delle ipotesi, un’illusione, era la frase che campeggiava bene in vista, al centro. A Lidia si strinse il cuore. Si trovava in presenza di un dramma. Il solito, immancabile dramma di un amore perduto. Fu tentata di scrivere anche lei qualcosa, ma prima voleva andare avanti nella scoperta di quel mistero. Mistero? Si soffermò a pensare: sì da un lato l’amore è una storia che si ripete all’infinito, sempre uguale nelle sue linee generali, ma dall’altra è il più inestricabile degli intrecci di insondabili sentimenti.

Non era facile individuare la continuazione: le scritte si susseguivano sempre più fitte e fuorvianti. C’erano stati anche altri in quella casa, con interessi del tutto diversi, un tale aveva riportato perfino il conto della spesa: pane 5, verdura 10, ciliegie 15. Ciliegie! Allora quella scritta era attuale; nonostante il cattivo tempo che aveva devastato molte colture, a maggio le ciliegie non potevano mancare!

In una scritta si parlava di inquinamento. “Andiamo bene, anche gli ecologisti, in questa storia!” pensò. Ma subito sotto: E se non fosse così?

Cosa? L’allarme per l’inquinamento? Oppure l’amore, non più un’illusione? Le sembrò di riconoscere la scrittura di Marta ed allora propense per la seconda ipotesi. La sua amica aveva lanciato un segnale, quasi un salvagente. Povera piccola cara! Si offriva come riparo per cuori infranti. Perciò era così curiosa di sapere se c’era una risposta alla sua domanda che la esponeva un po’ troppo. Ebbe la tentazione di dare una mano al destino e scrisse con una biro che aveva in borsetta, alla fine di una lunga lista di cose varie: Per esempio?

Si alzò dallo scomodo sedile, si accostò alla finestra, con lo scuro accostato; lo aprì, rimanendo nascosta dietro di esso; allungò solo il collo e guardò fuori. Nessuno. Al negozio di colori e vernici, all’angolo del palazzo di fronte, il probabile titolare, un uomo alto e magro, vestito elegantemente, con un viso scavato, molto “vissuto”, si affacciò sulla soglia ed alzò gli occhi alla finestra. Lidia si sentì scoperta, ma era una sua sensazione. Attese che un cliente lo costringesse a rientrare nel negozio, per sgattaiolare velocemente fuori di quella casa senza essere vista. Almeno così credeva. L’aria le sembrò fresca e respirabile, nonostante lo smog.

Di tutta quella storia pensava di fare un racconto, arricchito con particolari inventati, da presentare al più presto allo staff dello Zibaldino. Qualcuno lì l’avrebbe sicuramente apprezzato.

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