IMPERSCRUTABILE

“Imperscrutabile è non solo la volontà di Dio, ma anche in generale il futuro. Nessuno potrà sapere dove esso ci porterà, né quando si realizzerà, e tanto meno quando cesserà di essere, perché il tempo sarà finito”.

Senza titolo, Capraia (LI) - 2018

La mattina del giorno dopo, Maurizio, non faceva che rimuginare tra sé e sé, questo pensiero che doveva essergli venuto durante la notte, in una condizione di semi incoscienza. Si era svegliato con una sensazione strana, come uno che tornasse da un lungo viaggio; era contento di essere di nuovo a casa, ma nel contempo si sentiva come un estraneo e non sapeva cosa avrebbe fatto. Qualcosa lo legava, non aveva la piena disponibilità della sua mente e del suo corpo. Su tutto aleggiava l’idea di Chiara, bella, desiderabile, ben disposta verso di lui, sebbene lo conoscesse pochissimo e non nella sua forma migliore. Idea suggestiva, molto stimolante, ma che gli faceva anche un po’ paura. Paura di sbagliare, di rovinare tutto. Le sue prime mosse adesso sarebbero state decisive per la continuazione del rapporto. Non poteva permettersi di sbagliare. Non sapeva nulla di lei, se non che era una splendida ragazza e molto in gamba. E del resto sapeva che egli non poteva offrirle altro che il suo amore e la sua persona.

Fece in fretta le operazioni del mattino, si vestì e comparve in cucina dove sua madre era ai fornelli, pronto per uscire.

“Vai fuori?” chiese la donna, guardandolo in tralice, un po’ sulle sue, vagamente sospettosa.
“Sì, mamma” rispose lui “Vado in biblioteca per fare delle ricerche. Servono per la tesi, Starò fuori tutto il giorno. Intendo sfruttare al massimo questa giornata, perché mi rimane poco tempo.”
“Ora Internet non ti è più sufficiente? Avevi detto che avevi trovato tanto di quel materiale per la tua tesi che non sapevi da quale parte cominciare…”.
“Cara mamma, la mia tesi è su un argomento molto particolare, non tutto quello che mi occorre, lo trovo su Internet. E poi, mi sembra che non sia il caso che tu venga a…”.
“Va bene, va bene, fai come vuoi” tagliò corto la mamma “Certo non son cose che posso sapere io, sai tu quello che devi fare.”

Uscì subito dopo aver fatto colazione. Il tempo era bello, l’aria pulita. Respirò a pieni polmoni, godendosi l’atmosfera di libertà che sentiva tutte le volte che usciva di casa, come se si fosse liberato di una cappa. Con una punta di rimorso dentro al petto, perché sapeva di far torto alla mamma, che si sacrificava per lui, per farlo laureare e dargli la possibilità di una vita migliore. Ma poi si consolava pensando che non l’avrebbe delusa. Quella era la sua vita e lui sapeva come fare a salvare capra e cavoli.

Per prima cosa pensò di telefonare a lei, a Chiara, ma poi rifletté che forse era presto e la ragazza poteva darsi che stesse ancora dormendo. Decise di attendere. Arrivato in centro, non sapeva che fare. Sedette al tavolinetto di un bar ed al cameriere che si avvicinò per prendere l’ordine disse di aspettare una persona.

Dopo un quarto d’ora, cominciò a sentirsi imbarazzato, allora riprese il telefono e, memorizzato il numero che lei gli aveva dato il giorno prima, fece partire la chiamata.

“Chiara?” disse con voce emozionata “ti disturbo? Sono Maurizio. Posso parlarti?”. Dall’altra capo della linea, seguì un silenzio punteggiato da scricchiolii elettrostatici. Cominciò a pensare al peggio.
“Ma che dici?” rispose lei ad un tratto “certo che puoi parlarmi”. Il tono era allegro e per nulla risentito. Maurizio si fece coraggio.
“No, perché, data l’ora…pensavo forse…”
“Ma no, io sono in piedi da due ore e sto studiando; debbo prepararmi per il prossimo esame. Dunque non hai perso tempo, vedo, vuol dire che hai qualcosa di importante da comunicarmi, parla pure, ti ascolto”.
“Senti, pensavo…non potremmo vederci? Per stare un po’ insieme e parlare tra di noi? Io ho una grande voglia di stare con te.” Azzardò quest’ultima frase, con una qualche palpitazione, chissà, forse stava correndo troppo ed aveva paura di rovinare tutto. Bisognava avanzare con i piedi di piombo.
“Hai già un programma?” gli chiese lei. “No, perché debbo decidere come vestirmi, se da mare, da campagna, dimmi tu.”

