ABNEGAZIONE

Conosciamo, o meglio riconosciamo, perché se fosse così palese, non sarebbe tale, l’abnegazione attraverso il comportamento degli altri e non del nostro. Questo perché l’abnegazione non è oggetto di vanteria, non è un fiore all’occhiello che ci mettiamo per farci belli, ma è un sacrificio che sentiamo di dover affrontare, senza farne sfoggio, nel segreto dell’animo, del tutto disinteressatamente. Se stessimo lì a compiacerci della nostra abnegazione, il gesto non sarebbe più gratuito. Naturalmente a noi resta l’intima soddisfazione di aver fatto quello che secondo coscienza, si doveva.

Nell’accezione più severa di questa parola, pregna di grandi significati e tale da meritare gli attributi più gratificanti, come sublime, eccelsa, ed altri, si ha una vera e propria spoliazione della propria persona, a favore di altri, la totale soppressione di ogni interesse personale per un motivo superiore che, per i religiosi è soprattutto l’amore infinito per Dio e per i laici può riguardare una serie di cose, dall’amore genitoriale, al progresso della scienza, ecc.

Da "Isola dei fantasmi", 2018

L’origine della parola ne spiega la natura: “abnegatio” per i latini era il rinnegamento di una cosa; “ab-negatio”, dove “ab” indica la presa di distanza, e “negatio”, la negazione, detta anche “annegazione”, che si distingue dall’affogamento per la derivazione di quest’ultimo termine sempre dal latino ma dal verbo “necare” che vuol dire uccidere. Insomma si potrebbe immaginare una sorta di soppressione del proprio “io”, in favore dell’ “altro”.

Messa così, la cosa potrebbe sapere quasi di masochismo, ma è qui che interviene un modo di intendere il concetto nella sua più ampia portata, che ne qualifica ulteriormente il senso in favore della tesi altruistica insita nella materia. Spogliarsi dei propri interessi, non si deve intendere nel senso di privarsi di tutto, ma semplicemente di togliere da sé le scorie che potrebbero impedire la realizzazione del fine superiore che ci si è riproposti. Così depurato lo spirito di chi affronta con abnegazione una determinata contingenza, si trova nelle condizioni migliori per riaffermare se stesso ad un gradino più alto di prima, che rappresenta il grado di soddisfazione intima di cui ho detto sopra, con tutta la generosità necessaria, ma senza smancerie, a far sì che il proprio intervento serva a colmare effettivamente un vuoto nell’animo del beneficiario.

Quali potrebbero essere queste scorie? Piccoli risentimenti, riserve, ostilità, remore; qualche punta di resistenza: ma son proprio sicuro di volerlo fare? e se poi, salvandolo dai guai, anziché fargli del bene, gli faccio del male? Dovesse pensare che approvo il suo operato e persistere nell’errore?

L’animo deve essere libero da pesi; la coscienza forte dei suoi sentimenti, la volontà di operare nel senso migliore. Non si tien conto del proprio interesse, ma dell’interesse superiore da realizzare. E tanto basti.



P.S. Se un genitore si rovina per non dire di no ad un figliol prodigo, la sua debolezza non è abnegazione, ma una forma di suicidio. Se invece lo stesso o un altro genitore, che ha un piccolo capitale messo da parte per la sua vecchiaia, si trova di fronte al caso di un figlio che ha come sua massima a spirazione di diventare fisico teorico, che non gli darà grandi possibilità di guadagno, ma molta soddisfazione morale e lui decide di impiegare il capitale per l'istruzione del figlio, rinunnciando alla previdenza per sé, questa è abnegazione.

Commenti

  1. Caro Bruno, abnegazione, per quanto ci vogliamo girare attorno, significa negazione di se come individuo.
    Come concetto ha una forte valenza teleologica, inerisce al fine per cui si agisce, che deve essere altro da se.
    Nell’odierna società individualistica, l’abnegazione ha finito per assumere un tono patetico, deamicisiano.
    L’utilitarismo imperante vorrebbe infatti convincerci tutti che è perseguendo il fine della propria immediata soddisfazione
    personale che l’individuo agisce affinché si renda, allo stesso tempo, massimo il benessere collettivo.
    L’abnegazione, e il suo parente stretto, lo spirito di servizio, propugnano una visione del mondo diametralmente opposta:
    l’individuo (ab)nega in prima istanza il proprio benessere o tornaconto immediato, per indirizzare i propri sforzi
    al perseguimento di un fine più elevato, a carattere collettivo: una volta che quest’ultimo venga conseguito, ne scaturirà
    di riflesso, e nella giusta misura, il soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze di tutti gli individui che compongono la collettività.
    Ancora una volta le nostre riflessioni tornano quindi a incardinarsi sul concetto di individuo.

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