DIOGENE ED ALESSANDRO

Credo che sia giunto il momento di rivelare al generoso pubblico che ha la pazienza di seguirci su questo blog, pochi ma buoni, che le due figure di Maurizio e Chiara, la coppia di giovani innamorati, che negli ultimi tempi è comparsa in diversi post e sta prendendo sempre più piede, gode di una doppia veste, di protagonisti del blog e contemporaneamente, di spettatori, cioè lettori dello stesso, per cui i due possono entrare in una storia come protagonisti o attori e leggersi subito dopo nella loro seconda veste di osservatori esterni. La loro aspirazione sarebbe addirittura quella di diventare anche autori dei testi e delle foto, venendo così a partecipare anche della qualità di amministratori del blog.



Voglio anche chiarire che sono persone reali, ancorché, per la parte che qui appare, alquanto irrealizzati, nel loro concreto modo di vivere, di cui finora nulla si sa, se non che sono pressappoco fidanzati, più secondo il punto di vista di lui, per la verità, che di lei. E’ da aggiungere che questo accade per la supremazia che gli autori hanno finora esercitato su di loro, imponendo che fosse escluso che tra loro si parli di altro, se non di argomenti di carattere intellettuale, lasciando all’immaginazione dei lettori, quanto possa avvenire dietro le quinte, nel rapporto piuttosto caloroso, anche se un po’ altalenante che corre tra loro due, i quali, come tutti gli innamorati avranno senz’altro altri momenti in cui le preoccupazioni di carattere intellettualistico, non troverebbero più spazio alcuno.

Maurizio, in una di queste circostanze, in cui non sapeva di essere anche parte della storia, aveva letto il bellissimo articolo di Valter su “Il senso del Limite”, e ne era rimasto fortemente impressionato. Dopo aver approfonditamente parlato del limite secondo la concezione aristotelica ed oltre, l’autore aveva tratto un apologo sulla felicità, di così pregnante significanza, da risvegliare nella mente del lettore tutte le considerazioni fatte su quel tema, così caro all’uomo e così difficile da definire come stato d’animo, tanto lontano dal suo conseguimento.

Si ricordò di un fatterello semi leggendario, che sarebbe avvenuto intorno ai primi decenni del 300 a.c., di cui protagonisti furono, secondo gli storici del tempo, il filosofo fondatore della scuola cinica Diogene e l’Imperatore Alessandro Magno. Si calò allora nei panni di un osservatore mediorientale dell’epoca e si figurò la scena, mentre la raccontava a Chiara, attentissima in ascolto.

- Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene – Così sembra abbia detto Alessandro Magno ai suoi cortigiani dopo aver fatto visita a Diogene che se ne stava sdraiato per terra a prendere il sole, davanti alla sua abitazione, consistente in una botte, con una semplice apertura laterale. Alessandro, commosso da tanta povertà,
- Cosa posso fare per te? - aveva chiesto, premuroso, piegando il busto verso di lui, disposto a fare qualunque cosa egli gli avesse chiesto.
- Toglierti tra me e il sole – aveva risposto Diogene, senza lasciarsi intimorire dal fasto del suo interlocutore che era l’uomo più potente di tutta a terra. Risposta che, mentre aveva fortemente indispettito gli accompagnatori del grande condottiero, che l’avevano ritenuta irriguardosa della generosità e della maestà di Alessandro e passibile di una severa punizione, era risultata, invece, molto gradita a lui, il destinatario della stessa, che ne aveva apprezzato la sincerità e l’assoluta indipendenza intellettuale dell’uomo, a torto soprannominato il Socrate pazzo.

- Due modelli a confronto, disse Chiara appena Maurizio terminò il suo racconto, - Diogene, che non possedeva nulla di suo, aveva appena spezzato la ciotola con la quale beveva, ultimo bene di sua proprietà, vedendo un ragazzo bere ad una fonte con le mani a coppa, ed avendo constatato che si poteva bere anche dall’incavo delle mani congiunte, ed Alessandro il Grande, conquistatore di mezzo mondo, che aveva tutto, molto di più di quanto umanamente potesse desiderare.”
- Giustissimo, continuò Maurizio, della felicità di Diogene non è lecito dubitare, in quanto abbiamo un’infinità di aneddoti relativi alla sua vita, dai quali si rileva che egli non deflettè mai da quelli che erano i suoi principi di frugalità, rimanendo sempre fedele al suo modello di austerità assoluta. Cosa che lo metteva al di sopra dei bisogni e dei desideri e lo faceva sentire in pace con se stesso e con gli altri, sottraendolo, tra l’altro agli obblighi di deferenza dovuti, secondo tutti, ai potenti.

