GODERE

Leggo con crescente interesse le relazioni di Valter, appassionato di Aristotele (scusami Valter, ma non trovo altro termine meno piatto di ‘relazioni’, non volendo usare ‘post’, che non amo), su questioni che come egli ha giustamente notato, ruotano intorno al centro di interesse dello Zibaldino ed aggiungo che non potevamo, mio figlio ed io, trovare collaboratore più valido, nella nostra ricerca, ondivaga finché si vuole, ma che è indirizzata verso mete che nel loro piccolo, col tocco leggero dei dilettanti, ai quali piace disputare di certi argomenti, senza averne una particolare competenza , e senza la pretesa di giungere per forza ad un risultato qualechessia, possono comunque cogliere qualche aspetto inconsueto anche in ciò che riteniamo scontato . Come dice ancora Valter la bellezza consiste nell’assenza dello scopo; nella gratuità del fine, che è di puro divertimento.

Cammino portoghese, 2018



Le argomentazioni di Valter sulla bellezza (v. “Il Grande Caleidoscopio, su questo blog) e quelli che egli ha in preparazione sulla forma e la sostanza delle cose, che si annuncia di uguale interesse, sono fondativi di quello che ci siamo riproposti di fare. Sulla scia di questa direttiva, vorrei dire quello che penso a proposito della piacevolezza e dell’aspetto ludico della vita, che in qualche modo si riallaccia a quei precedenti. Parto da un ricordo.

La ragazza titolare del bar appena inaugurato, a poca distanza dalla sede dell’Ufficio nel quale allora lavoravo, discorrendo del più e del meno, mentre io sorbivo il caffè che mi aveva appena servito, mi confessò amareggiata di avere scoperto di essere affetta da tubercolosi in fase attiva, e con tono sussiegoso ebbe a dire: ”adesso che potevo gòdere, mi capita questa disgrazia”; l’accento sulla ò, era una conseguenza della esatta trasposizione che lei aveva fatto dal modo di dire dialettale, “Proprij mo’ ch putev gòd, mà success, sta’ disgrazzij”, che, date le circostanze non le sembrava pertinente, all’italiano forbito che voleva esibire in pubblico. Si era da poco sposata ed aveva un figlio; con l’apertura del bar credeva di avere raggiunto il massimo di quello che si aspettava dalla vita e si sarebbe accontentata di quel poco per vivere, invece poco dopo dovette chiudere l’attività ed io non ne seppi più niente.

Ecco lei voleva solo ‘godere’ di quella situazione familiare, del suo lavoro e degli affetti più cari. E non le fu concesso. Ma il verbo ‘godere’ si presta ad una infinità di usi, dal più semplice ed onesto, come quello della povera barista, a quello più sordido e disonesto, quale potrebbe essere quello dell’assassino seriale, figura ormai imprescindibile, per merito di cinema e TV, che ‘gode’ nel vedere soffrire la propria vittima.

In confronto a quanto già detto sulla bellezza, le poche cose che dirò io sul godimento, sembreranno “pinzillacchere” direbbe Totò (Totò come Aristotele? Sarebbe una bestemmia: nessun accostamento possibile; è solo che, come accade a Valter di citare spesso Aristotele, a me succede di pensare ad una qualche battuta del celebre comico, che ho apprezzato da giovane, per la sua arguzia, che –mi piace illudermi - potrebbe essere anch’essa una forma, magari minima, di acutezza – del pensiero, non certo avvicinabile a quella dello stagirita, ma pure valida a modo suo). Il che non toglie, però, che le due cose, bellezza e godimento, stiano bene insieme, in quanto, come è stato detto, il più grande godimento consiste nell’ammirare la bellezza della natura e la perfezione degli organismi viventi. Anche il richiamo alla Genesi (I, 1), mi sembra pertinente: ad ogni passaggio della Creazione, Dio, guardando quello che aveva fatto, vede che era “cosa buona”, cioè, debbo immaginare che si compiacesse del risultato ottenuto, e quindi ne gioisse. D’altronde, rileva Valter se non fosse stato soddisfatto di quello che aveva appena creato, non sarebbe andato oltre nella sua opera della Creazione e noi, il genere umano, non avremmo mai visto la luce.


Il verbo godere è tra i più comuni della lingua italiana ed è un lascito dei latini che avevano conosciuto il “gaudium” e il “gaudere”, come il fine ultimo della vita che consiste nell’avere lo spirito sgombro da preoccupazioni, la pace dell’anima e la salute del corpo.