Maurizio ristette, non credendo a quello che stava sentendo. Che lo stesse prendendo in giro? Doveva essere molto cauto, Non spegnere l’entusiasmo, se di ciò si trattava, ma non correre il rischio di cadere in un tranello e fare la parte dell’allocco. Decise di rimanere sul generico.

“Perché no? Potremmo andare fuori…”
“Per esempio?” chiese lei laconicamente ammiccante.
“Mbè, senti” cominciò lui, giocando grosso, “ti offro una bellissima giornata al mare!”
“…azzo!” Disse lei allegramente non senza una punta di ironia sfrontata, e subito dopo “ma non farà troppo freddo?”.
“Ho la macchina, ma, certo scenderemo in spiaggia o andremo sul porto, devi portare con te un maglione, per l’occorrenza.”
“Facciamo tra un’ora?” chiese lei “Dove ci vediamo?”
“Sotto i portici del bar di Fumo” rispose Maurizio “Ti aspetto accanto all’edicola”.
“Bene ci sarò. A tra un’ora, grazie.”

L’ora passò senza che Maurizio riuscisse a calmare la sua ansia. Era eccitato al massimo e mille pensieri gli attraversavano la mente, troppi per immaginare come sarebbe andata a finire quella giornata così particolare.

Quando lei arrivò a lui sembrò che gli si aprissero davanti le porte del Paradiso. Lei sorridendo gli tese la mano, lui l’attrasse a sé e la baciò lievemente su una guancia.

Durante il viaggio stettero silenziosi, erano entrambi presi dalla situazione eccezionale che stavano vivendo e si scambiavano solo brevi sguardi furtivi.

Quando giunsero al mare, la situazione maturò. Maurizio si sciolse e prese decisamente il comando delle operazioni. Sapeva cosa fare e l’avrebbe sbalordita.

Effettivamente faceva un bel po’ fresco e lei mise su il maglioncino che aveva con sé. Maurizio tirò su la zip del giubbotto. Presero la via del porto e lui la teneva per mano.

“Dove mi porti?” chiese lei incuriosita ma anche un po’ impensierita.
“Ora vedrai” rispose il ragazzo, seguitando a camminare, “non temere, ti piacerà”.

Percorsero il primo braccio del porto e si inoltrarono sul secondo, curvo, che dava fuori. Tra i massi, cominciarono ad apparire piccole costruzioni in legno alle quali si accedeva su passerelle ardite. Casette con porte e finestrelle, un tetto in lamiera o altro materiale, alcune dotate di un balconcino sul mare, poste tutte davanti ad un’armatura di ferro e di legno, che si sporgeva sul mare, con una lunga asta che si protendeva sull’acqua, dalla quale pendeva una rete a maglie, di forma quadrangolare. Erano i caratteristici “trabocchi” per la pesca, che si effettuava affondando la rete in acqua e ritirandola dopo un poco, con degli argani. Qualche vola la pesca era fruttuosa, altre volte meno, a seconda dell’abilità del pescatore e delle condizioni del mare.

Arrivati davanti ad una di queste costruzioni, Maurizio si arrestò e la trattenne.

“Aspetta un attimo” le disse con grande decisione. Senza aggiungere altro, salì su massi del porto e raggiunse la scaletta d’accesso al trabocco. Qui giunto, si girò verso la sua compagna, che era rimasta con un grosso punto interrogativo sopra alla testa, “Non temere “ aggiunse “Tra poco verrò a prenderti”.

Attraversò cautamente la passerella che si protendeva verso il trabocco, un nido d’uccello nel cielo azzurro e raggiunse la porticina di legno. La chiusura consisteva in una semplice sbarra di ferro inserita in una cavità della roccia che bloccava l’ingresso. Maurizio provò a rimuoverla e quella cedette immediatamente. La porta si aprì e Maurizio, dopo aver esplorato l’interno, tornò indietro.

“Vieni” le disse, tendendole la mano, “non c’è pericolo, la passerella è ben stabile”.

