COME E PERCHE'

Una piccola enciclopedia per ragazzi (I quindici), molto diffusa negli anni settanta, anche grazie alla sagacia di tanti intraprendenti venditori porta a porta, si qualificava, nel suo insieme, come "I libri del come e del perché".

Leonardo e i pastori del Monte Velino (Cammino dei Briganti, 2017)

In fin dei conti si parlava tuttavia quasi esclusivamente del come: "Come si fanno le cose", "Come funzionano le cose", "Come le cose cambiano", e così via discorrendo.

Al perché si faceva raramente accenno, e in quelle rare occasioni era per indicare quella che Aristotele avrebbe chiamato la causa efficiente dei fenomeni, ossia quella la cui conoscenza consente di rispondere a domande come, ad esempio, perché l'acqua bolla o si trasformi in ghiaccio.

Tale approccio riflette essenzialmente il pragmatismo anglosassone, che ormai domina l'intero orizzonte di pensiero dell'uomo moderno, e su cui si è soffermata proprio pochi giorni fa la lente di ingrandimento del nostro amico Bruno.

E pensare che era venuta proprio da un autore inglese - il Charles Dickes di Tempi difficili - una delle condanne più feroci e spietate di tale cultura, che già iniziava a imporsi a quell'epoca. Nel romanzo di Dickens il protagonista, per implacabile contrappasso del destino, vede infatti la sua famiglia, quantunque da egli scrupolosamente educata al rispetto assoluto dei fatti e della logica del calcolo in qualsiasi situazione, finire in malora travolta dall'impeto delle passioni e dei sentimenti umani, nobili e meno nobili.

Forse memori, più o meno consciamente, dell'esistenza di una tale sentenza storica di condanna, gli autori dell'opera decisero di inserire in apertura della collezione due volumi dedicati, rispettivamente, a Poesie e rime e Racconti e fiabe. Sta di fatto che l'impronta generale, pragmatica e positivista, incentrata sul "come", rimane.

Orbene, chiunque abbia avuto dei figli suoi, o abbia comunque avuto modo di accudire dei bambini in tenera età, sa benissimo che, a partire dai tre anni, non fanno che porre un'unica domanda ricorrente: perché?

I bambini chiedono il perché di tutto, arrivando finanche a toccare temi altamente speculativi.
Perché sono nato? Perché il nonno è morto? Perché tu invece papà sei vivo?

E cosa gli rispondiamo noi? Tutt'al più (quando non riusciamo proprio a svicolare del tutto) parlandogli del "come": come è nato (portato dalla cicogna, ça va sans dire), come è morto il nonno (di una brutta malattia), come fa papà a essere invece vivo e vegeto (nutrendosi in maniera sana e facendo sport).

Ma loro ci avevano chiesto perché, non come!

E se non si chiedesse più il perché ultimo, la causa finale, delle proprie azioni e del mondo in generale, quale sarebbe la differenza tra l'uomo e l'animale?

Anche l'intelligenza di questi ultimi appare infatti destreggiarsi a meraviglia con i problemi del "come": come costruire un nido o, addirittura, una diga, come appostarsi per aver successo nella caccia, come riconoscere l'erba buona da quella cattiva.

In conclusione, mi preme sottolineare come esista una perfetta corrispondenza tra l'atteggiamento indagativo infantile che chiede il perché di tutto e il celebre incipit della Metafisica di Aristotele:

"Tutti gli uomini hanno un innato desiderio di sapere”.

Chissà se il filosofo di Stagira, avendo avuto, al contrario di Platone, una famiglia e dei figli suoi, non sia stato in qualche modo indotto a tale conclusione dall'aver personalmente sperimentato l'assillo dei "perché" da parte dei propri pargoli.

A me piace pensare di si.

Commenti

  1. Che bello parlare di cose semplici con tanta proprietà di linguaggio, competenza e pulizia. I tuoi post sono di godibile lettura e di grande interesse culturale. Grazie.

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