DON CHISCIOTTE E I BRIGANTI
Da quando avevano cominciato a frequentarsi, Maurizio e Chiara avevano scoperto di avere più di un interesse in comune: una certa vivacità intellettuale, la curiosità per fatti ed eventi di attualità (no, la parola “cultura” non la usavano mai), i viaggi, specie quelli fatti con la mente, il moto in generale, libero da condizionamenti disciplinari, come camminare, correre, nuotare, andare in bicicletta; la lettura, il cinema, la musica, cose così, dilettevoli che facevano pensare e rendevano la vita quella cosa bella che è.
D’estate, al mare, nei lunghi pomeriggi in cui il sole sembrava non voler mai cedere il passo, acconsentendo alla fine, ma solo per poco, al sopravvento della sera, spesso capitava di fare escursioni sulla ciclabile che costeggia buona parte del litorale teramano, con un piacere che sembrava sempre nuovo.
In una di quelle serate, erano arrivati sul porticciolo di Martinsicuro, avevano lasciato le bici e si erano seduti sui massi, in vista della foce del fiume Tronto.
- Qui passava il confine - esordì Maurizio - che divideva l’Abruzzo, estrema propaggine del Regno Borbonico delle Due Sicilie, dalle Marche, che facevano parte dello Stato Pontificio. Ancora oggi diverse località di confine, si fregiano del nome del fiume che ne era espressione. Arquata del Tronto, nella Marche, Civitella del Tronto in Abruzzo e S. Benedetto del Tronto, ancora Marche.
- Sì lo so - rimbeccò Chiara, di rimando al tono saccente del compagno - e so anche che sui Monti della Laga e precisamente a Macera della Morte, a circa 2000 metri di altitudine, esiste un punto, indicato da un cippo di pietra, in cui si congiungono i confini di Marche, Abruzzo e Lazio ed il confine fu segnato in piena era borbonica, quando le Marche erano ancora papaline e quindi il confine che allora era tra due Stati, oggi è invece tra tre Regioni.
- Tu però non sai - insistette sullo stesso tono scherzoso Maurizio - che io, qualche tempo fa, in una bancarella di libri usati, sotto i portici di Fumo, a Teramo, ho trovato un libriccino molto singolare di foto d’epoca, fatte da un fotografo sconosciuto, con una premessa di qualche interesse, in cui si parla, oltre che dei confini, tra queste terre, anche di fatti straordinari avvenuti nel momento del passaggio da uno Stato all’altro di queste regioni, relativi all’attività di briganti nella nostra provincia e in tutto l’ Abruzzo, mentre si realizzava l’unità d’Italia.
- Briganti, briganti… - disse Chiara con una mossetta furba - sai tu per caso chi è stato, in letteratura il primo a parlare di briganti, non in termini convenzionali, cioè solo come criminali feroci e crudeli, dediti ad azioni delittuose, per i loro interessi, ma vede in loro i portatori, almeno in alcuni casi, di ideali comuni, impensabili dai più?
- Aspetta, da qualche parte ho letto che Cervantes, dette per primo una spiegazione delle possibili motivazioni che spingevano le persone anche quelle per bene, a scegliere di darsi alla macchia come modello di vita, in opposizione a regimi tirannici, con la violenza, quando non si conosce altra via per far valere le proprie ragioni.
- Esattamente; c’è un capitolo nel suo libro, in cui Don Chisciotte incontra un gruppo di briganti, condotti in catene da una squadra di soldati, e lui ordina ai carcerieri di liberare immantinente i prigionieri, ritenendoli poveracci perseguitati dalle autorità, e ingaggiando una lotta con i soldati, che porta effettivamente alla liberazione dei prigionieri.