Chiara si avvicinò dubbiosa alla passerella, tendendo il braccio verso di lui, che la prese saldamente e lentamente passò dall’altra parte. Ferma sull’entrata del casotto, ristette meravigliata a guardare. Il mare da quella altezza, era immenso. Il trabocco, sospeso nel cielo e sul mare poteva essere un rifugio, un riparo o un presidio, un posto di osservazione. Guardò di nuovo il mare sotto di lei; era calmo, ma non immoto, maestoso e pacifico, abbagliante e compatto, mosso lentamente, da lunghe onde poderose, in un pigro alternarsi una dietro l’altra, senza sosta, con moto automatico.

“Ma come hai fatto?” gli disse, “non hai paura che ci scoprano? Chi è il padrone di questo posto?”
“E’ un mio amico pescatore, il quale mi ha detto che posso venire qui quando voglio e con chi voglio, stai tranquilla nessuno ci caccerà.”

Chiara, rinfrancata, riassunse il suo atteggiamento tra ironico e divertito e disse qualcosa che lo stupì.

“Quale era il pensiero di questa mattina? Sento che devi essere andato lontano con la mente, per essere arrivato a questo punto.”

Maurizio non sapeva cosa rispondere; non voleva interrompere quel momento di sospensione estatica e spezzarne la magia, ma aveva molte cose da dire, prima di rispondere alla domanda che lei gli aveva rivolto ed alla quale aveva intenzione di dare una spiegazione articolata, ma non subito, più tardi.

“Entra” le disse, accompagnando le parole con un gesto della mano, come ad insegnarle la strada, “Tra poco ti dirò cosa ho provato stamattina, ma prima voglio dirti che sono felicissimo che tu abbia accettato e che ora io sia con te, solo in questo posto che nulla ha di consueto. Mi auguro che questa giornata sia fondativa per la nostra amicizia e sia per noi un’occasione unica per conoscerci e stare bene insieme”.

Entrarono e Chiara ristette sulla soglia frastornata. Maurizio le fu da presso e l’abbracciò teneramente.

“Io ti amo” le disse piano in un orecchio “vorrei che anche tu mi amassi”. Lentamente accostò le sue labbra a quelle semiaperte di lei, che timidamente corrispose al lungo bacio appassionato di Maurizio. Il quale era al settimo cielo e si sentiva il cuore rimbalzare per tutto il trabocco.

Poco alla volta, delicatamente, Chiara si sciolse dal suo abbraccio e si volse verso l’interno del locale, fece il giro delle quattro pareti, osservando ogni cosa, dalle corde e pezzi di rete riposti in un angolo, al minuscolo tavolinetto, le sedie impilate una sull’altra per risparmiare spazio, un cucinino con una piccola bombola di gas, facilmente asportabile fuori, sulla verandina, per cucinare all’aperto, nei giorni di tempo buono, un piccolo ripostiglio con alcune bottiglie, di acqua, olio, aceto e una vaschetta con sale, pepe ed altre spezie. Per terra, un secchio con una lunga corda, per attingere l’acqua salata dal mare. Non mancava un divanetto contro la parete di fondo, per fare un riposino.

“Insomma, c’è tutto” disse Chiara “qui abbiamo l’occorrente per resistere alcuni giorni.”
“Diamoci da fare” disse Maurizio. “Se vogliamo mangiare, oggi dobbiamo pescare del pesce, altrimenti saremo a digiuno e non sarebbe bello.”
“Non dirmi che sai come fare?” gli chiese lei.
“Certo” rispose spavaldamente lui. “Ora ti faccio vedere.”

Tornarono fuori e Maurizio si pose davanti al congegno che manovrava il complicato attrezzo.

“Per la verità non è proprio facilissimo” mise le mani avanti lui, per il caso di un probabile insuccesso. “Vedi ora sciolgo queste corde e lascio andare giù la bilancia, poi, quando te lo dirò io, dovremo ritirarla su, azionando questo argano che per fortuna ha due manovelle, per cui da una parte giro io e dall’altra mi dai una mano tu, per il caso che sia troppo pesante.”
“Certo capitano” fece lei in tono burlesco, portando una mano di taglio all’altezza della visiera del cappello immaginario, a mo’ di saluto militare. “Sono pronta ai suoi ordini! Tutti ai propri posti!!!”

