BIGOTTO

Lo Zibaldino è un luogo ideale, aperto, dove chiunque può prendere la parola e dire quello che vuole, in ambito di idee, pensieri e parole, buttati lì alla rinfusa, dove non si considerano, anche se graditi, eventuali titoli accademici, e dove, negli ultimi tempi, è prevalsa la tendenza a fare per così dire “le bucce” alle parole, con la segreta speranza di scoprire qualche lato meno illuminato del monolito che la parola è.

Crisalide, 2018

Chiara e Maurizio hanno voluto dedicarlo “Alla memoria di Alfredo, amico incomparabile”. Con il contributo di Bonifazio, un anno fa, si era pensato di compilare, con i vari post del blog, un piccolo dizionario da intitolare “Abecedario delle parole”, con l’intento di mettere in guardia l’eventuale lettore ignaro, che si trattava di un libello scritto da gente terra-terra, che “non sarebbe stata capace di andare oltre le prime quattro lettere dell’alfabeto”.

Bonifazio ora non c’era. Ma altri, tipo Matteo, Sebastiano e un certo Pancrazio, che da qualche tempo aveva preso a frequentare il circolo, senza parlare e senza nemmeno presentarsi, sembravano interessati al progetto.

Quel giorno si sarebbe dovuto parlare di questo ed erano tutti convenuti, ben contenti che il programma prevedesse di portarlo avanti, se non che Maurizio, come al solito, si mise a parlare di altro, senza fare un accenno all’ordine del giorno.

- Tra i dieci comandamenti – esordì di fronte ai quattro disorientati ascoltatori, al secondo posto, c’è il divieto di nominare il nome di Dio invano. Cosa alla quale la religione cristiana tiene molto, penso per un giusto riguardo alla sacralità della persona di Dio ed evitare che un uso incontrollato della parola stessa possa portare ad una forma di assuefazione tale da renderne vano il ricorso. Un modo di banalizzare tutto quanto attiene alla divinità, che invece deve restare ‘separato’, secondo il significato vero di ‘sacro’. E’ un monito molto severo, se viene anteposto ai divieti più importanti, quale ad esempio quello di uccidere, rubare, o ai comandamenti di amare, onorare, ecc.
- Avviene invece – rincalzò lesta Chiara, approfittando di una pausa dell’oratore - che il nome di Dio venga fatto spesso, nelle occasioni più diverse, come invocazione, Dio mio aiutami!, come esclamazione, odddio! Perdio, buon dio, come invettiva, nei più fantasiosi modi blasfemi e quel che è più strano, sia dai credenti che dai non credenti, i quali ultimi, per la verità, non avrebbero titolo alcuno a parlarne, nel bene e nel male, non ammettendo essi l’esistenza di un essere superiore, origine di tutte le cose. Parlarne significherebbe per loro argomentare sul nulla, bestemmiarlo paradossalmente, potrebbe equivalere ad ammetterne l’esistenza.
- Appunto – riprese la parola Maurizio, non senza aver lanciato un’occhiata i tralice, alla sua compagna – c’è un tipo di cristiano, che non si attiene affatto a questo dettato, anzi, approfitta di ogni occasione, a proposito o anche e spesso a sproposito, non fa altro che ricorrere al nome di Dio, per cercare di dimostrare in ogni modo la propria devozione, manifestando un attaccamento eccessivo alle forme della religione, anziché alla sostanza della fede. Pertanto, il nome di Dio è sempre sulle sue labbra, anche quando non dovrebbe. Costui è il bigotto.
- Questo modo di comportarsi è all’origine della parola ‘bigotto’, - ebbe modo di inserirsi Chiara, ed a questo punto si capì che il teatrino tra i due era stato preparato in anticipo - e ne spiega il significato in un modo che più probante non si potrebbe. Essa deriva dal francese “bigot”, che era un modo sprezzante di apostrofare i tedeschi, per il loro modo di intercalare di continuo, nei loro discorsi l’espressione “bi-Gott”, che vuol dire “per Dio”.
- Ecco quindi che il bigotto, a dispetto della sua professione di fideismo sfegatato, si qualifica proprio per la inosservanza del secondo comandamento che prescrive di non nominare il nome di Dio invano. – Aggiunse Maurizio.
- Ora è interessante notare le relazioni che corrono tra questa parola ed altre che con essa si sposano, come “affettato” e “lezioso”. Cominciamo col dire che il bigottismo è una forma di affettazione. Affettare, che normalmente vuol dire fare a fette, per esempio un salame, veicola invece un significato diverso, che proviene dal latino “ad-fectare”, che vuol dire “desiderare”. Un’altra derivazione potrebbe essere sempre dal latino “ad+facere”, cioè “afficere”, che vuol dire “fare impressione”. Unendo il senso dell’una e dell’altra ipotesi, si ottiene “desiderare di fare impressione”, che è il significato vero di “affettare”. Affettato è il modo studiato, falso di apparire, al fine di fare impressione su chicchessia.

Breve pausa, poi di seguito Chiara attaccò l’ultimo punto.

- Si può dire che il bigotto, sia anche “lezioso”? - chiese agli sbigottiti presenti, retoricamente, scrutandoli negli occhi - Lezioso, che significa dai modi raffinati, sdolcinati e svenevoli rassomiglia all’omofono “leccato”, che vuol dire rifinito con eccessiva cura. Sta di fatto che questa parola deriva dal latino “deliciae”, che sono le delizie, e le seduzioni. Nel desiderio di apparire, per fare impressione, anche il ricorso alle maniere “deliziose” può avere la sua parte. Quando esse superano il limite della tollerabilità e diventano non solo affettate, ma anche leziose, per non dire leccate, il quadro si chiude su un soggetto di assoluta fatuità, per il quale l’esibizione eccessiva del sentimento religioso si riduce ad orpello della persona, senza scalfirne lo spirito.
- E’ chiaro ed evidente – concluse Maurizio - che il discorso programmatico sull’ “Abecedario delle parole” lo rimandiamo ad una prossima occasione.

Commenti

  1. Il perseverare nella ricerca, in "un domandare tutto che è tutto un domandare", è ciò che pone il filosofo a pari distanza dal bigotto e dall'ateo.

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