- Anche da noi, ora, - questa è Chiara che parla ora in tono serio e concentrato - si sta creando un movimento per una rivisitazione di quel periodo storico caratterizzato dall’azione dei briganti nel nostro Paese e molti hanno riscoperto un articolo pubblicato su “Ordine Nuovo”, senza firma, ma attribuito a Gramsci, che sembra abbia sostenuto idee molto radicali su questo punto, sostenendo che la motivazione principale del brigantaggio si deve trovare nella tirannia dello Stato che trascura le ragioni dei più deboli, rispondendo con la forza alle loro giuste richieste. E’ lo stato che uccide e che massacra, a spingere i suoi cittadini a diventare briganti. Naturalmente anche questa affermazione, molto forte, va inquadrata in un contesto di forte opposizione, quale fu quella di Gramsci al fascismo e valutata nella sua giusta dimensione. Altri hanno equiparato i briganti ai partigiani, ma in questo caso, quello che conta è la scelta di campo e non sembra che quei combattenti lì, avessero scelto giusto, ma ciò non toglie, che all’origine, o per determinate figure, qualche motivazione politica ci sia stata alla base di decisioni così importanti.
- Don Chisciotte ha capito subito da quale parte stare. E lui non aveva secondi fini da assecondare, agendo come agiva, nel puro senso della lealtà e dell’onore. E si sarebbe schierato sempre a difesa dei deboli e dei poveri, contro i potenti e prepotenti, salvo poi a ricredersi, ove del caso.
- Il bene ed il male non stanno solo da una parte o dall’altra - disse lei - normalmente stanno da entrambe le parti, mescolati insieme; l’importante sta nel saper distinguere e vedere da quale parte è preponderante il bene e dove invece il male è maggiore.
- Chisciotte, nel momento in cui torna sano di mente, muore, nel suo letto, come un uomo qualsiasi, circondato da quelli che lo avevano ritenuto pazzo e che ora sono contenti del fatto che lui sia rinsavito. La follia del "cavaliere dalla triste figura" consisteva nel credere che si potesse spendere la propria vita per un ideale. Anche quando l’ideale era un mito e non aveva niente di reale. L’azione nobile e gratuita, a costo della vita.
C’è da dire che Maurizio era un appassionato ammiratore di Don Chisciotte, fin da quando era bambino ed aveva creduto che il libro avesse l’unico scopo di far ridere i piccoli; poi, mano a mano che cresceva, aveva mutato il suo punto di vista e la figura allampanata del nobile castigliano si trasformava da povero derelitto, oggetto di beffe, perseguitato dalla sfortuna e preda di diavoli e sortilegi, ad uomo di valore, che reagisce ad ogni avversità della vita con coraggio e sagacia e immaginava che quel libro, potesse avere uno scopo molto più ambizioso che divertire i bambini, ma fosse stato scritto per gli adulti e non per farli ridere, ma per pensare.
Chiara condivideva il suo punto di vista, ciononostante non perdeva occasione ogni volta che lui lo nominava, di prenderlo bonariamente in giro, quasi fosse lui, adesso, l’idealista che non aveva i piedi per terra, invece del suo eroe.
- Secondo me - proseguì Maurizio - è giusto rivedere molti pregiudizi che si sono creati su quello che fu il fenomeno del brigantaggio, ma non bisogna esagerare in senso contrario, ritenere cioè che i briganti fossero degli eroi, che avessero motivazioni ideali, addirittura politiche. Delitti, rapine, razzie, rapimenti ed omicidi sono stati commessi eccome, che non si giustificano se non con un intento criminale. E spesso contro la povera gente.
- Per la maggior parte, nella lotta per l’Unità d’Italia, si schierarono dalla parte della reazione - affermò Chiara, - mentre i ceti polari, contadini ed operai, almeno in un primo momento, furono presi da entusiasmo per i nuovi arrivati, specialmente per Garibaldi con la sua camicia rossa, nel quale molti avevano visto un liberatore dei poveri dalla schiavitù dei ricchi, i briganti si schierarono con i baroni e i vecchi proprietari che parteggiavano tutti per la conservazione del regno borbonico.
- Questo è vero - rispose Maurizio - anche se non mancarono esempi contrari. Sai niente di quel Vincenzo Tamburini, la Primula Rossa di Sulmona, brigante del quale non si ricordano azioni cruente, ma solo ruberie e rapine, dedito ai travestimenti, con i quali si divertiva a beffare le forze dell’ordine? Si racconta che una volta, travestito da venditore di coltelli, si presentò ad una riunione di ufficiali dei Carabinieri per vendere lame rubate agli stessi Carabinieri e fu così abile da non farsi riconoscere e piazzare buona parte della refurtiva agli stessi rapinati.