Maurizio cominciò a slegare il cordame che teneva sollevata la bilancia, con baldanza e trepidazione, voleva fare bella figura con lei, e mollò di colpo tutto il peso, che rovinò rumorosamente in mare. Per fortuna riuscì a mantenere la cima, che assicurò all’argano. La pesante rete schioccò sulla superficie del mare e per un attimo rimase a galla, dopo di che cominciò ad affondare. Maurizio controllò che tutto fosse in ordine, poi rivolto alla ragazza,

“Sono le dodici” disse; penso che per l’una potremo mangiare del pesce fritto appena pescato, Che ne dici, ti andrebbe?”
“Cominciavo giusto a sentire un po’ di languorino allo stomaco” rispose lei. “Nel frattempo che facciamo?”
“Volevo dirti di questa mattina” cominciò lui. Eri curiosa di sapere, vero? Come hai fatto ad immaginare che avessi avuto di nuovo una premonizione?”
“Da quel poco che ti conosco, posso dire che con te non è difficile immaginarlo. Sei un tipo misterioso, ma a me piaci. Mi affascina il modo in cui usi le parole. Non è comune, specialmente tra i giovani, sai?”

Entrarono nel casotto e presero due sedie.

“Preferisci dentro o fuori?” le chiese lui premuroso.
“Per il momento dentro” rispose la ragazza, “per affrontare il discorso che vuoi fare tu, è meglio dentro perché è più raccolto e i pensieri vengono più facilmente. Sedettero vicini, a ridosso del tavolinetto.
“Dimmi, allora, cosa ti ha portato fin qui?”
“Questa notte debbo aver sognato qualcosa che mi ha profondamene colpito. Premetto che tutte le notti faccio sogni estranianti, in cui mi sembra di essere fuori di me, e che, specialmente verso l’alba, entro in una sorta di dormi-veglia in cui in contemporanea, vedo immagini di sogno e sono cosciente della realtà, questa notte, l’oggetto della mia ricerca onirica doveva essere la inconoscibilità delle cose e delle persone. Un termine mi veniva continuamente in mente ed era ‘imperscrutabile’. Cosa è l’imperscrutabile, tu lo sai?”
“E ciò che non si può scrutare, cioè vedere.” Rispose Chiara.
“Sì, ma non si può vedere perché è nascosto? O perché è troppo brutto, o è invisibile, o non esiste?”
“Io credo” rispose sensatamente Chiara “che sia una cosa che non si può capire, conoscere, che sia al di sopra della nostra capacità di conoscenza.”
“Questa è la risposta esatta” disse trionfante Maurizio, “Ciò che non si può nemmeno immaginare con la mente, che è inconoscibile dall’intelletto umano.
“Imperscrutabile è per esempio l’animo umano. Per quanto abbia fatto la scienza della psicologia a capire i meccanismi di funzionamento della psiche, resta una parte che è sempre inconoscibile. Puoi sapere tu cosa si nasconde nell’animo di ogni uomo? Anche di chi ti sta accanto per tutta la vita, puoi dire tu di sapere tutto? Sapere che cosa farebbe per esempio di fronte ad un evento del tutto eccezionale? La psicologia ha una spiegazione per ogni comportamento già avvenuto, mica può divinare il futuro. Il futuro, appunto è imperscrutabile.”

Seguì un silenzio assorto che durò poco tempo, dopo di che, con un moto di improvvisa allegria, Chiara si alzò e disse:

“Basta ora! Sotto, nel mare ci sono pesci che non aspettano altro che di essere pescati e mangiati da noi. Vogliamo forse deluderli? Avremo tempo dopo per pensare all’imperscrutabile, al momento dobbiamo pensare prima all’essenziale, che è quello che si vede. ‘Primun vivere, deinde philosophari’. “

Corse fuori ridendo, inseguita da Maurizio, ma appena furono all’aperto, si resero conto che azionare l’argano per sollevare la bilancia e raccogliere il pescato, non era affatto semplice. Far girare la ruota dell’argano era pesantissimo e, pur essendo in due, la bilancia saliva su molto lentamente. Quando la rete giunse a pelo d’acqua e fu possibile vedere dentro, si vide un guizzare di molte code e teste. La pesca doveva essere abbondante. Ma tirare la rete fuori dell’acqua sembrava impossibile.

“Dai, forza Chiara, dobbiamo spingere al massimo.”

In due si misero a girare la ruota, la rete si sollevò, grondante di acqua, mentre molti pesci saltando, sfuggivano dalle aperture laterali. In breve il carico si alleggerì e fu possibile avvicinare il sacco al trabocco. Mentre i pesci nella rete si dimenavano disperatamente, Maurizio non sapeva come fare a prenderli e portarli sulla verandina. Alla fine Chiara, trafficando nel casotto, scovò un attrezzo che li salvò. Un guadino con un manico molto lungo, col quale riuscì a prendere abbastanza pesci, mentre gli altri furono ributtati a mare. Molti erano ancora vivi e fuggirono via veloci.

