IL GRANDE CALEIDOSCOPIO

IL GRANDE CALEIDOSCOPIO

Nel loro contributo video preparato per l’edizione del 2017 delle Romanae Disputationes (1), dedicata al tema della bellezza, un gruppo di studenti teramani, tra cui mio figlio Davide e suo cugino Filippo, argomentava sulla tesi che vede la bellezza risiedere nella continua reiterazione della domanda del bello, piuttosto che nella risposta di volta in volta data.

Personalmente, nello sposare in pieno tale tesi, mi viene però subito da chiedere: che tipo di domanda?
E, in particolare, riallacciandomi al discorso fatto giorni addietro sempre qui sullo Zibaldino, la domanda sul bello è un’inchiesta sul come o sul perché delle cose?
Gli oggetti, le opere, le azioni sono belli per il modo in cui sono fatti o compiuti o rileva in qualche misura anche, o soprattutto, il fine che essi ambiscono a conseguire?

Nel pensiero classico la risposta alla domanda del bello si è tradizionalmente incentrata sul come:
è bello ciò che si presenta con i caratteri dell’armonia, della simmetria, dell’euritmia, della misura, della giustizia.
Si tratta quindi di requisiti formali oggettivi che, in quanto tali, si prestavano ad essere inglobati all’interno di canoni prefissati, nella forma di proporzioni auree ed eterne.
La bellezza secondo tale concezione risiede quindi nella giusta misura, requisito che vale tanto per le opere degli artisti quanto per le condotte civiche e morali. 
Con il moderno soggettivismo la risposta alla domanda sul bello, come quella sul vero e sul giusto, sarebbe stata ricercata
non più nelle caratteristiche oggettive dell’opera oggetto di giudizio, quanto nella figura stessa dell’osservatore, 
il celebre cambiamento di prospettiva che avrebbe indotto Kant a parlare di rivoluzione copernicana.
Tuttavia, sebbene avesse ruotato di 180 gradi l’angolo di visuale, l’approccio soggettivista alla bellezza ha continuato  
anch’esso a condurre prevalentemente un’indagine sul come e non sul perché del bello.  
Secondo tale concezione è infatti bello ciò che si manifesta come tale agli occhi di chi guarda, "beauty is in the eye of the beholder", come recita un adagio anglofono.


Immagine da www.videoblocks.com

L’unico grande filosofo che ha posto la domanda del bello principalmente come una domanda teleologica, come quesito sul perché ultimo delle cose, è stato Aristotele. 
Come ci fa notare Enrico Berti nella lezione preparata proprio per le Disputationes di cui sopra (2), 
sebbene nella Poetica Aristotele rimanesse ancora legato ai canoni classici dell’equilibrio e della giusta misura, nelle sue opere teoretiche (fisica e metafisica) e in quelle dedicate all’etica egli muta decisamente registro, e ci fornisce una interpretazione pienamente finalistica del bello, che viene visto quindi come risposta alla domanda sul perché ultimativo delle cose.

"Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e massimamente; 
e il fine, in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, occupa la regione del bello". 

Questo poetico passo, che Aristotele inserisce nel suo trattato sulle parti degli animali, rende immediatamente, e in maniera mirabile, la diversità di prospettiva. Il fine occupa la regione del bello e, simmetricamente, il bello inerisce quindi al fine, come è in primo luogo dimostrato dalla grande bellezza degli esseri viventi.

A tale riguardo, le seguenti parole, tratte dalla lezione del professor Berti, non potrebbero essere più chiare:

“Per Aristotele tutto ciò che in natura è organizzato in vista di un fine è bello.
Sono belli soprattutto gli organismi viventi, le piante, gli animali, gli esseri umani,
propio perché sono composti di molte parti, le quali cooperano tutte alla realizzazione
di un unico fine, che è poi la conservazione della vita, o il miglioramento della vita.”

Anche in ambito etico, la bellezza assume un tratto finalistico in Aristotele.
Per essere bella, non è infatti sufficiente che l’azione sia giusta, ma si richiede che essa sia disinteressata, 
che non abbia secondi fini o scopi utilitaristici. Il bel gesto deve essere fine a se stesso. 
Un’azione giusta è infatti sempre un’azione misurata, ossia condotta sotto i canoni della giusta misura.
Ma ciò non ne fa di per se anche un’azione bella. Per la bellezza non rileva infatti tanto il modo in cui un’azione si compie,
ma il fine per cui la si compie, il perché. 

In Aristotele, come abbiamo visto, la domanda sulla bellezza è, in definitiva, sempre una domanda sul perché e non sul percome. Essa ha dunque la stessa natura delle domande ultimative che tutti quanti abbiamo posto ai nostri genitori e parenti nella prima infanzia, ricevendone le usuali risposte elusive. Perché esiste il mondo? Perché si nasce e si muore?

La bellezza, la grande bellezza del cosmo, intesa nel senso sopra delineato, ha in se la capacità di rispondere a tali domande.
Il mondo esiste perché è bello, e il suo perenne divenire, il nascere e il morire, hanno il senso della continua rigenerazione del bello,  ossia della forma, dall’indefinitezza della materia prima, che, se da un lato esprime la totale assenza di forma in se, dall’altro lato convoglia la potenzialità di tutte le forme possibili e immaginabili. 

A me piace quindi figurarmi l’universo aristotelico come una specie di enorme caleidoscopio, che si scuote e si avvita da se e su di se alla ricerca di Dio, ossia della perfetta compiutezza della forma, senza mai riuscirci pienamente, 
essendo tuttavia spinto ogni volta a prodursi nuovamente nell’esercizio, a porre nuovamente la domanda del bello, 
dal meraviglioso e perennemente cangiante spettacolo che si manifesta ad ogni scuotimento impresso al marchingegno.  

E se vi sembra che questo discorso sia troppo incentrato sulla filosofia dell’amato Aristotele, sappiate, in conclusione, che il medesimo concetto è espresso nel libro del Genesi nella Bibbia. 
Alla fine di ciascun giorno dedicato alla creazione, si narra infatti che Dio abbia contemplato la sua creatura, 
e constatane la bellezza, abbia proceduto con la sua opera il giorno successivo. 

Se il mondo non si fosse presentato sin dal primo giorno bello agli occhi di Dio, semplicemente non sarebbe mai esistito. 



(1) Disponibile a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=5tMxOd2zCsw 
(2) La lezione può essere visionata a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=coiO_Fpo6z4

Commenti

  1. Tanto di cappello al nostro amico Valter per la sua garbatissima relazione sul bello e sulla sua finalità (la ricerca del vero). Finisce che sulla sua scia, comincerò anche io ad inseguire l'"Ille dixit" ed allora combatteremo ad armi pari. Davvero complimenti, Valter e, grazie.

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  2. Caro Bruno, trovo che la citazione di Aristotele sia la sua più bella in assoluto, l'adoro e non potevo non metterla. Il virgolettato di Berti poi mi sembrava doveroso, avendo io attinto a piene mani dalla sua lezione. Comunque, sembrerebbe che questo spirito delle Disputationes filosofiche stia catturando un po' anche te 😊😊. A me mi ha contagiato mio figlio (il "pungolo del pargolo"😁).

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