Sappiamo che sul sano modo di intendere la felicità, ed in genere tutto quanto riguarda l’aspetto ludico dell’esistenza, da questa parte del globo in cui più forte è stata l’influenza della cultura cristiana e cattolica in particolare, ha pesato l’ipoteca di una visione della vita improntata a credenze religiose, che hanno privilegiato l’idea della penitenza come necessaria espiazione del peccato originale, reprimendo l’istintiva tendenza dello spirito umano ad espandersi verso il raggiungimento di uno stato di benessere individuabile con l’idea di felicità.

Volendo rincorrere il concetto di felicità, noi usiamo indifferentemente sia il verbo ’godere’ che il sostantivo ‘piacere’; il godimento ed il piacere, sono a parer mio due cose leggermente diverse. Il primo è statico, passivo e dura nel tempo: Luisa si è goduta una bella giornata di vacanza, giocando con le sue bambole. Il piacere è attivo ed ha una durata breve: ho provato un gran piacere nel rivedere un vecchio amico che non vedevo da anni. Entrambi risentono di un alone di semi pregiudizio da parte di chi ascolta, perché, quando si sente pronunciare l’una o l’altra di queste due parole, il pensiero va alla sfera intima, che per lo più si identifica con quella sessuale. Anche qui comunque rimane una piccola differenza: il godimento si riceve, il piacere si dà. Ma forse stiamo parlando del sesso degli angeli.

Dal “godere” discendono parole come “goduria”, “gioia”, “gaudio”, “giubilo”, che, messe in fila, mi piace immaginare come una scala di misurazione del godere, a partire dal semplice significato delle prime due, goduria e gioia, intese come un moto dell’animo, che già contengono un elemento spirituale come di gratitudine per la cosa, materiale, ma più spesso immateriale, che ci procura una simile sensazione. Elemento che si arricchisce di questa essenza spirituale, via via che si passa alle altre, gaudio e soprattutto, a giubilo, che contengono una spiccata vocazione per temi di carattere mistico e religioso. “Nuntio vos gaudium magnum, abemus papam”, oppure “jubilate Deo”, per la festa di Pasqua che si avvicina.

Altre se ne possono aggiungere, come letizia, delizia, dal lato decrescente della scala; estasi, orgasmo, da quello più pregno di sapori forti. Estasi ed orgasmo, all’origine erano un’unica cosa, un’esperienza che porta chi la prova fuori da sé, per osservarsi in uno stato di quasi ipnosi, dal di fuori. Poi l’orgasmo è diventato termine per intendere, in modo quasi esclusivo, il momento culminante, dell’atto sessuale, e l’estasi il supremo grado di rapimento religioso, che “prende” l’anima e la innalza al di disopra delle cose terrene. Entrambe le sensazioni, possono portare, a causa di un’intensità che vada oltre un certo limite, a conseguenze letali.

Considerare la vita sotto il punto di vista del piacere, è alla base di un corrente filosofica che va sotto il nome di “edonismo”, che proviene dal greco “edonè”, che vuol dire appunto piacere. Ma viene utilizzato genericamente per indicare un atteggiamento di persona propensa a cogliere ogni occasione favorevole a dare piacere.

Ma non si può parlare di edonismo, se non si accenna all’epicureismo, che prese piede nel III secolo a.c., ad opera del filosofo greco Epicuro. Qui però lascio la parola a chi ne sa più di me, (confesso di non sapere niente al riguardo), ma mi piace ricordare soltanto che la scuola di questo pensatore, basata sulla ricerca della massima godibilità della vita, intesa in maniera spirituale e fisica, era chiamata “ filosofia del giardino”, perché l’insegnamento veniva impartito in luogo aperto, un giardino alle porte della città. Alla base di essa, c’era la posizione tenuta dal maestro rispetto alla materia religiosa, che va sotto il nome di semi-ateismo: egli riteneva che gli Dei esistessero, ma che non si curassero di quello che accadeva agli uomini sulla terra. Per cui era compito dei mortali apparecchiarsi una vita la più soddisfacente possibile, fino a quando non fosse arrivata la morte a cancellare tutto.

Commenti

  1. Caro Bruno, devo confessare che, dovendo scrivere per mestiere continuamente rapporti e relazioni, speravo almeno qui di riuscire a utilizzare un tono meno "professional". Evidentemente così non è. Spero almeno di non riuscire eccessivamente pedante; nel caso me ne scuso.
    Sul tema del giorno, debbo dire che fatico a trovare interesse per l'epicureismo, che probabilmente costituisce il primo vero esempio di pensiero integralmente individualista e materialista, tutto il contrario della grande filosofia greca di Platone e Aristotele.

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