L'ESSENZA

Ho letto con molto interesse quanto ha scritto in maniera coinvolgente il nostro amico Valter, in diversi post, coi quali finalmente si comincia a volare alto, in questo blog, parlando di temi di estrema importanza, con competenza e precisione. L’anima, la forma, la materia, l’essenza di tutte le cose, massimamente il nucleo centrale dell’essere “uomo”, quello che siamo nel profondo e quello che sembriamo. Sono domande che l’uomo si pone da sempre, dandosi risposte abbastanza convincenti, ma non risolutive. A quanto già detto, vorrei aggiungere alcune considerazioni mie personali, che in parte ricalcano le tesi del nostro amico, in parte divergono, forse, per insufficiente preparazione mia al riguardo.

3D - 2018

Si parte dalla definizione di essenza. L’etimologia della parola dice che essa proviene dal verbo latino “esse”, “essere”. Quindi per prima cosa l’essenza si riferisce ad una cosa che esiste. Ma di questa cosa esistente, l’essenza dovrebbe rappresentare la parte di cui non si può fare a meno, acciocché quella stessa cosa, sia proprio essa e non altro. Per fare ciò, si comincia con lo spogliare la cosa delle parti che non sono essenziali, che cioè non influiscono sulla sua sussistenza,

Qui cominciano le difficoltà: dobbiamo guardare alla sostanza? Capire di cosa è fatta? O alla forma? Vedere come è fatta. O al fine cui serve; il peso, la temperatura, ecc. Per alcuni oggetti bisogna esaminare la sostanza: se si tratta di un lingotto d’oro, mi sembra indubbio che l’essenza sia nella purezza del metallo, nel numero dei carati posseduti, per attribuirgli un valore. Se si tratta di un gioiello d’oro, fatto da un orafo molto rinomato, il valore artistico può superare quello del metallo prezioso, che potrebbe diventare accessorio. Per altri è la forma; torniamo all’esempio dell’opera d’arte, in cui la sostanza è l’opera e non il supporto. Prendiamo in esame il fine: la zappa serve solo ad un uso esclusivo e poco conta tutto il resto. Il colore: la mantiglia del torero deve essere rossa, per essere una mantiglia che attiri il toro. La temperatura: una birra ghiacciata deve essere ghiacciata per essere gustata, altrimenti, pur essendo sempre birra, non sarebbe altrettanto godibile. Mi pare però che in queste scelte, si apra uno spazio per una certa discrezionalità, il che inficerebbe il criterio di obiettività che dovrebbe presiedere alla individuazione della essenza di una cosa, che è l’idea di essa che rimane una volta tolte le parti accessorie ed è immobile, non soggetta al divenire.

Se passiamo all’uomo, la cosa si fa oltremodo difficile. Non sarei in grado di dire quali siano gli elementi che di sicuro concorrono a far sì che un uomo possa essere annoverato nel genere “Homo”. E quali siano gli elementi accessori dei quali fare a meno, senza scendere di grado. Per esempio, non concordo con quanto detto a proposito del sindacalista comunista, come pure del musicista sordo. Se un comunista, o un religioso devoto, perdono la loro fede nell’ideologia o nella religione professata, l’uomo non sarebbe più un uomo? Se Beethoven fosse stato un accordatore di pianoforti, anziché l’eccelso musicista che conosciamo, sarebbe stato meno umano? Di sicuro, divenuto sordo, avrebbe dovuto smettere di fare l’accordatore.

La metafora di Kafka, su Gregor divenuto scarafaggio, che viene accolto dai congiunti che riescono, nonostante le apparenze, a vedere ancora in lui la sostanza dell’uomo sotto le spoglie dell’animale, così bene descritta da Valter, è il segno che l’essenziale va cercato altrove, non nella forma, né nelle attitudini dell’uomo, che possono mutare, ma in qualcosa di più profondo che non muterebbe mai. Vogliamo dire anima? Non saprei come altro chiamarlo. L’anima o animo nel senso più generico, che non è l’anima di Platone, né quella dei cristiani, ma è a mio parere, quel complesso di qualità che chiamiamo identità della persona, fornita di intelligenza, volontà, discernimento, tutte qualità che sono proprie di quella parte immateriale della nostra natura, per cui, per restare all’esempio di sopra, l’attività esercitata non è che sia del tutto ininfluente, per conoscere meglio il soggetto, ma non è certo essenziale a far sì che la sua sostanza rimanga inalterata.

Il corpo può essere come quello di Stephen Hawking, il grande scienziato morto un anno fa, il quale era completamente paralizzato, o come quello dello sfortunato artista che, privato dell’uso delle mani, dipingeva con la bocca, ma dell’uomo c’è altro che rimane, di essenziale ed è la statura morale ed intellettuale che lo distinguono e nello stesso tempo confermano l’appartenenza di ogni uomo allo stesso gruppo di esseri viventi. Si potrebbe obiettare che un soggetto meno dotato di queste qualità sia meno umano di altri. Il pazzo o il malato in coma, tenuto in vita attaccato alle macchine, non sono uomini? Ecco a questo non so rispondere, se non facendo ricorso al discorso della montagna nella parte in cui Gesù ci assicura che “gli ultimi saranno i primi”. Anche fuori dall’ambito religioso, questa prospettiva mi sembra accettabile. E conferma che l’idea archetipica dell’uomo, non viene scalfita dai casi di questi sfortunati individui che il nostro senso di umanità ci porta a considerare fratelli bisognosi del nostro aiuto e della protezione di una società evoluta.

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