INELUTTABILE

Si guardò intorno e non vide nulla. Cosa vi poteva essere di ineluttabile in quella situazione? Il treno era in ritardo come al solito. Era ineluttabile che quel pendolare che stava sbraitando, perdesse la coincidenza con il treno che partiva da Bari alle 17,30? Ma se già altre volte gli era successo! Avrebbe dovuto saperlo che era possibile, quindi non ineluttabile. Maurizio si arrovellava in questi pensieri, quando all’improvviso sentì l’altoparlante della stazione che annunciava l’arrivo del treno 745 di Trenitalia che doveva prendere lui. Afferrò la maniglia del trolley e si avviò sulla banchina, senza oltrepassare la linea gialla.

"Transiberiana d'Italia" - 2015

Tempo due minuti ed il treno, arrivò con stridore di freni, egli dovette mantenersi il cappello con la mano per non farlo volare dietro la ventata sollevata dal convoglio che gli scorreva di fianco, rallentando. Affrettava il passo per arrivare là dove presumibilmente la carrozza con il posto prenotato si sarebbe fermata, mentre con la coda dell’occhio, seguiva la visione della fiancata del treno in movimento, dei finestrini che lo sorpassavano in rapida successione e dei volti anonimi che si stagliano dietro i vetri dei finestrini. Quando d’improvviso vide lei. Sì, era proprio Chiara, la ragazza che aveva abbordato al Market, con la quale si era impantanato in un discorso linguistico e che alla fine, dopo averlo ascoltato gentilmente, gli aveva dato buca.

Corse per arrivare allo sportello di quella carrozza al cui finestrino gli era apparsa la visione di lei, che, da allora, non aveva mai dimenticato ed arrivò giusto in tempo per vedere lo sportello aprirsi ed una folla di viaggiatori che si accalcavano alla scaletta del treno per scendere. Attese a qualche passo di distanza e nel frattempo faceva scorrere lo sguardo sui finestrini più prossimi, per cercare la cara immagine, senza però riuscirci.

Poteva essere che si fosse sbagliato? Forse aveva preso un abbaglio, il cuore gli batteva, ma no, eccola, alla fine della piccola fila, sul gradino più alto apparve lei, che, vista dal basso, sembrava ancora più imponente.

“Chiara, sei tu?”, le chiese appena mise  piede a terra, facendosi incontro a lei con premura, “che coincidenza! Da quanto aspettavo di incontrarti, ma tu sei sparita.”
“…Ma…urizio, vero?” disse lei fingendo di vederlo solo in quel momento e di non ricordare con sicurezza il suo nome. Maurizio le prese la valigia e la depositò un po’ più in là, lontano dalle persone che assediavano l’ingresso del vagone, per lasciar scendere gli ultimi passeggeri in arrivo, per poi salire loro.
“Chiara, questa volta non mi sfuggirai, ti giuro, non ti sarà facile liberarti di me” disse Maurizio, tutto d’un fiato.
“Detto così sembra una minaccia” disse lei, ma sorrise amabilmente.
“Non è una minaccia, ma una promessa.” Maurizio di rimando. “Vieni” le disse “andiamo al bar, Ti offro qualcosa”.

Una volta seduti ad un tavolinetto vicino all’ingresso, da dove era possibile controllare il transito dei treni,

“Caffè?” chiese lui , “Caffè” rispose lei, “Due caffè, grazie,” ordinò lui al cameriere.
“Non dovevi partire?” le chiese Chiara, guardando il trolley che Maurizio si era portato dietro.
“No” disse svagato “anzi sì! Ma ho rinunciato; non è importante.” In quel momento il treno, con un fischio annunciò la sua ripartenza. Maurizio non si mosse. “Sapevo che oggi doveva capitarmi qualcosa d…”
“Imprescindibile?” azzardò lei con un sorrisetto ironico strafottente.
“Non direi” disse lui guardandola fisso negli occhi per capire fino a che punto lo stesse prendendo in giro, se bonariamente o con maliziosità. Gli parve di non avvertire traccia di malizia sul suo volto. E si rallegrò che lei, a distanza di tanto tempo ricordasse l’oggetto della conversazione della volta precedente.
“Piuttosto ‘ineluttabile’ è la parola, qualcosa a cui non si può sfuggire”.
“Tanto ti è calamitosa la mia presenza?”
“Tutt’altro”, alzò la voce lui, in tono risentito “la tua presenza mi è graditissima ed anzi farei di tutto per poterla avere sempre con me. Ineluttabile è il fato che ci ha fatto incontrare per la seconda volta. Questa mattina, lo sentivo, era come un alitare che mi soffiava sul collo. Un mormorio indistinto, un alfabeto segreto, una cosa già detta, stabilita da tempo, che doveva assolutamente accadere. L’ho inseguita fino a poco tempo fa, ma non capivo, fino a quando ho visto te. Allora ho capito. Ho capito che sei la mia donna e io non posso fare a meno di te.”
“Allora, è tutto stabilito; a me non spetta altro che sottostare al fato. Ma quello che hai detto è il tuo fato, sei sicuro che sia anche il mio?”
“Sai cos’è il Fato?” chiese a questo punto seriamente Maurizio; “è il destino, ma a me non piace troppo questa parola, preferisco il fato, che viene da un verbo greco e significa ‘dire’, quindi è ciò che è stato detto una volta per tutte e che non si può cambiare.
“Il Fato è solo uno” aggiunse poi, cercando di evitare toni oracolari per non far ridere la ragazza, che non sembrava affatto stupida. “Ed è ineluttabile, come la morte, alla quale dobbiamo solo rassegnarci.”
“Ecco perché non mi piace la parola ‘ineluttabile’. Si accoppia molo bene con ‘morte’ e, scusami se te lo dico, la cosa non mi piace affatto. E non mi va di rassegnarmi, e poi, scusami, se qualcuno questa mattina ha detto questa cosa a te, perché non lo ha detto contemporaneamente anche a me? Se il fato fosse unico lo avremmo avvertito tutti e due insieme.”

Di fronte a questa obiezione, Maurizio perdette la sua sicurezza. Smagato guardò la sua tazzina vuota, chissà forse cercando nei residui del caffè che tingevano ancora il fondo, la risposta che non lo finisse di compromettere una seconda volta, che sarebbe stata fatale per il suo amore. Smagato era il termine che più gli si addiceva, stava pensando mesto. Un termine dal vago suono dialettale, antico invece quanto la stessa lingua italiana. Con un significato complesso, fra distrazione e smarrimento. All'origine forse prevaleva il senso dell'essere svagato, immemore. Nel linguaggio corrente, smagato è più colui che si è perso d'animo, scoraggiato, sgomento. Come lui si sentiva.

“Suvvia” disse Chiara a questo punto, posandogli una mano sul braccio che lui teneva abbandonato sul tavolo, non è il caso di prendersela tanto. Stavo scherzando. Tu ora aspetterai pazientemente il prossimo treno, mentre io prenderò il bus per tornare a casa. Ma questa volta non ti lascio così. Questo è il mio numero di telefono. Chiamami quando vuoi. Parleremo di parole importanti, di parole belle, quelle che ti piacciono e che vorresti condividere con me. Io non sono affatto aliena dall'esserti amica e compagna in questa ricerca.” Gli tese il biglietto e si alzò, girò intorno al tavolo e piegandosi leggermente, gli dette un bacio sulla guancia. Poi corse via.


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