- Ma indubbiamente, il mantenimento dello status quo - concluse Chiara - per la maggior parte dei briganti era meglio del nuovo che si annunciava con l’arrivo dell’esercito sabaudo, più temuto di quello borbonico, al quale erano abituati.
Erano ormai arrivati dalle parti di Tortoreto, dove erano le loro abitazioni ed essi si portarono sulla riva del mare, per godere ancora per qualche momento della lama di luce che ad occidente lentamente si spegneva, mentre la linea dell’orizzonte ad oriente già scompariva nel buio della sera. Sedettero su due sedie da spiaggia, guardando il mare che si tingeva di nero.
- E Garibaldi? Cosa mi dici di Garibaldi, eroe dei due mondi, padre della patria e spirito ribelle, il combattente di ogni causa giusta?
- Ne parleremo la prossima volta; c’è molto da dire su di lui. Certo nessuno si sarebbe aspettato che, dopo la sua cavalcata vittoriosa, da Quarto a Milazzo, da Milazzo all’Aspromonte, quando sembrava che in Italia si potesse realizzare uno Stato libero indipendente e repubblicano, con a capo lui, cosa che ingenuamente costituiva la speranza di tutti i poveri e i diseredati della nuova Italia, arrivato a Teano, si togliesse il cappello in ossequio al re, giunto fin là apposta per fermarlo e cedesse tutti i suoi poteri a lui, sciogliendo la sue milizie vittoriose e tornandosene a casa.
- Non arrivò dalle nostre parti, perché fu bloccato prima. Da noi era già arrivato il re, in pompa magna, dopo aver "conquistato", a seguito di alcune scaramucce, ed a botte di plebisciti popolari, Umbria e Marche. Si era fatto vedere in parate propagandistiche, in diverse località d’Abruzzo parate a festa per l’occasione; da noi fece una storica passeggiata a cavallo da Teramo a Giulianova, tra due ali di folla osannante e non ebbe nemmeno bisogno di combattere, perché nel frattempo, il re di Napoli si era arreso e l’Abruzzo era diventato direttamente italiano anche qui con un plebiscito, nel quale tutti o quasi si dichiaravano favorevoli all’annessione.
Cammino portoghese di Santiago - 2018 |
D’estate, al mare, nei lunghi pomeriggi in cui il sole sembrava non voler mai cedere il passo, acconsentendo alla fine, ma solo per poco, al sopravvento della sera, spesso capitava di fare escursioni sulla ciclabile che costeggia buona parte del litorale teramano, con un piacere che sembrava sempre nuovo.
In una di quelle serate, erano arrivati sul porticciolo di Martinsicuro, avevano lasciato le bici e si erano seduti sui massi, in vista della foce del fiume Tronto.
- Qui passava il confine - esordì Maurizio - che divideva l’Abruzzo, estrema propaggine del Regno Borbonico delle Due Sicilie, dalle Marche, che facevano parte dello Stato Pontificio. Ancora oggi diverse località di confine, si fregiano del nome del fiume che ne era espressione. Arquata del Tronto, nella Marche, Civitella del Tronto in Abruzzo e S. Benedetto del Tronto, ancora Marche.
- Sì lo so - rimbeccò Chiara, di rimando al tono saccente del compagno - e so anche che sui Monti della Laga e precisamente a Macera della Morte, a circa 2000 metri di altitudine, esiste un punto, indicato da un cippo di pietra, in cui si congiungono i confini di Marche, Abruzzo e Lazio ed il confine fu segnato in piena era borbonica, quando le Marche erano ancora papaline e quindi il confine che allora era tra due Stati, oggi è invece tra tre Regioni.
- Tu però non sai - insistette sullo stesso tono scherzoso Maurizio - che io, qualche tempo fa, in una bancarella di libri usati, sotto i portici di Fumo, a Teramo, ho trovato un libriccino molto singolare di foto d’epoca, fatte da un fotografo sconosciuto, con una premessa di qualche interesse, in cui si parla, oltre che dei confini, tra queste terre, anche di fatti straordinari avvenuti nel momento del passaggio da uno Stato all’altro di queste regioni, relativi all’attività di briganti nella nostra provincia e in tutto l’ Abruzzo, mentre si realizzava l’unità d’Italia.