- Ben altro discorso è da fare per Alessandro, che, al contrario, non trovando limite alle sue ambizioni di potenza e di ricchezza, è lecito ritenere che non potesse mai godere di uno stato di totale assenza di preoccupazioni e quindi di pace dell’animo, quale poteva essere quello del suo acuto ed arguto interlocutore. E per questo arrivava ad invidiarne la condizione, ben sapendo, che, se mai si fossero ribaltati i ruoli, egli non sarebbe stato capace di fare altrettanto.

- Nel limite è la felicità così introvabile. Nel sapersi accontentare dei propri limiti. Nell’essere consapevole che oltre quel limite non c’è niente. E che il limite è insuperabile. E arcinoto che la rana di Fedro, la quale per invidia tentò, gonfiandosi di essere più grande del bove, “rupto iacuit corpore”, esempio che fa da ammonimento a non superare il limite naturale che è in ognuno di noi.

- Strano destino quello degli uomini, constatò pensosa Chiara, ormai tra i due esisteva una tale sintonia di pensiero, da consentire un rimbalzo continuo dall’uno all’altra delle considerazioni che essi andavano facendo - Due grandi si incontrano in un certo momento della vita, il primo nel pieno della sua gloria con tutti i beni materiali a sua disposizione, l’altro coperto di stracci, che vive in una botte, ultimo degli ultimi, ma con una grande forza d’animo, per le sue convinzioni che erano tali da consentirgli di tenere testa a qualsiasi altro uomo, per potente che fosse, si sfiorano per un attimo e poi vanno ciascuno verso il proprio destino: si ritroveranno nel giorno della fine. Per una di quelle strane coincidenze che ogni tanto nella storia breve dell’umanità, si creano, di destini molto diversi, che casualmente si incrociano. A distanza di molti chilometri uno dall’altro, Diogene ed Alessandro lasciarono questa terra nello stesso giorno, il 10 giugno del 323 a.C., il primo a Corinto ed il secondo a Babilonia.

Maurizio si ricordò che almeno un altro caso si era verificato, molti secoli dopo quello di Diogene ed Alessandro, un altro di questi momenti di congiunzioni astrali degne di nota: il giorno 23 aprile 1616, morirono contemporaneamente, senza essersi mai conosciuti, i due più rappresentativi personaggi della letteratura mondiale dell’epoca, Shakespeare nella sua Stratford on Avon e Cervantes a Madrid.

Chiara non era ancora soddisfatta di quanto detto fino ad allora e pretese l’ultima parola, esordendo:

- Si potrebbe quasi concludere che la felicità è tutto ciò che sta al di qua di un certo limite, al di là del quale c’è tutto quanto rappresenta o potrebbe rappresentare l’infelicità. Mi viene in mente un altro assioma divenuto teorema alla portata di tutti. Secondo un saggio orientale (non mi chiedere quale), l’uomo non vede la felicità, pur avendola a portata di mano, perché essa è dietro le sue spalle.

- Lo scrittore austriaco Peter Handke, nei primi anni ’70, pubblicò un libro dal titolo “Infelicità senza desideri”. In effetti l’infelicità dovrebbe essere data proprio dalla supremazia dei desideri. Se si vive nella tensione di desideri da soddisfare, specie se questi sono irrealizzabili, come spesso avviene, l’infelicità è garantita e non solo nel momento in cui è giocoforza constatare la impossibilità della loro realizzazione, ma durante tutto il tempo passato a sperare che diventassero possibili. Spesso per tutta la vita.

Commenti

  1. Caro Bruno, grazie per i generosi apprezzamenti, ma ancor più per aver, come sempre, notevolmente arricchito il dibattito. In particolare l'esempio che hai portato citando la favola del rospo e del bue è perfetto e illuminante. Riguardo al riferimento alle vite parallele di Diogene e Alessandro, mi ha fatto poi sorridere pensare che, tra i due, il secondo aveva avuto come precettore in gioventù proprio Aristotele; però i concetti di limite e metron, così cari al maestro, evidentemente avevano poco attecchito nel discepolo :-).

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