Sudati ed affaticati ii due “pescatori” si fermarono un poco, ammirando il risultato del loro lavoro, che non era poco. C’erano Sgombri, sarde, cefali e testoni, in quantità più che sufficiente per due.

“Presto, all’opera, dobbiamo cucinare” prese l’iniziativa Chiara, che raccolse e mise in un cesto, il pesce, poi cercò in un cassetto un paio di forbici e cominciò a pulirlo. Maurizio attingeva col secchio acqua di mare e vi lavava i pesci, mano a mano che la ragazza glieli passava eviscerati. Nel ripostiglio trovarono anche della farina per infarinarli, una padella e l’olio per friggere. Chiara si dimostrò in questa occasione molto pratica ed efficiente. In breve il capanno si riempì dell’odore stimolante del pesce fritto e poco dopo tutto fu pronto per andare in tavola.

Il pranzo fu una festa indescrivibile; il pesce, “a scottadito” fu buonissimo e fu spazzolato in breve con appetito e tanta allegria.

“Tu Maurizio hai questa passione per le parole ed hai studiato legge” disse ad un certo punto Chiara, dopo aver mangiato la sua porzione, io sono più pragmatica e studio filologia, dov’è il senso delle cose?”
“Ho rivisto recentemente un vecchio film” rispose Maurizio, intitolato “Da qui all’eternità”, con attori bravissimi, come Burt Lancaster, Frank Sinatra, Debora Kerr, Ernest Borgnine; Montgomery Clift interpretava la parte di un militare USA di stanza nel Pacifico, durante la guerra, sottoposto a vessazioni da parte del diretto superiore, aveva sempre con sé una copia dell’Ulisse di Joyce e sapeva suonare la chitarra. Per la sua qualità di musicista, fu cooptato nella banda musicale del reggimento, con il ruolo di …trombettiere, perché quello di chitarrista era già occupato o non serviva. La logica militare non trovava assurdo questo fatto, ma normale.”
“Che vuoi dire che nella pratica siamo tutti al posto sbagliato?”
“Non arrivo a tanto. Penso però che nella vita ci dovrebbe essere più corrispondenza tra quello che ci piacerebbe fare e quello che per motivi diversi, le circostanze, i nostri errori, siamo costretti a fare. Io amo le parole e studio legge. Nella legge le parole sono per così dire ‘ingessate’, hanno un significato chiuso, che è quello voluto dal legislatore, mentre in letteratura, esse si espandono in significati diversi a seconda dell’idea che vuole comunicare l’autore. Nella poesia, le parole acquistano il valore di pietre preziose, da usare con parsimonia per ottenere il massimo della efficacia.
“Nella vita di ogni giorno, le parole, con l’uso si consumano, diventano ordinarie, sciatte e noi le usiamo indifferentemente. A me piace rilucidarle, come l’argenteria di casa con l’Argentil, lustrarle, togliere la patina della consuetudine e riportarle al significato originario.”

Il sole era basso sull’orizzonte e il mare assumeva un colore diverso, più azzurro e più netto. Maurizio e Chiara assistettero, dall’interno del casotto, allo spettacolo grandioso del tramonto, fino a quando il disco infuocato scese dietro ai monti ed iniziò il crepuscolo.

“Devo andare” disse Chiara alzandosi.

Pulirono bene dentro e fuori al trabocco, chiusero la porta così come l’avevano trovata e scesero dalla massicciata; le bucce di pesce deposte in un vicino contenitore di spazzatura, si avviarono lungo il porto, verso il posto dove avevano posteggiato la macchina.

Il viaggio di ritorno avvenne nel silenzio, come era stato, la mattina, a venire. Maurizio accompagnò Chiara nei pressi della sua abitazione, e, con un breve bacio serale, i due si separarono.

“La Biblioteca doveva essere assolata” disse la madre di Maurizio, quando egli rientrò in casa. Vedendo lo sguardo interrogativo del figlio, aggiunse:
“Sei tutto cotto; metti un po’ di crema doposole, la trovi nel bagno. Ho preparato la cena, vieni in tavola appena puoi, il pesce fritto è buono a ‘scottadito’.”

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