- Briganti, briganti… - disse Chiara con una mossetta furba - sai tu per caso chi è stato, in letteratura il primo a parlare di briganti, non in termini convenzionali, cioè solo come criminali feroci e crudeli, dediti ad azioni delittuose, per i loro interessi, ma vede in loro i portatori, almeno in alcuni casi, di ideali comuni, impensabili dai più?
- Aspetta, da qualche parte ho letto che Cervantes, dette per primo una spiegazione delle possibili motivazioni che spingevano le persone anche quelle per bene, a scegliere di darsi alla macchia come modello di vita, in opposizione a regimi tirannici, con la violenza, quando non si conosce altra via per far valere le proprie ragioni.
- Esattamente; c’è un capitolo nel suo libro, in cui Don Chisciotte incontra un gruppo di briganti, condotti in catene da una squadra di soldati, e lui ordina ai carcerieri di liberare immantinente i prigionieri, ritenendoli poveracci perseguitati dalle autorità, e ingaggiando una lotta con i soldati, che porta effettivamente alla liberazione dei prigionieri.
- Anche da noi, ora, - questa è Chiara che parla ora in tono serio e concentrato - si sta creando un movimento per una rivisitazione di quel periodo storico caratterizzato dall’azione dei briganti nel nostro Paese e molti hanno riscoperto un articolo pubblicato su “Ordine Nuovo”, senza firma, ma attribuito a Gramsci, che sembra abbia sostenuto idee molto radicali su questo punto, sostenendo che la motivazione principale del brigantaggio si deve trovare nella tirannia dello Stato che trascura le ragioni dei più deboli, rispondendo con la forza alle loro giuste richieste. E’ lo stato che uccide e che massacra, a spingere i suoi cittadini a diventare briganti. Naturalmente anche questa affermazione, molto forte, va inquadrata in un contesto di forte opposizione, quale fu quella di Gramsci al fascismo e valutata nella sua giusta dimensione. Altri hanno equiparato i briganti ai partigiani, ma in questo caso, quello che conta è la scelta di campo e non sembra che quei combattenti lì, avessero scelto giusto, ma ciò non toglie, che all’origine, o per determinate figure, qualche motivazione politica ci sia stata alla base di decisioni così importanti.
- Don Chisciotte ha capito subito da quale parte stare. E lui non aveva secondi fini da assecondare, agendo come agiva, nel puro senso della lealtà e dell’onore. E si sarebbe schierato sempre a difesa dei deboli e dei poveri, contro i potenti e prepotenti, salvo poi a ricredersi, ove del caso.
- Il bene ed il male non stanno solo da una parte o dall’altra - disse lei - normalmente stanno da entrambe le parti, mescolati insieme; l’importante sta nel saper distinguere e vedere da quale parte è preponderante il bene e dove invece il male è maggiore.
- Chisciotte, nel momento in cui torna sano di mente, muore, nel suo letto, come un uomo qualsiasi, circondato da quelli che lo avevano ritenuto pazzo e che ora sono contenti del fatto che lui sia rinsavito. La follia del "cavaliere dalla triste figura" consisteva nel credere che si potesse spendere la propria vita per un ideale. Anche quando l’ideale era un mito e non aveva niente di reale. L’azione nobile e gratuita, a costo della vita.
C’è da dire che Maurizio era un appassionato ammiratore di Don Chisciotte, fin da quando era bambino ed aveva creduto che il libro avesse l’unico scopo di far ridere i piccoli; poi, mano a mano che cresceva, aveva mutato il suo punto di vista e la figura allampanata del nobile castigliano si trasformava da povero derelitto, oggetto di beffe, perseguitato dalla sfortuna e preda di diavoli e sortilegi, ad uomo di valore, che reagisce ad ogni avversità della vita con coraggio e sagacia e immaginava che quel libro, potesse avere uno scopo molto più ambizioso che divertire i bambini, ma fosse stato scritto per gli adulti e non per farli ridere, ma per pensare.
Chiara condivideva il suo punto di vista, ciononostante non perdeva occasione ogni volta che lui lo nominava, di prenderlo bonariamente in giro, quasi fosse lui, adesso, l’idealista che non aveva i piedi per terra, invece del suo eroe.
- Sì, ma come reagisce quando viene a sapere chi era realmente la nobildonna dei suoi sogni. Quella Dulcinea del Toboso, tanto osannata ed ai cui piedi egli metteva le sue imprese? - lo apostrofava lei, senza pietà.
- Si rifiuta di credere che la sua amata sia una rozza contadina, perché sa che sotto una realtà c’è sempre un’altra realtà ed è questa che a lui interessa di più.
Cominciava ad imbrunire e i due si alzarono, ripresero le biciclette e si avviarono sulla via del ritorno. La ciclabile in quel tratto era poco frequentata e potevano procedere affiancati.
- Secondo me - proseguì Maurizio - è giusto rivedere molti pregiudizi che si sono creati su quello che fu il fenomeno del brigantaggio, ma non bisogna esagerare in senso contrario, ritenere cioè che i briganti fossero degli eroi, che avessero motivazioni ideali, addirittura politiche. Delitti, rapine, razzie, rapimenti ed omicidi sono stati commessi eccome, che non si giustificano se non con un intento criminale. E spesso contro la povera gente.
- Per la maggior parte, nella lotta per l’Unità d’Italia, si schierarono dalla parte della reazione - affermò Chiara, - mentre i ceti polari, contadini ed operai, almeno in un primo momento, furono presi da entusiasmo per i nuovi arrivati, specialmente per Garibaldi con la sua camicia rossa, nel quale molti avevano visto un liberatore dei poveri dalla schiavitù dei ricchi, i briganti si schierarono con i baroni e i vecchi proprietari che parteggiavano tutti per la conservazione del regno borbonico.
- Questo è vero - rispose Maurizio - anche se non mancarono esempi contrari. Sai niente di quel Vincenzo Tamburini, la Primula Rossa di Sulmona, brigante del quale non si ricordano azioni cruente, ma solo ruberie e rapine, dedito ai travestimenti, con i quali si divertiva a beffare le forze dell’ordine? Si racconta che una volta, travestito da venditore di coltelli, si presentò ad una riunione di ufficiali dei Carabinieri per vendere lame rubate agli stessi Carabinieri e fu così abile da non farsi riconoscere e piazzare buona parte della refurtiva agli stessi rapinati.
- Ma indubbiamente, il mantenimento dello status quo - concluse Chiara - per la maggior parte dei briganti era meglio del nuovo che si annunciava con l’arrivo dell’esercito sabaudo, più temuto di quello borbonico, al quale erano abituati.
Erano ormai arrivati dalle parti di Tortoreto, dove erano le loro abitazioni ed essi si portarono sulla riva del mare, per godere ancora per qualche momento della lama di luce che ad occidente lentamente si spegneva, mentre la linea dell’orizzonte ad oriente già scompariva nel buio della sera. Sedettero su due sedie da spiaggia, guardando il mare che si tingeva di nero.
- E Garibaldi? Cosa mi dici di Garibaldi, eroe dei due mondi, padre della patria e spirito ribelle, il combattente di ogni causa giusta?
- Ne parleremo la prossima volta; c’è molto da dire su di lui. Certo nessuno si sarebbe aspettato che, dopo la sua cavalcata vittoriosa, da Quarto a Milazzo, da Milazzo all’Aspromonte, quando sembrava che in Italia si potesse realizzare uno Stato libero indipendente e repubblicano, con a capo lui, cosa che ingenuamente costituiva la speranza di tutti i poveri e i diseredati della nuova Italia, arrivato a Teano, si togliesse il cappello in ossequio al re, giunto fin là apposta per fermarlo e cedesse tutti i suoi poteri a lui, sciogliendo la sue milizie vittoriose e tornandosene a casa.
- Non arrivò dalle nostre parti, perché fu bloccato prima. Da noi era già arrivato il re, in pompa magna, dopo aver "conquistato", a seguito di alcune scaramucce, ed a botte di plebisciti popolari, Umbria e Marche. Si era fatto vedere in parate propagandistiche, in diverse località d’Abruzzo parate a festa per l’occasione; da noi fece una storica passeggiata a cavallo da Teramo a Giulianova, tra due ali di folla osannante e non ebbe nemmeno bisogno di combattere, perché nel frattempo, il re di Napoli si era arreso e l’Abruzzo era diventato direttamente italiano anche qui con un plebiscito, nel quale tutti o quasi si dichiaravano favorevoli all’annessione.
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